Uber, la manager grintosa e l’Italia che frena

Un Paese che non riconosce ancora il “diritto a innovare”, come dicono gli economisti Alesina e Giavazzi. In questo contesto è maturata l’uscita di Benedetta Arese Lucini. Che ha pagato caro il suo impegno professionale. Anche per la sottovalutazione delle relazioni grigie fra economia e politica

Pubblicato il 04 Ago 2015

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Benedetta Arese Lucini, country manager di Uber Italia

“La prossima legge sulla concorrenza dovrebbe introdurre un «diritto a innovare»: imprese che aprono nuovi mercati non possono nascere se debbono soggiacere a norme scritte prima che quei mercati esistessero”, auspicano sul Corriere della Sera Alberto Alesina e Francesco Giavazzi nell’editoriale di prima pagina di martedì 4 agosto. Intanto l’attuale legge sulla concorrenza finisce nel pantano degli emendamenti dei 5Stelle, che si rivelano così i più agguerriti alfieri delle lobby che frenano il cambiamento. Come ricordano i due economisti, l’hanno spuntata i notai, i farmacisti, i sindacati e persino i carrozzieri.

Non l’ha invece spuntata Benedetta Arese Lucini, che ha gettato la spugna e ha lasciato, dopo due anni e 3 mesi, Uber Italia che lei ha lanciato con grinta ed energia in un mercato che certo non l’ha accolta a braccia aperte. In questi casi non è mai semplice, a caldo, leggere la realtà dei fatti che sta dietro i comunicati ufficiali. Certamente @dettaarese (è il suo account Twitter) ha pagato come pochi, personalmente e duramente, per il suo impegno manageriale con minacce, insulti e aggressioni che hanno finito per indebolire anche le poche ragioni che i tassisti potrebbero avere (l’ultima cieca reazione risale a fine luglio ed è stata raccontata dal deputato Stefano Quintarelli che è stato coinvolto).

Scrivono ancora Alesina e Giavazzi: “Stralciata anche la rimozione dell’obbligo per gli autisti Ncc (noleggio con conducente) di ritornare in rimessa tra una chiamata e l’altra, una norma che avrebbe aperto il mercato a servizi quale Uber – un’azienda che rappresenta il futuro del trasporto urbano, migliorando i servizi e riducendone i cost, e che sta crescendo a valanga nel mondo”. Un’azienda che, secondo l’ultimo round di finanziamento, che vede tra gli investitori anche Microsoft, vale ormai più di 50 miliardi di dollari. Una ex startup che in pochi anni è diventata il simbolo di un nuovo modello economico, basato sulla condivisione: è in corso la ”uberizzazione” del mondo, sostiene un’economista francese, che paragona chi vi si oppone ai luddisti della rivoluzione industriale d’inizio 800, quelli che distruggevano i telai accusati di distruggere lavoro.

La coincidenza fra la conclusione dell’esperienza di Benedetta Arese Lucini in Uber e il rallentamento del governo Renzi nel cammino delle liberalizzazioni mi ha colpito. E deve far riflettere. Nel contesto italiano il compito di una manager poco più che trentenne non poteva che essere impari. Davide contro Golia. Una giovane italiana di nobili ascendenze e formazione internazionale contro le relazioni grigie fra economia e politica della tradizione parlamentare italiana. Benedetta Arese Lucini ci ha messo grinta con un piglio manageriale di stampo anglosassone, irrobustito da artistocratica determinazione, che probabilmente non l’ha aiutata a trovare il bandolo della matassa normativa. Uber è sulla bocca di tutti ma per quasi tutti è illegale, dopo la recente sentenza del Tribunale di Milano. Un risultato scoraggiante, che forse non valeva la fatica che quella responsabilità comportava.

Il “caso Uber”, comunque, non è chiuso. Ma non è più di Benedetta Arese Lucini. Adesso a cercare di ritrovare il giusto senso di marcia tocca a Carlo Tursi, un ingegnere meccanico anch’egli di formazione internazionale, ma buon conoscitore dei vicoli istituzionali romani. Forse in Italia anche la “uberizzazione” del mondo passa dal Palazzo.

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