Equity crowdfunding, come e perché investire in una startup o in una pmi innovativa

Dal 2013 in Italia si possono finanziare giovani imprese non quotate in cambio di quote societarie. Occorre rivolgersi a un portale autorizzato, riempire un questionario di idoneità e procedere con l’investimento, da 250 euro in su. Qui tutte le procedure da seguire. Senza dimenticare vantaggi e rischi

Pubblicato il 23 Ago 2017

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L’equity crowdfunding è una forma di investimento relativamente nuova in Italia. Consente alla “folla” di investitori (crowd) di finanziare startup o piccole e medie imprese (pmi) innovative attraverso portali online autorizzati, erogando un contributo finanziario in cambio di quote societarie delle stesse imprese.

Crowdfunding ed equity crowdfunding, che cosa sono e come funzionano

Ma come si procede in concreto per investire in una giovane società con l’equity crowdfunding ? Ecco, punto per punto, le azioni da intraprendere. Partendo dalla conoscenza di questa innovativa strada per finanziare la giovane imprenditoria.

►COME È NATO L’EQUITY CROWDFUNDING – Questa modalità di raccolta fondi è stata normata in Italia nel 2013. Il nostro Paese è stato il primo in Europa a introdurre questo tipo di normativa con una legge e un successivo regolamento. Inizialmente però l’equity crowdfunding non è decollato anche a causa di norme considerate restrittive dai player del settore. Successivamente il regolamento è stato modificato, con conseguente impulso agli investimenti. Tuttora sono in corso ulteriori modifiche che puntano ad estendere l’equity crowdfunding a tutte le piccole e medie imprese (fino ad oggi è riservato soltanto a startup e pmi innovative).

►I NUMERI DELL’EQUITY CROWDFUNDING – L’equity crowdfunding nel 2017 ha registrato un significativo rialzo del numero di offerte, che in un solo semestre sono quasi raddoppiate rispetto a tutto il 2016: al 30 giugno scorso il capitale accumulato superava i 12 milioni di euro (12.417.323 per l’esattezza) e la prospettiva, secondo l’Ossservatorio Crowdinvesting della School of Management del Politecnico di Milano, è arrivare ai 20-25 milioni entro la fine dell’anno. Alla data del 30 giugno 2017 in Italia risultavano autorizzati da Consob 19 portali di equity crowdfunding. Di questi 18 sono iscritti alla sezione ordinaria mentre solo uno (Unicaseed.it) è iscritto alla sezione speciale. Sono 109 le campagne presentate fino al 30 giugno 2017 dalle piattaforme autorizzate.  La piattaforma che ha pubblicato più campagne in assoluto è StarsUp (24 progetti, pari al 22,0% del totale) seguita da CrowdFundMe (19 progetti, pari al 17,4%) e Mamacrowd (12 campagne, 11,0%).

Boom del Crowdinvesting: 189,2 milioni raccolti online in Italia dal 2013

►COME SI INVESTE IN EQUITY CROWDFUNDING

♦ In che cosa si investe

Investire in aziende attraverso l’equity crowdfunding significa puntare su nuove imprese che si ritiene abbiano il potenziale per crescere e imporsi sui mercati. Si investono soldi in cambio di una parte delle quote del loro capitale, il che significa diventarne soci. Come spiega il portale “Crowd Advisors”, se un’impresa in cui si è investito ha successo, le azioni che si possiedono avranno un valore più elevato di quello che si è pagato e se ne può quindi ricavarne un profitto vendendole, oppure si può scegliere di incassare i dividendi. D’altra parte, se l’iniziativa non ha successo – come peraltro succede a molte startup – si rischia di perdere tutto o almeno parte dell’investimento. Bisogna sempre ricordare che è un investimento ad alto rischio.

♦ 3 motivi per investire

1.Scoprire la nuova Google o Facebook – È il sogno più o meno segreto di tanti investitori: puntare su società appena nate e semisconosciute che un giorno diventeranno big internazionali, in modo da ricavarne il massimo ritorno economico, oltre ad essere riconosciuti come talent scout dell’ecosistema. Va detto che è un avvenimento piuttosto raro, se non rarissimo. Ma quando accade non si dimentica.

2.Contribuire alla cultura dell’innovazione – Alcuni, specialmente gli imprenditori già affermati, possono desiderare di aiutare realtà ritenute promettenti, ma che devono partire da zero e hanno bisogno di essere accompagnate e sostenute. Naturalmente chi agisce con questi scopi non lo fa per ragioni benefiche ma è convinto che l’impresa che intende supportare gli garantirà un buon ritorno economico, perché evidentemente crede nella validità del suo business. Allo stesso tempo è interessato a dare un suo contributo all’ecosistema.

