Cocontest, perché una startup fa paura agli architetti?

Perché mette il potere in mano ai clienti, scrive il presidente di Roma Startup, che è piccolo azionista della nuova impresa, la prima contro la quale è stata presentata un’interrogazione parlamentare da nove deputati. Architetti. Un’altra corporazione che si difende dall’innovazione

Pubblicato il 22 Mag 2015

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Gianmarco Carnovale

Il 12 maggio scorso uno schieramento trasversale di 9 deputati (8 architetti e un urbanista) ha presentato un’interrogazione parlamentare chiedendo al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi di verificare la legittimità di Cocontest, startup romana che offre un servizio di crowdsourcing per chi deve arredare o ristrutturare casa o ufficio, mettendo in contatto clienti e architetti attraverso un contest pubblico. Serena Pellegrino (Sel), architetto, ha dichiarato che è un servizio in cui “si schiavizzano dei professionisti”. La replica del co-founder della startup, Alessandro Rossi: “Siamo disruptive e questo non piace”. Di seguito l’intervento per EconomyUp di Gianmarco Carnovale, presidente di Roma Startup e piccolo azionista di CoContest.

Mi trovavo a Firenze nel mezzo del Gran Finale di InnovAction Lab 2015 – il famoso corso-competizione per avvicinare i neolaureati alle metodologie d’impresa giunto alla quarta edizione – quando, scorrendo i social in un momento di pausa, mi balenava agli occhi la notizia: un gruppo di deputati Italiani aveva rivolto al Ministro dello Sviluppo Economico un’interrogazione parlamentare nientemeno che ai Ministri dello Sviluppo Economico e della Giustizia, per opporsi all’attività di una giovane startup romana: Cocontest.

Cosa fa di così grave quest’azienda, lanciata dai fratelli Federico e Filippo Schiano di Pepe con Alessandro Rossi attraverso il primo programma di accelerazione di Enlabs? Fa una cosa molto semplice: consente, a chi voglia arredarsi o ristrutturarsi parte o tutta l’abitazione o un ufficio, di creare un contest, cioè mettere a gara l’offerta di una somma di denaro – normalmente commisurata alla dimensione della richiesta – e di ricevere proposte concettuali da parte di quegli architetti che da tutto il mondo decideranno di prendere parte alla competizione.

Una volta ricevuti i concept, il committente è obbligato dalla piattaforma a scegliere quello che a lui più aggrada, e pagare la somma fissata all’inizio della gara. Cocontest permette ai privati, in sostanza, di fare la medesima cosa che fanno le grandi aziende e le pubbliche amministrazioni quando hanno bisogno di un lavoro: fissano un importo, fissano i requisiti delle proposte che vogliono ricevere e lanciano una gara a partecipazione aperta a chiunque voglia concorrere. Questa cosa molto lineare, dal punto di vista degli architetti sembra essere dirompente per un semplicissimo motivo: mette il potere (finalmente) in mano al cliente.

Quella che sembrerebbe un’ovvietà in tutto il mondo, infatti, non lo è per niente in Italia: da no chi volesse affidarsi ad un professionista per una ristrutturazione, deve prima di tutto decidere da quale architetto andare, senza alcun riferimento – al massimo può cercare delle pubblicazioni su riviste – e quindi affidare a questi l’incarico di effettuare il progetto alla cifra che l’architetto riterrà congrua e senza alcuna possibilità per il cliente, prima di impegnarsi economicamente, di sapere se lo stile del professionista incontrerà il proprio gusto.

L’Italia, quindi, quasi un secolo dopo il ventennio fascista, è ancora il paese in cui le corporazioni (i tassisti, i notai, ora gli architetti) si difendono dal “libero mercato” per proteggere privilegi e rendite di posizione, a danno dei consumatori e perfino dei giovani che tentano l’accesso a tali professioni, ma che trovano un alto muro di gomma a respingere il merito.

Fortunatamente esistono soggetti come Cocontest, il cui AD alle accuse della parlamentare prima firmataria dell’interrogazione – che guarda un po’, è architetto – risponde, dopo aver inteso che l’onorevole non aveva neanche visitato il sito per capire come funzione, con un sonoro “innoveremo senza il vostro permesso”.

Sono uno di quelli che hanno creduto in Cocontest quando questi ragazzi vennero nel neonato acceleratore Enlabs a proporre l’idea, ed oggi sono un loro piccolo azionista. Al team di Cocontest, che in questo momento sta riscuotendo un incredibile successo negli USA, rispondo che il permesso di innovare ce l’hanno eccome, è il permesso dato loro dall’interesse del libero mercato, oltre che dalla Legge Italiana che Cocontest ha studiato prima di strutturare la propria proposta. Agli onorevoli – tutti architetti – che hanno avuto questa brillante idea per tutelare se stessi, addirittura invitando il governo ad intervenire nel DDL Concorrenza per rendere illegale Cocontest (ma non dovrebbero fare gli interessi dei cittadini, anziché della casta di appartenenza?), avrei la tentazione di suggerire di occuparsi di problemi più seri, anziché tentare di mantenere l’economia italiana saldamente ancorata al diciannovesimo secolo. Ma anche no: a ben vedere, tanta pubblicità gratuita, Cocontest se la meritava.

* Gianmarco Carnovale è presidente di Roma Startup

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