STRATEGIE

Hackathon e pitch, le aziende non li usino solo per risolvere le emergenze

In molti casi le imprese hanno un approccio opportunistico all’open innovation e ricorrono a gare fra sviluppatori o a presentazioni di startup solo per soddisfare necessità immediate. Invece è necessario un atteggiamento più strutturato in modo che questi eventi possano essere standardizzati

Pubblicato il 13 Nov 2017

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Negli ultimi anni si sente molto parlare di open innovation, nuove figure professionali stanno emergendo nelle aziende, nuove iniziative vengono promosse quotidianamente in diversi contesti industriali e tecnologici, e ultimamente abbiamo anche letto che in Italia servirebbero migliaia di innovation manager. A questo punto, la domanda sorge spontanea: ma se c’è questa necessità di creare nuove figure come gli innovation managers, allora qual è o sarà l’approccio all’innovazione di queste aziende?

A nostro avviso, come espresso più volte nei nostri articoli, l’innovazione è diventata sempre più un esercizio di collaborazione e cooperazione, quindi è necessario aprirsi all’esterno, e di conseguenza abbracciare il paradigma ormai ben noto dell’open innovation. Ma resta da capire in che modo questo approccio venga gestito dalle aziende.

In moltissimi esempi di cui leggiamo quotidianamente, sembra abbastanza chiaro come le aziende abbiano un approccio molto opportunistico all’open innovation. Prendiamo ad esempio il caso degli hackathon, che stanno spopolando come strumento di crowdsourcing. Un hackathon in genere è un esercizio che prevede certamente una organizzazione specifica, e con degli  “script” molto chiari, per far sì che tutto funzioni e venga curato nei minimi dettagli. Ma è un esercizio fine a se stesso, ovvero con che cadenza un’azienda può permettersi di organizzare questi eventi, che in genere costano parecchie migliaia di euro? E soprattutto, quali sono i veri risultati di un hackathon, e come l’azienda “assimila” questi input?

Un altro esempio che possiamo analizzare potrebbe essere quello dei pitch di startup, diventati quasi una commodity. Di eventi di startup (contests, demo days, elevator pitches, ecc.) ve ne sono in gran quantità, anche perchè questo è il trend di mercato e il concetto più facilmente collegabile all’open innovation. Anche in questo caso succede che l’evento viene organizzato, spesso anche da enti esterni tipo incubatori e acceleratori, ha luogo, e poi startups e investitori se ne tornano a casa con un bel numero di idee e contatti da “elaborare” ulteriormente. Ma anche in questo caso, qual è il vero ritorno per le aziende che investono, quanti casi reali di investimenti vi sono, e quale la sorte di questi investimenti? Quante startup in contatto con i corporate venture capitalists vengono effettivamente incubate, accelerate e magari fanno poi una exit soddisfacente? I numeri potrebbero non darci ragione, ma il punto è piuttosto quello di capire se questi approcci possano essere standardizzati e stistematizzati, per creare il maggior impatto possibile sul nostro business, e non una tantum.

A nostro avviso pochissime aziende hanno standardizzato le metodologie di lavoro e l’approccio all’open innovation, e moltissime approcciano l’innovazione aperta in modo opportunistico anziché sistematico. Per approccio opportunistico intendiamo un approccio basato sul soddisfare necessità a breve termine (o urgenze), ovvero utilizzare l’opportunità di una metodologia specifica per far fronte ad una necessità, più o meno urgente, in azienda. I casi dell’hackathon e del pitching di startup appena discussi sono appunto approcci opportunistici. Ovvero l’azienda vuole attrarre nuove tecnologie, nuove proposte, o nuovi talenti in azienda, facendoli fluire tramite eventi specifici, e magari con temi altrettanto specifici, per poi sfruttarne, nel migliore dei casi, l’outcome generato: nuove idee, nuovi software, nuove apps, nuovo codice, nuovi dispositivi, nuove tecnologie, nuovi investimenti, ecc.

Parlando da esperti di processi aziendali, ovviamente non possiamo che non sottolineare che l’innovazione deve avvenire comunque tramite dei processi ben definiti per far sì che l’idea si sviluppi, diventi un prodotto, e generi benefici e profitti in maniera coerente e costante. Quindi vediamo un valore aggiunto non indifferente nella standardizzazione dei processi per l’innovazione. Ed è a questo punto che sarebbe opportuno pensare ad una sistematicità dell’approccio. Per sistematicità intendiamo un approccio che segua un processo definito, chiaro e condiviso, che sia altrettanto ripetibile ogni volta che lo si esegua. Certamente il risultato potrà variare, ma sicuramente tutte le attività verranno eseguite alla stessa maniera. Ad esempio, una volta concluso l’evento opportunistico, è bene capire quale sia l’impatto di tale attività, e decidere se sia il caso di formalizzarlo in un processo interno a tutti gli effetti.

Purtroppo questo passaggio manca in moltissime aziende, anche nelle grandi multinazionali, dove l’approccio opportunistico resta quello preferito, e non lo si sistematizza al fine di renderlo parte dei processi interni.

Per rendere meglio l’idea di come rendere sistematico un approccio di innovazione aperta, potremmo ad esempio prendere il caso dello scouting tecnologico, che come spiegato in altri nostri articoli, rientra nella pratica dell’open innovation. Lo scouting tecnologico è una pratica che vede un’azienda impegnata a ricercare tecnologie e nuove opportunità all’esterno. È chiaro come questo processo possa essere facilmente standardizzato, e integrato nel processo innovativo interno, e come guida ogni qualvolta sia necessario sviluppare un nuovo prodotto o migliorarne uno esistente. In questo modo, chiunque vorrà iniziare una attività di scouting, saprà quali sono le funzioni da interpellare, chi può fare cosa, se è necessario utilizzare dei template, o produrre della documentazione, e soprattutto come trattare i risultati ottenuti, come selezionarli, con chi, e cosa farne per massimizzarne l’assimilazione. Ma questo esempio è certamente tra i più facili da analizzare.

Nel caso degli esempi fatti prima, l’hackathon e lo startup pitching, si pensi che tali eventi possono essere standardizzati in un processo che coinvolga il crowdsourcing, nel caso dell’hackathon, o la possibilità di avere una piattaforma dove fare pitching ricorrenti o dove le startup possano inserire i propri teasers. In questi casi il processo indicherebbe la metodologia di lavoro standard, mentre l’hackathon e lo startup pitching sarebbero degli strumenti da utilizzare qualora si desideri un risultato piuttosto che un altro.

In questa maniera, appunto, sarebbe più facile sistematizzare l’approccio open, e innovare aiutandosi con contributi esterni e utilizzando dei metodi altrettanto efficaci, in accordo con quello che è l’obiettivo dell’attività. Inoltre la sistematizzazione darebbe alle aziende la possibilità di avere un metodo di lavoro che tutti possano utilizzare alla stessa maniera, com’è per tutti i processi in genere, ma anche la possibilità di soddisfare necessità anche a più lungo termine.

Con questa breve analisi, vorremmo appunto far riflettere i lettori sulla possibilità di considerare l’approccio all’open innovation in maniera più sistematica e strutturata, in modo che l’impatto sul business sia più importante, e che sia più facilmente calabile nel contesto culturale aziendale. Utilizzando tutti lo stesso linguaggio, le stesse modalità di lavoro e i processi guida con altrettanti strumenti, le aziende riusciranno certamente a trasformare un concetto di moda in una nuova cultura di collaborazione e innovazione.

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