open innovation

L’Open Innovation incontra l’AI: 3 modelli di collaborazione per la nuova impresa



Indirizzo copiato

L’AI ridefinisce l’open innovation in tre direzioni: potenzia le pratiche consolidate, abilita nuove forme di collaborazione e sostituisce intere fasi con simulazioni digitali. L’esperienza e la visione di Antonella Zullo, AD di Zest Innovation

Pubblicato il 30 ott 2025



open-innovation-economyup

L’incontro tra open innovation e intelligenza artificiale sta dando origine a una nuova stagione dell’innovazione industriale. L’AI non è più solo un fattore abilitante: diventa un partner strategico capace di trasformare il modo in cui aziende, startup e istituzioni collaborano tra loro.

A delineare con chiarezza questa evoluzione è stata Antonella Zullo, Amministratrice Delegata di Zest Innovation, che durante la tavola rotonda dell’Open Innovation Summit 2025, svoltosi il 24 e 25 ottobre 2025 a Torino, ha ricostruito le tre modalità attraverso cui l’AI sta cambiando radicalmente il paradigma dell’innovazione aperta: potenziamento delle pratiche consolidate, abilitazione di nuove forme di collaborazione e sostituzione di intere fasi dei processi di sviluppo.

Dall’innovazione aperta all’innovazione aumentata

Per comprendere la portata del cambiamento, Zullo ha richiamato il punto di partenza teorico: il modello di Henry Chesbrough, padre dell’open innovation, che vent’anni fa aveva introdotto il principio secondo cui le aziende devono guardare oltre i propri confini per innovare.

“Oggi – ha spiegato – l’Open Innovation incontra l’intelligenza artificiale e dà inizio a una nuova era di rivoluzione totale”.

Se la prima ondata di innovazione aperta aveva spinto le imprese a collaborare con università, centri di ricerca e startup, la seconda — quella guidata dall’AI — spinge verso forme di interazione più profonde, in cui l’algoritmo non è solo uno strumento ma un attore del processo di creazione.

L’AI, ha sottolineato Zullo, è al tempo stesso trigger e partner strategico: “Il 70% delle corporate europee collabora con startup per raggiungere i propri obiettivi in ambito intelligenza artificiale”. È una prassi ormai consolidata, che non serve più soltanto a esplorare nuovi mercati, ma a ridefinire le dinamiche stesse della collaborazione industriale.

Open innovation e AI: potenziare le pratiche consolidate

Il primo impatto dell’intelligenza artificiale sull’open innovation è il potenziamento delle pratiche già esistenti, come lo scouting tecnologico e la ricerca di partner.

Secondo Zullo, l’AI consente di amplificare la capacità delle imprese di individuare segnali deboli, trend emergenti e bisogni latenti. “L’intelligenza artificiale, se agganciata a database scientifici, brevettuali o social, riesce a intercettare bisogni inespressi e nuovi modelli di comportamento”, ha spiegato.

In passato, per identificare le direzioni di sviluppo, le aziende si affidavano a indagini di mercato e analisi manuali, spesso con tempi lunghi e costi elevati. Oggi, la combinazione di AI e data infrastructure permette di ottenere analisi predittive che anticipano le trasformazioni del mercato anche di mesi o anni rispetto ai metodi tradizionali.

Questa capacità di lettura proattiva rappresenta un vantaggio competitivo non solo per le corporate, ma anche per le startup e i centri di ricerca che lavorano con esse, poiché accorcia i cicli di validazione e aumenta la precisione nella selezione dei partner e dei progetti.

Un altro ambito di potenziamento riguarda la mappatura brevettuale: grazie agli algoritmi di analisi semantica, oggi è possibile monitorare con maggiore accuratezza l’evoluzione delle tecnologie e le aree di concentrazione della ricerca industriale. “L’AI riesce a mappare molto velocemente la tecnologia, capire in quale direzione sta andando e quali aree sono più promettenti”, ha aggiunto Zullo.

Il risultato è un ecosistema di innovazione più informato, capace di prendere decisioni in modo basato sui dati e non più solo sull’intuizione.

Abilitare nuove forme di collaborazione

Il secondo impatto dell’intelligenza artificiale riguarda la nascita di nuovi modelli di cooperazione, resi possibili dalla capacità dell’AI di condividere e valorizzare risorse.

Zullo ha fatto riferimento a infrastrutture ad alto costo — come laboratori, apparecchiature scientifiche o capacità computazionale — che, grazie all’intelligenza artificiale, possono essere modularizzate e messe a disposizione “as a service”.

