L'INTERVISTA

Emiliano Veronesi (Econocom): il futuro è dell’as a service economy

L’economia del servizio è un modello che sta rivelando le sue potenzialità anche nell’emergenza coronavirus. “Finita la crisi, sarà il futuro”, dice Emiliano Veronesi, direttore generale Italia del Gruppo Econocom, che ha messo al centro della sua strategia as a service e pay per use. “Così portiamo innovazione a tutti”

Pubblicato il 23 Mar 2020

Emiliano Veronesi, direttore generale del Gruppo Econocom Italia

XaaS. Non è un codice segreto ma l’acronimo di Everything As A Service: l’uso che prevale sul possesso, di un software come di un computer o di qualsiasi altra cosa. Un’economia del servizio che sta mostrando le sue potenzialità in questi giorni difficili dell’emergenza coronavirus, causa di veloci conversioni al digitale. “Finita questa emergenza, sarà il futuro” dice Emiliano Veronesi, direttore generale da poco più di sei mesi, chiamato ad attuare in Italia la nuova vision 2030 della multinazionale francese (10.800 collaboratori in 18 Paesi, 3miliardi di fatturato) tutta basata sull’as a service e sul pay per use.

“È l’evoluzione di qualcosa che era nel DNA del gruppo che però fino all’anno scorso era focalizzato sulla locazione operativa tradizionale”, spiega in questa intervista a EconomyUp, la prima dal suo insediamento. 46 anni, di cui circa 15 trascorsi all’estero fra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Russia, Veronesi ha nel suo percorso manageriale toccato diverse industry (retail, automotive, health, energy con esperienze in MetroAG, General Motors, General Electric e Tbg del gruppo Thyssen) e sviluppato diversi progetti as a service. Un profilo che lo ha portato alla guida del Gruppo Econocom Italia nel novembre 2019.

Veronesi, che cos’è questa nuova logica dell’as a service per Econocom?

Innanzitutto un nuovo modo di interpretare il nostro ruolo e la nostra mission. Su una parete dell’ingresso dell’Econocom Village, a Milano, abbiamo scritto il nostro commitment che, tra l’altro, dice “disegniamo il futuro per spronare il presente. Facciamo rete per accendere opportunità che altri non vedono”. Obiettivo: portare innovazione e tecnologia a tutti in maniera sostenibile.

Come lo fate?

Oggi grazie allo sviluppo di ben 17 verticali siamo nella condizione di offrire ai nostri clienti locazione più servizi, portiamo in azienda le macchine, i software ma non ci fermiamo più qui: li implementiamo e li teniamo aggiornati. L’as a service, che prevede un canone ricorrente, per i clienti più sofisticati o con esigenze particolari, si può trasformare in pay per use. Per esempio chi ha business soggetti a stagionalità o chi invece vuole correlare le uscite di cassa con le entrate. L’esempio più semplice è quello delle stampanti o, nell’healthcare, delle macchine per la diagnostica pagati per numero di copie o di esami effettuati.

L’as a service e il pay per use possono essere soluzioni che accelerano la digitalizzazione delle imprese?

Assolutamente sì e lo stiamo vedendo in questi giorni con lo smart working. Indubbiamente chi aveva investito in tecnologie e cultura organizzativa ha affrontato meglio e con minori traumi l’emergenza. Ma non tutte le aziende sono allo stesso livello di maturità tecnologica. Per dare un’idea della dimensione del fenomeno, da inizio marzo, quando è partita l’emergenza coronavirus, abbiamo supportato più di 50 aziende nell’implementazione veloce di soluzioni di smart working, con computer nuovi o rigenerati.

Come si attiva velocemente lo smart working?

Noi abbiamo sviluppato tre modelli di smart working as a service: Full Mobility, con smartphone, notebook e monitor installati e assicurati ed help desk. Di solito preferiamo dispositivi ricondizionati in nome dell’economia circolare e poi perché permettono investimenti più contenuti: in Italia il 25% dei laptop installati è ricondizionato. La seconda soluzione prevede la virtualizzazione del desktop aziendale su qualsiasi dispositivo a casa dei dipendenti, con tutte le garanzie di sicurezza e strumenti di video collaboration per gestire riunioni audio/video in mobilità. La terza è più complessa e prevede la creazione di veri e propri ambienti di lavoro nativamente smart e agili, fruibili da ogni parte del mondo, con ogni tipologia di connessione internet, da ogni device e sempre in totale sicurezza. In ogni caso i clienti hanno apprezzato il fatto che noi portiamo la nostra esperienza, non ci limitiamo certo a consegnare e installare qualche macchina.

