L’analisi

Legge di stabilità, la norma che può ingannare le startup

Fa discutere l’articolo 16 del disegno di legge di bilancio 2017, che disciplina le perdite fiscali di giovani imprese partecipate da società quotate. Il testo lascia spazio a cattive interpretazioni e fa confusione sulle definizioni. Facciamo chiarezza con l’aiuto di un esperto

Pubblicato il 01 Dic 2016

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Non è ancora stata approvata e fa già discutere. È la legge di Stabilità 2017 (al momento ancora disegno di legge). Quella che porta con sé novità significative per le startup innovative italiane. E fa brillare gli occhi ai principali attori dell’ecosistema nazionale. Agevolazioni per gli investimenti, semplificazioni per l’atto costitutivo di una società, perdite fiscali assorbite da società sponsor, sono i binari su cui corre veloce l’iniziativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze a sostegno dell’innovazione. L’obiettivo è ambizioso: stimolare il mercato italiano dei capitali, soprattutto quello borsistico, favorendo gli investimenti in startup da parte di società quotate. Tutto bello. Ma qualcosa sembra non tornare.

Tra i quattro articoli del ddl stabilità rivolti alle iniziative per le startup (14, 15, 16 e 17) , ce n’è però uno su cui vale la pena soffermarsi. È quello relativo alle perdite fiscali di startup partecipate da società quotate. Il sedici, che “consente la cessione delle perdite prodotte nei primi tre esercizi di attività di nuove aziende a favore di società quotate che detengano una partecipazione nell’impresa cessionaria pari almeno al 20%”. In altre parole, se una società quotata in borsa (detta sponsor) acquisisce il 20% della mia startup, posso cederle le mie perdite fiscali accumulate nei primi tre anni. E la quotata potrà dedurre l’intero ammontare dalle tasse.

Qui nascono delle ambiguità. La prima: il riferimento al profilo dell’impresa che può beneficiare di queste agevolazioni è generico, si parla infatti di “startup” e non di “startup innovativa”. Una differenza non da poco, considerando che la seconda è una figura giuridica disciplinata dal nostro ordinamento, mentre la prima no. E inoltre, volendo semplificare, qualunque impresa appena nata potrebbe essere considerata una startup, senza necessariamente avere i requisiti previsti dalla legge 221/2012 (ovvero quella che introduce le startup innovative). Seguendo questa logica quindi, aprire una società di ristorazione o una di hi-tech garantirebbe le stesse possibilità a entrambe di usufruire di queste agevolazioni.

«Non è da escludere che qui il legislatore – spiega Cristina Crupi, avvocato esperta di startup dello studio Legale Crupi & Associati di Milano – abbia semplificato la terminologia, utilizzando solo la dicitura startup, parola ormai universalmente riconosciuta come sinonimo di azienda innovativa. Tuttavia è probabile che nelle prossime modifiche del testo la definizione verrà uniformata, per non creare equivoci».

Il secondo nodo da sciogliere è legato alla cessione delle perdite fiscali delle startup a favore di società quotate, che detengano una partecipazione di almeno il 20%. Se le perdite cedibili fossero davvero solo quelle prodotte nei primi tre anni di esercizio della startup (la legge entrerebbe in vigore dall’1 gennaio 2017), verrebbero escluse dalle agevolazioni migliaia di giovani imprese che, nel 2017 appunto, hanno già superato il triennio di vita. In altre parole, se ho fondato la mia startup nel 2012, accumulando magari perdite per decine di milioni di euro in ricerca e sviluppo, stando alla legge non potrei cedere le mie sofferenze a nessuna società sponsor, in virtù dei miei oltre tre anni di attività. Un meccanismo che non solo penalizzerebbe le startup più “anziane”, ma creerebbe complicazioni anche per quelle neonate. Quanto tempo dovrà passare, infatti, prima che un’azienda quotata si interessi alla mia neo-impresa, rilevandone il 20% e permettendomi di cedere le perdite?

«Qui la questione è senza dubbio più tecnica – sottolinea l’avvocato Crupi – ma non ci sono ambiguità se letta alla luce del richiamo operato dalla stessa norma all’articolo 84 del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi, ndr), che stabilisce che ogni azienda può riportare le perdite dei primi anni nei bilanci successivi. Pertanto, facendo un esempio pratico, se la startup ha superato i tre anni di esercizio e al quinto anno entra una società quotata, rilevando il 20% del capitale, può comunque cedere le perdite, ma sempre quelle riferite al primo triennio. Così letta la norma è coerente con gli obiettivi della legge di Stabilità per il 2017 e possono fruirne tutte le startup, anche quelle che hanno già terminato i primi tre anni di esercizio».

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