Che cosa insegna l’apocalisse americana dei centri commerciali

Negli Usa gli shopping center sono in crisi: le visite sono scese del 50% e circa un terzo rischia di chiudere. In Italia, invece, le grandi catene crescono, ma nel 2016 sono spariti 90mila negozi. Colpa dell’e-commerce? Al contrario, dice Confesercenti: il digitale può essere l’ancora di salvezza. Vediamo come

Pubblicato il 05 Apr 2017

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Vestiti accatastati che ricordano i banconi dei suk, interi reparti desolati, capannoni abbandonati, cartelli di svendite ovunque. I santuari del consumismo, gli shopping mall (centri commerciali) americani, che per tanti anni sono stati il simbolo della prosperità del Nuovo Continente e hanno fatto invidia a intere di generazioni di europei in visita negli Stati Uniti, oggi si presentano come cattedrali nel deserto agli obbiettivi dei fotografi. Foto dal gusto un po’ macabro sono comparse su molti organi di stampa, dal New York Times a Business Insider, e ne è nato persino un sito internet, Dead Malls, che ha una classifica aggiornata di tutti i centri commerciali chiusi negli USA, con tanto di fotografie pubblicate sui social e le loro storie complete. I corridoi deserti, nei quali in passato transitavano milioni di persone, sono diventati anche luoghi cult, tanto da ambientarci una scena del film “Gone Girls”.

Ma a parte la nota folcloristica, le foto denotano un fenomeno con grandi risvolti sociali ed economici. Se persino la catena super lusso di Macy’s ha chiuso ben 68 grandi magazzini in questo primo trimestre del 2017, allora ci si deve davvero chiedere cosa non sta funzionando. Come Macy’s anche altri brand di retail tipicamente americani come Payless (ben mille punti vendita dismessi nel 2017), Sears, JCPenney, Bebe hanno messo il lucchetto a molti negozi, e nella lista compaiono anche nomi noti come Crocs (160), American Apparel (110), Abercrombie & Fitch (60) e Guess (60). L’International Council of Shopping Centers di New York, una sorta di associazione della quale fanno parte anche molti proprietari di questi centri commerciali, si è affrettata a lanciare una contro-campagna pubblicitaria smentendo le previsioni di un’apocalisse che travolgerà il settore. Ma i numeri parlano chiaro. Le visite a queste grandi catene di negozi – sottolinea Business Insider – sono calate del 50 per cento dal 2010 al 2013 (secondo i dati Cushman & Wakefield) e circa un terzo di esse rischia di chiudere (ricerca di Green Street Advisors).

Ma i colpevoli non possono essere soltanto Amazon, Google e Ebay perché, sebbene l’e-commerce sia un fenomeno in

crescita, rappresenta poco più dell’8 per cento delle vendite al dettaglio complessive degli Stati Uniti. Sarà, quindi, colpa di un cambiamento dei costumi e delle abitudini di acquisto? C’è chi dice che si preferiscono le piccole boutique nelle quali è possibile ritrovare il rapporto diretto con il commerciante piuttosto che i centri dispersivi.

Tornando a casa nostra, la situazione per i centri commerciali non sembra essere altrettanto disastrosa. Nessuna apocalisse in vista. Nel 2016 si contavano 943 centri commerciali e anche nei primi mesi del 2017 ne sono stati inaugurati di nuovi. A subire maggiormente gli effetti della crisi economica, invece, sembrano essere i negozi più piccoli che chiudono ad un ritmo di uno su dieci, per un totale di oltre 90 mila esercizi commerciali in meno dal 2016 al 2017 (secondo il report Confesercenti – Elaborazione su dati Istat e Registro delle imprese). Il più colpito è proprio il settore moda (-20 per cento di boutique) che deve difendersi dall’avanzamento delle grandi catene di fast fashion, come Zara e H&M, seguito da ferramenta e costruzioni (-19,9 per cento), macellerie (-17 per cento), oreficerie, profumerie (-17,5 per cento) e librerie (-17 per cento). Da nord a sud molti commercianti stanno abbandonando la loro attività e sopravvivono soltanto coloro i quali hanno saputo rinnovarsi con l’e-commerce. La Confesercenti sottolinea come l’unico segno positivo si veda nelle vendite “al di fuori dei banchi e dei negozi”, ovvero online e tramite distributori automatici, cresciute del 75 per cento. Il digitale non spiana la strada all’apocalisse, come vorrebbero farci credere le foto dei dead malls, ma può rappresentare la via d’uscita alla crisi dei negozi fisici, facilitando un radicale rinnovamento e introducendo modalità di acquisto innovative che permettono di passare dall’online all’offline in pochissimo tempo.

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