Open innovation, Sia: «Valutiamo due startup fintech al mese per nuovi investimenti»

Nicolò Romani, responsabile dell’Innovation Lab della società milanese che si occupa di sistemi di pagamento, spiega come il gruppo affronta la digital disruption e monitora le nuove imprese italiane ed europee per migliorare i propri servizi

Pubblicato il 05 Feb 2016

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Nicolò Romani, responsabile Innovation Lab di Sia

Una struttura in cui concentrare tutte le attività di innovazione e un monitoraggio costante delle startup italiane attive nel fintech: almeno due al mese. È così che Sia, la società italiana che si occupa di sistemi digitali di pagamento, cerca di indirizzare la sua attività di ricerca&sviluppo intorno all’open innovation e alle nuove imprese. Il laboratorio in cui il gruppo ha convogliato la sua attività di innovazione si chiama Innovation Lab ed è nato nel 2015. Come funziona e come si lega all’interazione con le startup lo abbiamo chiesto a Nicolò Romani, responsabile dell’Innovation Lab di Sia.

Romani, che cos’è e cosa fa l’Innovation Lab?
Sia fa innovazione da sempre, ma in questo periodo l’attenzione nei confronti di questa componente cresce sempre di più. Ecco perché abbiamo pensato di rispondere creando una struttura organizzativa in cui concentrare le iniziative di trasformazione dell’offerta per i nostri mercati di riferimento: banche, imprese e Pubblica amministrazione. L’abbiamo lanciata un anno fa, a gennaio 2015. L’obiettivo era quello di costruire una sorta di “acceleratore” interno di progetti con lo scopo di gestire la solidità dei servizi tradizionali e di consolidare, allo stesso tempo, la velocità della trasformazione dell’offerta. Isolare questa componente serve a garantire la qualità del servizio.

Come si inserisce questa struttura all’interno dell’azienda?
Questa unità supporta l’innovazione delle divisioni Financial Institutions, Corporate e Public Sector ed è a diretto riporto del senior vice president Nicola Cordone.

Dove si trova il laboratorio e che progetti ha sviluppato?
La struttura si trova nella nostra sede centrale, a Milano in via Gonin. Ci lavorano 16 persone. Si divide in tre aree: digital payments, contactless e servizi a valore aggiunto. Nel corso del primo semestre di lavoro, nel 2015, ha lavorato su vari progetti, tra cui Jiffy, un servizio per inviare e ricevere denaro in tempo reale dallo smartphone che al momento è disposizione dei correntisti di circa 50 banche italiane e che a gennaio 2016 ha già superato i 250 mila utenti attivi. Ora stiamo lavorando per allargare il servizio anche al b2b. Nell’ambito del contactless, l’Innovation Lab si è concentrata sul servizio di host card emulation, una tecnologia che consiste nell’emulare con il software di uno smartphone le caratteristiche di una carta. Quanto al terzo ambito, i servizi a valore aggiunto, abbiamo acquisito la startup Ubiq che ha sviluppato il servizio di couponing digitale T-Frutta.

Un caso di open innovation, quindi. Che tipo di interazioni “aperte” avete con altri soggetti esterni?
Per vari progetti sigliamo delle partnership con alcune aziende esterne. Per esempio, su Jiffy abbiamo come partner tecnologico la società GFT. Mentre per l’host card emulation abbiamo collaborato con una startup spagnola. E poi, stiamo cercando di investire in startup che possano aiutare a innovare la nostra offerta.

Come monitorate il panorama startup?
Al momento Sia ha un approccio analitico. Non abbiamo ancora sentito l’esigenza di attivare un osservatorio strutturato sull’innovazione delle startup del fintech, che è il settore di cui ci occupiamo. Nel corso del 2015 abbiamo compiuto delle osservazioni puntuali sulla realtà dell’innovazione italiana rispetto a delle nostre esigenze specifiche.

L’osservazione continua?
Sì, valutiamo circa due startup al mese basandoci su segnalazioni e parlando con realtà dell’ecosistema come incubatori – tra cui Digital Magics – associazioni – come Italia Startup e Blockchain Lab – e altri soggetti attivi nel fintech. La prima startup che abbiamo acquisito è figlia del nuovo modello organizzativo che abbiamo ideato. E se nel 2015 abbiamo monitorato solo startup italiane, nel 2016 guarderemo anche a quelle europee.

Come funziona concretamente la collaborazione con Ubiq, la startup che avete acquisito?
Dal punto di vista della compagine sociale, abbiamo acquisito il 51% e tramite aumento di capitale siamo arrivati al 69%. L’obiettivo dell’acquisizione è offrirci come partner industriali di questa società e mettere a loro disposizione nostri asset come i sistemi informatici e la clientela, lasciando però autonomia di sviluppo alla startup. Dal punto di vista organizzativo, nel consiglio di amministrazione della startup, il cui amministratore resta il fondatore Ivan Pastorini, siedono due persone di Sia, tra cui io. Mentre con il team cerchiamo di lavorare in sinergia con la loro sede, che resta a Parma, in quanto sono uno spinoff dell’Università. Un paio di loro però sono spesso presenti qui da noi a Milano per poterci coordinare.

C’è un modello di open innovation a cui vi ispirate?
Traiamo ispirazione da vari modelli, ma l’implementazione operativa è totalmente nostra.

Per approfondire il tema dell’open innovation, conoscerla e soprattutto capire come guidarla e trarne vantaggio, si può far riferimento all’iniziativa del Gruppo Digital360: una piattaforma che a 360° tocca tutti i temi dell’innovazione aperta.

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