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Miart, come l’innovazione digitale cambia anche l’arte
Digital retail, crowdfunding, on line advisory, big data: la tecnologia sta trasformando il modello tradizionale della galleria. E anche l’importante fiera milanese stringe un accordo con un portale di ecommerce. Ne parliamo con un gallerista italiano a Vienna
di Marco Planzi
Pubblicato il 27 Mar 2017

Nonostante le spinte all’innovazione digitale, resta vero che l’arte, soprattutto di fascia alta, è ancora oggi un business prevalentemente “fisico”. Rispetto alla tua esperienza, vedi cambiamenti nel comportamento dei collezionisti e nel loro rapporto con l’arte?
Se guardiamo più in generale ai “consumatori” di arte – coloro che si recano alle mostre, nei musei o visitano città d’arte – il loro comportamento è già cambiato grazie alle app, all’ecommerce, al marketing online e grazie al digitale. Oggi anche i collezionisti e gli addetti ai lavori inizialmente più refrattari, dopo un breve approccio ai social network – i più efficaci sono senza dubbio Instagram e Facebook – cominciano ad usare in modo assiduo proprio gli strumenti online per rafforzare il proprio personal brand e instaurare un dialogo continuativo e diretto con la propria community di artisti e collezionisti. Detto questo, la componente fisica è ancora predominante, poiché l’attività di galleria è fortemente relazionale, interpersonale, dove soprattutto con lo scambio e il dialogo si costruiscono rapporti, fiducia, e così si origina il rapporto gallerista (o art-advisor) collezionista. C’è una larghissima fetta di collezionisti established legata al rapporto “fisico”. Il nodo è: come accaparrarsi la loro fiducia tramite un’attività esclusivamente online? Tantissime entità (Artsy, Artnet, ArtFinder, Artspace, Artuner ecc.) stanno gettando l’amo in questi anni e sarà interessante osservare quale di esse riuscirà a mettere in atto la pesca più proficua e duratura.
Una galleria d’arte agli occhi di un esperto di innovazione, appare come un business tradizionale. In che modo si innova il modello della galleria confinata tra le mura dello spazio espositivo e quale ruolo giocano i social network secondo la tua esperienza?
I social network sono strumenti imprescindibili. Servono ad avere una frequentazione quotidiana e globale con il sistema dell’arte contemporanea e generano un indotto relazionale che cresce giorno per giorno. Se penso a Vin Vin, la galleria che ho fondato, non riesco a immaginare un percorso di crescita dinamico senza social network. Mi hanno consentito di aprire un dialogo globale e bidirezionale, che raggiunge persone ben oltre la città di Vienna, sia professionisti del mondo dell’arte sia potenziali collezionisti. Al contrario di molti altri business, nel mondo dell’arte i social network non sono solo una questione di grandi numeri, di like. Una galleria d’arte si identifica spesso con la persona del suo fondatore. Per questo il vero obiettivo di un’attività social consiste nello sviluppare relazioni genuine e attive con i propri “follower” da coltivare nel tempo a prescindere che siano 500 o 50 mila. Ho sviluppato una community di persone interessate al lavoro di Vin Vin e io stesso sono interessato a ciò che la community condivide anche con me. Seguire i social network è un’attività intensa ma divertente, che ricompensa la galleria, ma al contempo aiuta a mantenere occhi e orecchie aperte su ciò che accade nel mondo. Si tratta di un’estensione di ciò che caratterizza da sempre l’arte: frequentazione fisica tra le persone, dei luoghi, e il rapporto – anch’esso fisico – con l’opera. Queste riflessioni sono alla base della nascita di Vin Vin, un progetto dedicato ai molti eccellenti giovani artisti che hanno poche piattaforme a disposizione per mettere in luce il loro lavoro, e derivante da una forte urgenza comunicativa e di partecipazione al dialogo dell’arte visiva contemporanea.
Ritieni che le giovani gallerie come Vin Vin, abbiano la capacità di visione, le doti comunicative e il carisma per influenzare un settore (collezionisti, gallerie, curatori ecc.) che ha dimostrato di essere piuttosto refrattario all’innovazione?
Non si tratta di un’ambizione, ma di una necessità di evoluzione del modello di galleria tradizionale, che comunque deve essere fortemente ancorata ai contenuti. Molte gallerie affermate stanno chiudendo e si tratta anche di gallerie di successo, con grande reputazione. Questo significa che le gallerie neonate hanno il dovere e la sfidante responsabilità di esplorare nuovi territori. Più che di influenza, quindi, parlerei di esplorazione. Riguardo la refrattarietà all’innovazione, non sta al pubblico ma alla galleria, al museo, alle istituzioni spostare l’asticella sempre un po’ più in avanti, verso il futuro. Un futuro dall’attitudine inclusiva in cui un pubblico progressivamente più vasto viva l’arte come una sublime consuetudine del quotidiano, che aiuta a vivere una vita migliore. Se guardiamo alle rivoluzioni accadute negli ultimi anni in alcuni settori, entità come Amazon, Itunes, Google, Whatsapp, Ryanair, Zalando hanno fatto dell’inclusione la loro politica fondante. Le più grandi innovazioni vengono dalla cultura “think big” – “pensa in grande” che si basa sul portare nuovi servizi semplici ma di qualità eccellente a un pubblico il più vasto possibile.
La fiera Miart, che si tiene a Milano in questi giorni, ha stretto una partnership con Artsy, la piattaforma di eCommerce che ospiterà la preview ufficiale della fiera e darà la possibilità di ammirare online le opere d’arte e fare richieste di acquisto. Cosa significa per una galleria avere a disposizione una vetrina online “di massa”?
Questa possibilità è un elemento importante che va nella direzione di esplorare e sperimentare nuovi territori. In questo modo Vin Vin sarà presente fisicamente a Fieramilanocity nella sezione Emergent, stand E19, e al contempo l’esposizione potrà essere vissuta senza confini dal vasto pubblico di Artsy, di cui ho apprezzato in questi giorni la user-friendliness non solo per l’utente, ma anche per la galleria. Un’esperienza d’uso eccellente è un aspetto da non sottovalutare e su questo piano il mondo dell’arte può trarre spunti positivi dalle grandi realtà dell’economia digitale.