Molè (Hera): open innovation sì ma lavorare con le startup non è facile

«Il mio sogno è avere in tutte le gare una quota riservata alle nuove imprese», dice il Direttore Innovazione della multiutility (prima in Italia nell’area ambiente), che ha una partecipazione in Iooota. «Purtroppo non sono sempre affidabili…». La strategia del Gruppo e le attività “vicine al business”

Pubblicato il 23 Feb 2017

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Salvatore Molè, Direttore Centrale Innovazione del gruppo Hera

Dalla tradizionale “ricerca e sviluppo” ai progetti pronti all’uso. Dalle sperimentazioni con le università alle attività finalizzate al business. È l’evoluzione del lavoro di innovazione nel Gruppo Hera, primo operatore italiano nell’area ambiente (oltre 6 milioni di tonnellate di rifiuti trattati ogni anno) e tra le prime multiutility italiane (8500 dipendenti e oltre 4 milioni di cittadini serviti soprattutto nel nordest).

Ambiente, Energia, Acqua costituiscono quindi le aree di business da innovare. Per farlo da tre anni lavora una Direzione, che risponde all’amministratore delegato e all’interno della quale è stata sistematizzata un’attività che si faceva già senza essere organizzata. A guidarla è Salvatore Molè, 46 anni, ingegnere meccanico con MBA al MIT, esperienze nella consulenza e dal 2010 in Hera, dove dal 2014 appunto è Direttore Centrale Innovazione.

EconomyUp lo ha incontrato per capire come è possibile fare innovazione in un settore complesso e strategico come quello dei servizi pubblici.

Ingegnere, qual è il primo bisogno di un gruppo come Hera?
Da una parte abbiamo un’innovazione tecnologica che corre, dall’altra un’industry, quella delle multiutility, che non è mai stata tradizionalmente all’avanguardia. Per questo abbiamo soprattutto la necessità di guardare che cosa si fa nel mondo, in Europa, negli Stati Uniti, ma anche in Australia. E poi dobbiamo andare anche “fuori” dalla nostra area specifica di business. C’è da guardare nei settori che hanno punti di contatto. Il più vicino è, ad esempio, quello delle telco, che si è mosso prima sul fronte delle liberalizzazioni.

Che cosa fa la sua Direzione?
La Direzione ha al suo interno gli abilitatori per l’innovazione, primo fra tutti l’ICT del Gruppo. Lavora sui trend di mercato, fa scouting e trasferisce alle strutture operative, da chi vende energia a chi distribuisce il gas e l’acqua a chi raccoglie rifiuti, tutti gli elementi necessari per sviluppare progetti innovativi. A cominciare dalla individuazione dei macrotrend

Quali sono i macrotrend che considerate strategici per voi?
Sono sostanzialmente tre. Il primo è la Circulary Economy, che ci permette di massimizzare il valore dei rifiuti, di materiali finora considerati senza alcun valore. C’è poi il tema strategico dell’efficienza energetica e infine tutto l’ambito smart che noi dividiamo in smart city e smart Hera.

Individuati i macrotrend, è la Direzione a portare alle strutture operative le opportunità di business?
Sì ma non necessariamente. La Direzione Innovazione segnala processi, modelli, nuovi prodotti e servizi ma se una struttura ha un’idea innovativa la porta avanti e magari ci chiede supporto. Ad esempio chi si occupa di distribuzione di energia elettrica si è mosso un anno fa per acquistare alcuni droni per il monitoraggio di linee aree. E ora fa cosi l’ispezione e il controllo. Adesso noi stiamo lavorando per estendere l’esperienza anche agli impianti di depurazione.

Significa questo essere più vicini al business?
Anche. Ma significa soprattutto essere più veloci nell’applicazione di un’innovazione, nel passare dallo scouting alla messa in opera.

Può farci un esempio di innovazione scaricata a terra?
Hera è la prima azienda in Italia ad avere un sistema per la ricerca di perdite nelle reti idriche basato sulla scansione del suolo tramite satellite: dopo la sperimentazione a Ferrara, dal 2017 sarà utilizzato nel bolognese, in Romagna e nelle Marche, permettendo di identificare rotture già presenti ma non visibili e di recuperare importanti quantità di acqua. Il sistema è stato sviluppato in collaborazione con la società israeliana Utilis, che abbiamo conosciuto e contattato grazie al nostro lavoro.

Nel 2016 avete fatto un’attività di Open Innovation rivolta alle startup. State andando avanti?
È il nostro fronte esterno. Con l’Innovation Day abbiamo selezionato 15 startup con due obiettivi: valutare la possibilità di sviluppare progetti congiunti e contaminare Hera con l’approccio agile tipico delle startup.

