Palmisano (Assobiotec): «Più venture capital per le startup del bio-tech»

Il neo nominato presidente dell’associazione per lo sviluppo delle biotecnologie a EconomyUp: «Le nostre aziende creano occupazione e ricerca. Ma dobbiamo diventare più competitivi in Europa e per farlo dobbiamo attirare investimenti in Italia»

Pubblicato il 02 Mar 2016

Riccardo Palmisano, presidente Assobiotec

Riccardo Palmisano, neo presidente di Assobiotec

Riccardo Palmisano, 56 anni, ferrarese, Ceo di MolMed, è il nuovo presidente di Assobiotec, l’associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica. È stato eletto il 1° marzo dall’assemblea annuale dei soci, in successione ad Alessandro Sidoli. Nel corso del mandato triennale Palmisano avrà l’opportunità di sviluppare le tre priorità indicate nel suo programma: garantire all’associazione una governance centralizzata ed efficace, definire una strategia nazionale dell’innovazione e della ricerca di medio e lungo periodo e creare un fondo di Venture Capital internazionale dedicato alle biotech. “Si tratta di fare le scelte giuste che portino beneficio alla popolazione, quindi ai malati se stiamo parlando di malattie rare, ai cittadini se ci occupiamo di agroalimentare e ambiente, alla forza lavoro quando si tratta di occupazione. Per ogni occupato nel settore biotech – dice il neo presidente a EconomyUp – ce ne sono altri 5 nei servizi correlati. Nell’industria tradizionale questo rapporto si riduce a 1,7 per ogni occupato”.

Visibilmente emozionato nel consegnare l’Assobiotech Award 2016 a Emma Bonino per “la viva passione e il coraggio che hanno caratterizzato il suo impegno a favore della libertà di scienza; il suo essere sempre stata in prima linea nella battaglia per il diritto al progresso scientifico; la competenza e la determinazione con le quali ha sostenuto il valore dell’innovazione”, Palmisano ha poi incentrato la relazione sulle sfide aperte. Come ha scritto Pierluigi Paracchi su EconomyUp, il biotech è un settore in netta crescita dal punto di vista economico, innovatore e strategico, ma ancora relegato in secondo piano nella visione strategica dell’Italia: “Negli ultimi anni ci ha accompagnato un importante spirito politico che adesso deve continuare e finalizzarsi” continua Palmisano. D’altronde quando parliamo di biotech stiamo parlando di 384 imprese italiane (dati Assobiotec a fine dicembre 2014, ndr) divise fra i segmenti della salute (Red Biotech, che copre da solo quasi il 60% del totale), quello agroalimentare (Green Biotech) e industriale (White Biotech), concentrate in grande maggioranza fra Lombardia (117 aziende) e Piemonte (47). Il biotech è un comparto che si nutre di ricerca e sviluppo, dove impiega una percentuale di addetti maggiore rispetto alle altre imprese: 49% del totale contro il 18%. Non solo, più dell’80% degli addetti in R&S ha una laurea specialistica o un PhD. “Pensiamo a una cabina di regia che favorisca il dialogo fra imprese e Università e a un centro per i processi di technology transfer, dove l’Italia è ultima in Europa per numero di impiegati” ci dice a questo proposito Palmisano.

C’è poi il fondamentale capitolo degli investimenti, vero snodo cruciale del settore di cui il predecessore di Palmisano ha già parlato con EconomyUp. “Con la legge di stabilità 2015 il Governo ha istituito un credito di imposta stabile su ricerca e investimenti, ha introdotto incentivi per la nascita e lo sviluppo di startup e pmi innovative e la Patent Box che diminuisce la pressione fiscale per le imprese che innovano. – scrive Palmisano nella sua relazione – Siamo sempre in ritardo rispetto agli altri Paesi, ma qualcosa si sta muovendo”. Assobiotec e il suo nuovo presidente guardano all’estero per migliorare il capitolo più in rosso della relazione: i fondi di Venture Capital. L’Italia sfrutta solo l’1% dei 864 milioni di dollari che circolano in Europa sotto forma di investimenti VC (la Gran Bretagna il 42% e la Francia il 15%), nonostante i buoni risultati delle aziende biotech quotate in Borsa. “Dobbiamo diventare più competitivi in Europa e per farlo vogliamo creare delle autostrade che attirino in Italia i capitali da investire in ricerca” dice Palmisano. Certo, il nanismo può essere un problema: quasi l’80% delle imprese biotech italiane hanno una dimensione micro o piccola e il dato sale al 93% se si limita alle pure biotech: “Vorremmo eliminare la pratica degli investimenti a pioggia o agli ‘amici degli amici’ a favore di investimenti mirati su progetti e realtà promettenti e sicuri. Per farlo dobbiamo guardare all’estero perché – conclude Palmisano – in giro per il mondo ci sono più soldi che idee”.

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