Grazie all’intelligenza artificiale si può monetizzare tutto questo, offrendo risorse come servizio e creando nuovi mercati”, ha dichiarato.

Questa dinamica è già visibile in diversi settori, dalla salute alla musica, dalle smart cities alla manifattura. In tutti i casi, l’AI consente di trasformare asset complessi in servizi condivisibili, aprendo la strada a nuovi modelli di economia collaborativa.

Le imprese non si limitano più a cooperare su singoli progetti, ma iniziano a costruire infrastrutture comuni di innovazione, capaci di generare valore collettivo e ridurre le barriere di ingresso per le realtà più piccole.

L’intelligenza artificiale, in questa prospettiva, diventa architettura di mercato: coordina la condivisione delle risorse, ottimizza l’allocazione dei capitali e riduce l’asimmetria informativa tra grandi e piccoli attori dell’ecosistema.

È un cambio di paradigma che sposta l’attenzione dall’innovazione competitiva a quella cooperativa, fondata sulla scalabilità e sull’interoperabilità.

Sostituire le fasi dell’innovazione: il potere del digitale sintetico

La terza trasformazione, forse la più radicale, è la sostituzione di alcune fasi dei processi di innovazione tradizionali.

Zullo ha portato l’esempio della validazione: una delle fasi più lunghe e costose del ciclo di sviluppo di un nuovo prodotto o servizio. “La validazione fatta con i digital twin, quindi su dati sintetici, è molto più profonda e più veloce”, ha spiegato.

Grazie ai gemelli digitali e alla simulazione su dataset generati artificialmente, le aziende possono testare prodotti, servizi o esperienze in ambienti virtuali altamente realistici.

Questo permette di iterare rapidamente, riducendo i tempi e i costi della sperimentazione. “Si possono evitare mesi di survey, interviste e test sul campo”, ha aggiunto, “perché il software continua a validare finché non c’è una convergenza tra soluzione e mercato”.

Il principio è quello del continuous validation: un modello di sviluppo iterativo in cui la relazione tra prodotto e mercato non è più una sequenza lineare di fasi, ma un ciclo continuo alimentato dai dati.

Nei programmi condotti da Zest, l’approccio viene già applicato a progetti reali grazie alla collaborazione con partner industriali e startup, utilizzando tecnologie di digital twin fornite da AIpermind, nato da una costola di Zest.

L’impatto è rilevante: la validazione sintetica consente alle imprese di ridurre drasticamente il rischio di investimento e di rendere più sostenibile la fase di prototipazione, soprattutto per le PMI e gli attori emergenti.

Dalla sperimentazione all’etica della collaborazione

Dietro la trasformazione tecnologica si nasconde una ridefinizione etica dell’innovazione.

La collaborazione tra AI e open innovation non riguarda solo l’efficienza, ma la costruzione di un sistema di fiducia reciproca tra i soggetti coinvolti.

L’intelligenza artificiale introduce nuove responsabilità: chi gestisce i dati, chi controlla i modelli, chi stabilisce i criteri di trasparenza e di equità.

La “nuova impresa” di cui parla Zullo è quindi quella che non solo utilizza l’AI per innovare più velocemente, ma che costruisce processi collaborativi trasparenti e sostenibili, capaci di integrare aspetti tecnologici, economici e sociali.

È una visione in cui la competitività non è separata dalla responsabilità, e in cui l’intelligenza artificiale diventa strumento di convergenza tra efficienza e inclusione.

Un nuovo paradigma per l’impresa collaborativa

Le tre modalità descritte da Zullo — potenziamento, abilitazione e sostituzione — compongono un modello che potremmo definire di “open innovation aumentata”.

L’AI non si limita a sostenere le pratiche esistenti, ma le ristruttura, rendendo l’innovazione più predittiva, più connessa e più iterativa.

Il valore non risiede più solo nelle singole tecnologie adottate, ma nella capacità di orchestrare l’intero ecosistema di dati, persone e competenze.

Come ha sintetizzato Zullo, “l’intelligenza artificiale non è più uno strumento, ma un partner strategico dell’open innovation”.

Una trasformazione che apre scenari nuovi anche per l’Italia, dove la diffusione di modelli collaborativi basati sull’AI può rappresentare una leva decisiva per la competitività industriale e la crescita sostenibile.

guest

0 Commenti
Più recenti Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati

0
Lascia un commento, la tua opinione conta.x