E qual è la vostra esperienza di smart working che state trasferendo sul mercato?

Econocom era strutturata per lo smart working e 950 dipendenti sono in grado di lavorare da remoto e stanno lavorando così ormai da fine febbraio, senza alcuna difficoltà. Noi abbiamo dovuto affrontare solo l’emergenza sanitaria per tutelare la salute dei nostri collaboratori. Da metà gennaio abbiamo cominciato a distribuire mascherine a tutta la popolazione aziendale e ai familiari e abbiamo messo a disposizione gel disinfettanti in tutte le sale riunioni. Poi, prima del decreto del Governo, subito dopo i primi casi a Codogno, ci siamo messi in smart working. Abbiamo anche attivato una polizza assicurativa per chi dovesse risultare positivo al virus con una serie di supporti prima e durante una eventuale degenza ospedaliera. E se oggi un’azienda volesse implementare una soluzione di smart working, possiamo farlo da remoto con la realtà aumentata. La gran parte delle aziende hanno avuto, invece, un doppio trauma, quello sanitario e quello organizzativo: chi non aveva investito, si è trovato spiazzato

Che cos’altro vi permette di consigliare ai vostri clienti l’esperienza di smart working massivo?

Voglio segnalare un dato umano non tecnologico. A parte l’aumento di produttività delle persone, lo smart working crea un po’ di isolamento, inutile negarlo. Per chi è abituato a lavorare in open space, sempre a contatto e a confronto con colleghi, quando si ritrova a lavorare a casa soffre la mancanza di fisicità. In Econocom, su iniziativa della nostra Communication Manager Desirée Fiamberti, abbiamo lanciato uno smart working challenge, aperto ai dipendenti che possono postare foto della loro quotidianità domestica od organizzare aperitivi digitali in modo da ritrovare l’interazione con i colleghi.

Non c’è solo lo smart working nelle vostre proposte. Quali sono gli altri verticali in cui avete lanciato soluzioni as a service?

Da padre di due ragazzi tengo alle nostre proposte per la smart school, soluzione completa per la classe digitale che comprende strumenti di didattica interattiva, visual collaboration, communication e design thinking e dispositivi. Poi c’è l’healthcare, in cui abbiamo un’importante tradizione, con una soluzione di assistenza medica da remoto, per limitare gli accessi alle strutture sanitare solo ai casi di urgenza, evitando così spostamenti e distribuendo il carico assistenziale fra enti privati e pubblici. Può essere molto utile in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo ma può diventare un nuovo modello di gestione della sanità. Stessa cosa per il retail. In un momento come questo in cui la logistica subisce l’impatto dell’emergenza sanitaria, se i canali non sono stati strutturati correttamente per la gestione degli stock vanno in difficoltà: una delle nostre soluzioni di ottimizzazione o per l’automazione degli spostamenti delle merci in situazioni critiche diventano ancora più utili e dimostrano come le tecnologie digitali rappresentano la risposta a diverse problematiche di business.

Tecnologie che oggi sono disponibili sempre di più in modalità as a service. È una trasformazione difficile quella che sta facendo Econocom?

No. Noi la stiamo affrontando non solo perché è nel dna dell’azienda, come dicevo, e perché ce lo chiede il mercato. Ma anche perché noi non siamo un system integrator. Noi siamo un orchestratore di soluzioni altrui capace, facendo così, di creare nuovi prodotti e quindi di portare innovazione sul mercato. Che è poi il nostro purpose: offrire soluzioni tecnologiche digitali e innovative alle imprese. Per me il mondo del futuro è as a service e pay per use. Noi vogliamo contribuire a crearlo con i valori del gruppo: audacia, che sta nello spirito imprenditoriale; buona fede, la corrispondenza fra parole e fatti, e reattività, fare oggi senza aspettare domani. Lo stiamo dimostrando anche in questa situazione di emergenza. Certo che ci sono cose che fra sei mesi o un anno faremo meglio. Come del resto ci ricorda la chiusura del commitment presente nella nostra reception: “Noi in Econocom non perdiamo mai. O vinciamo o impariamo a vincere”

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

Articoli correlati

Articolo 1 di 3