Sharing economy, perché la proposta di legge è confusa

L’economia della condivisione non deve essere fermata ma implementata, sostiene il sociologo Manolo Farci. Però a suo parere il testo elaborato per disciplinarla fa confusione tra “collaborative” e “rental economy”. «Dietro una retorica neocomunitaria di collaborazione – dice – troviamo modelli tradizionali for profit di mercato»

Pubblicato il 15 Mar 2016

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La proposta di legge sulla sharing economy presentata di recente da parlamentari dell’Intergruppo Innovazione contiene “alcuni limiti che sono legati, anzitutto, ad una incapacità concettuale di capire cos’è davvero la sharing economy e quale differenza sussista tra sistemi che si fondano sull’idea di condivisione di beni e servizi rispetto a forme di business vere e proprie, che fino ad adesso hanno agito senza alcun quadro normativo in grado di regolamentarle”. A scriverlo su Agenda Digitale è Manolo Farci, sociologo dell’Università di Urbino.

Come ricorda Farci, la proposta ha lo scopo di “disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi” e di “promuovere l’economia della condivisione”. Il docente cita alcuni esempi di sharing economy, dalla piattaforma di content creation crowdsourced Zooppa a BlaBlaCar, startup di condivisione di passaggi in auto, fino a AirBnb o Uber. L’elemento che dovrebbe accomunarle tutte, prosegue Farci, è la centralità attribuita all’aspetto collaborativo, reinventato ed esteso attraverso le tecnologie digitali in modalità e tempistiche mai rese possibili prima. Non è un caso che oggi molti preferiscono sostituire il concetto di sharing economy con quello meno equivoco di collaborative economy, che permette di specificare più declinazioni empiriche del fenomeno in questione.

L’idea di collaborazione che sta alla base di tutti questi sistemi – scrive ancora Farci – si fonda su un principio ben preciso, quello del trasferimento della proprietà. Tale trasferimento può essere inteso come una forma di scambio o condivisione: per esempio io ho una cosa – un’idea, una conoscenza appresa, un vestito usato, la carrozzina di mio figlio che sta in cantina a prendere muffa – decido di metterlo in comune o scambiarlo con un’altra persona o in cambio di un altro bene e servizio. È la reciprocità del dono e del baratto, oggi implementate grazie alle possibilità offerte dalla Rete.

Esistono, tuttavia, altre forme di sharing economy che usano il concetto di “collaborazione” in termini diversi. Ci sono esempi dove la collaborazione è un modo per definire nuove forme di mercato che tendono a riprodurre relazioni non necessariamente dissimili da quelle dei mercati tradizionali. Non a caso, spesso i protagonisti di tali realtà sono aziende il cui obiettivo è determinare l’incontro tra un consumatore che possiede una risorsa e un consumatore che al contrario ha bisogno di quella risorsa, a fronte di un certo costo di transizione. In tal caso, le modalità di condivisione possono produrre anche profitti e valore finanziario. AirBnb o Uber sono alcuni tra i più famosi sistemi di renting economy a pagamento, in cui un utente offre e condivide per un tempo limitato ad altri utenti un posto letto o un posto macchina

Più che di sharing economy, nel caso di sistemi come Uber o AirBnb dovremmo parlare quindi di rental economy. Nascosti dietro una retorica neocomunitaria di collaborazione, condivisione e disintermediazione – osserva Farci – in realtà troviamo modelli tradizionali for profit di mercato. Altro che volontarismo: Airbnb ha raggiunto il valore record di 25,5 miliardi dollari, mentre Uber, con i suoi 50 miliardi di dollari di fatturato, rappresenta la startup più “ricca” nella storia. E non è un caso che società come General Motors stanno indirizzandosi verso i servizi di car sharing.

La sharing economy non va fermata – sottolinea il docente – ma al contrario implementata. Ma è assolutamente necessario che la rental economy mascherata da “economia collaborativa” sia al più presto regolamentata. Per questo, la proposta di legge del 2 marzo può essere valutata come un primo significativo passo in tale direzione.

Tuttavia, nonostante le novità sostanziali, ribadisce Farci, tale legge è limitata da una serie di problematiche che riguardano probabilmente una confusione concettuale tra collaborative e rental economy. Clicca qui per continuare a leggere l’articolo

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