Avete cominciato a lavorare con qualche startup?
Sì, siamo in contatto con una startup che si occupa di recupero plastica, un’altra che fa intelligenza artificiale utile per il settore teleriscaldamento e abbiamo contatti con società anche in Israele e in Canada. Ad oggi, però, non le possiamo avere come fornitori e quindi dobbiamo aggirare il problema in qualche modo.

Il noto problema degli albi fornitori poco aperti per le imprese innovative?
Non c’è solo questo. Noi lavoriamo in un settore fortemente regolamentato e quindi facciamo molta fatica a poter effettuare affidamenti diretti, ancor più a una startup.

Qual è la principale difficoltà?
L’individuazione di partner solidi che ci diano garanzia di affidabilità nel tempo. Se realizzo un impianto in partnership con una startup e poi mi trovo in casa qualcosa che non posso o non riesco più a gestire, è un bel guaio. Non posso certo bloccarmi perché il fornitore non riesce a starmi dietro quando c’è un problema. Con le startup posso magari fare un pilota, ma se poi devo estendere la soluzione su larga scala devo essere assolutamente sicuro della solidità del partner. Fornitori che promettono il paradiso millantando ne abbiamo visti tanti. Ma a me resta un sogno ben diverso.

Qual è questo sogno?
Avere, in tutte le gare, una percentuale riservate alle startup a parità di condizioni. Purtroppo è complicato, ma non è detto che un giorno non si possa

Hera ha un corporate venture capital o avete in programma di avviarlo?
No. Non sono previsti investimenti in startup. C’è una sola eccezione che conferma la regola: una partecipazione di minoranza in Iooota , società che fa internet of things ed è vicina al business di Acantho, la nostra società di tlc

Una centrale di cogenerazione del Gruppo Hera

Le relazioni con le startup non sono facili, quindi. Ma non credo che sia questa l’unica difficoltà che si incontra nel fare innovazione in una grande azienda
C’è un fronte interno. Le strutture operative, proprio perché sono operative, hanno altre priorità e quindi riescono a dedicarsi in maniera limitata allo sviluppo di soluzioni innovative. Purtroppo ancora nelle strutture operative nascono troppe poche idee innovative. Per questo facciamo noi da sprone, da stimolo interno, dobbiamo trovare il modo per fare innamorare di un’idea la struttura, che poi la porta avanti nei modi e nei tempi giusti.

Probabilmente c’è anche un tema di cultura dell’innovazione. Che cosa fate sul fronte interno?
Abbiamo lanciato una piattaforma di open innovation interna (Heureka) in cui qualunque dipendente può proporre la sua idea: attualmente è in corso la prima competizione sulla comunicazione. Le proposte vengono votate da tutti con le stelline e possono essere integrate dai suggerimenti di ciascuno. Abbiamo cominciato nell’autunno del 2016 e c’è stata una risposta imprevedibile: accessi agli orari più insoliti, weekend compresi, e soprattutto un grande volume di proposte nei primi giorni della sfida. Vuol dire che le idee covano, che ci sono già.

Ingegnere che cosa vede nei prossimi cinque anni?
Uno scenario particolarmente disruptive. E non solo per effetto dell’evoluzione tecnologica. Ci possono essere innovazioni che nascono da un’idea che associa e assembla tecnologie già esistenti.

Può farci un esempio?
Hera sta per avviare il primo impianto di produzione in Italia di biometano dai rifiuti urbani. Un esempio straordinario di economia circolare: ciò che nasce in cucina, la spazzatura, torna in cucina sotto forma di energia. Il biogas si faceva già e poi si trasformava in energia elettrica. Noi abbiamo chiuso il ciclo. Nel giro di 15 mesi l’impianto sarà pronto. È un’opera con un importante impatto sociale: cambierà il modo di gestire i rifiuti. Ma anche un vantaggio economico: 5milioni di EBTDA l’anno a fronte di un investimento di circa 30 milioni.

Torniamo alla disruption. Cambierà qualcosa nel vostro modello di business?
Nei prossimi 5 anni dal punto di vista delle operation vedo una grande presenza dei software di simulazione e controllo. L’operatore sta davanti a un computer, simula azioni e, in base ai risultati, regola l’impianto. La nostra forza lavoro girerà meno e dovrà avere competenze diverse. Sul fronte dei servizi per i clienti diventerà strategica la gestione dei dati per anticiparne i comportamenti e per fornire risposte e servizi nuovi. Mi immagino che fra 5 anni noi potremmo vendere non più il gas o l’energia elettrica ma benessere (luce, elettrodomestici e riscaldamento). E saremo noi stessi a gestire a distanza il termostato della caldaia o l’avvio della lavastoviglie magari a fronte di un canone fisso.

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