3.Vantaggi fiscali – In Italia è previsto che una persona fisica possa detrarre dalle imposte il 20% del valore degli investimenti effettuati in startup e pmi innovative. In particolare la legislazione attuale – si legge sul portale MamaCrowd – stabilisce che per gli anni 2013, 2014 e 2015 (per il 2016 non è ancora stata ufficializzata la conferma dei benefici fiscali) è consentito alle persone fisiche e giuridiche, rispettivamente, detrarre o dedurre dal proprio reddito imponibile una parte delle somme investite in startup innovative, sia direttamente sia indirettamente attraverso OICR, ovvero società di capitale che, a loro volta, investono prevalentemente in startup o pmi innovative. Gli eventuali benefici fiscali acquisiti possono decadere nel caso in cui l’investitore liquidi l’investimento prima del tempo previsto. I benefici sul trattamento fiscale possono variare seguendo l’evoluzione della normativa tributaria nazionale.

►LE PROCEDURE

♦ Valutare la validità della startup nella quale si investe

Chiunque può investire attraverso l’equity crowdfunding, ma naturalmente è bene che faccia una valutazione a priori della società alla quale è interessato: deve giudicare se il modello di business funziona, se è ripetibile e scalabile, se il team è unito e motivato e altri elementi che una giovane impresa innovativa è tenuta a possedere.

♦ Rivolgersi a un portale autorizzato

A quel punto l’investitore può rivolgersi a un portale di intermediazione autorizzato. Come già accennato, al 30 giugno 2017 risultavano essere 19: sono tutti registrati nel sito della Consob, l’autorità di vigilanza sulla Borsa. L’investitore deve iscriversi al portale: i suoi dati serviranno anche per avere il denaro indietro in caso di mancato raggiungimento del target.

♦ Valutare le offerte sul portale

L’investitore, navigando nel portale, ha modo di visionare tutte le campagne in corso promosse da quel portale e può decidere quale intende finanziare. Può dunque avere in mente già da prima la propria startup preferita oppure sceglierne una che appare sul sito. Vale sempre la regola sopra citata: informarsi bene prima. Per ogni campagna vengono forniti sul portale informazioni e dati: la descrizione delle attività della startup o pmi innovativa, i traguardi raggiunti, i traguardi che si prefigge e come intende utilizzare il finanziamento che vuole ottenere.

♦ Verificare se si è idonei all’investimento

Il portale provvederà a fornire all’investitore tutta la documentazione utile. L’investitore dovrà compilare l’anagrafica e leggere i documenti informativi. Per esempio nel caso della piattaforma CrowdFundMe, l’investitore deve rispondere a 12 domande, formulate al fine di valutare la sua idoneità agli investimenti ad alto rischio. “Può risultare idoneo o meno: il compito del portale è avvertire la persona se ha i requisiti per poter effettuare un investimento che prevede un rischio elevato – spiega l’amministratore delegato e fondatore di CrowdFundMe, Tommaso Baldissera Pacchetti–  ma quella persona può comunque decidere di andare avanti, anche se giudicato non idoneo”. Tutti i portali sono tenuti a effettuare questa verifica.

♦ Procedere con l’investimento

A quel punto l’investitore riceverà tutte le istruzioni dai gestori del portale per poter procedere all’investimento. Nel caso di CrowdFundMe si possono investire somme dai 250 euro in su. “Il 20% dei nostri investitori – spiega Baldissera Pacchetti – ha messo 250 euro: lo fanno perché vogliono sentirsi partecipi di un progetto. Il 40% ha investito meno di 10mila euro nell’arco degli ultimi 3 anni. Un altro 40% da 10mila a 100mila.  C’è poi un 20% che  ha investito più di 200mila euro negli ultimi 5 anni”.

►I RISCHI

♦ Rischio di perdere il capitale

Con il termine startup innovativa si definisce una società di capitali le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato che ha quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Per tale ragione, si legge sul portale di MamaCrowd, la componente “innovativa” del settore a cui l’impresa si rivolge e la natura di impresa “neo costituita” costituiscono per il cliente un rischio d’investimento maggiore rispetto alla tradizionale partecipazione al capitale di una qualunque società quotata su un mercato regolamentato o sistema multilaterale di negoziazione. Anche la pmi innovativa, pur se in uno stadio della sua vita più evoluto rispetto alla startup, presenta questa caratteristica di rischio dovuta alla sua natura specifica.

♦ Rischio illiquidità

Lo strumento finanziario di partecipazione al capitale di una startup o pmi innovativa è definito “illiquido”, ossia è uno strumento che potrebbe incontrare difficoltà di vario tipo in occasione della sua vendita: difficoltà di trovare una controparte interessata all’acquisto; difficoltà di negoziare un prezzo di trasferimento senza dover praticare uno sconto più o meno forte. Questo comporta per uno strumento ‘illiquido’ il rischio di realizzare un minor guadagno o una significativa perdita del capitale inizialmente investito.

♦ Divieto di distribuzione di utili

L’articolo 25 del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, prevede, per le startup innovative, il divieto di distribuire utili per tutto il periodo di durata della qualifica di startup innovativa (attualmente, di 60 mesi dalla data di iscrizione all’apposita Sezione Speciale per le startup innovative del Registro delle Imprese). In pratica una startup non può distribuire utili prima dei 5 anni di vita.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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