Il rapporto

Venture Capital, sugli investimenti non c’è certezza

Secondo l’Aifi, che si basa sui dati ricevuti, nel 2015 sono stati investiti 74 milioni di euro. L’Osservatorio della Liuc, promosso dalla stessa Associazione ma che rileva tutti i finanziamenti apparsi sui media, li stima in 120 milioni. In entrambi i casi un dato lontano dalle medie europee

Pubblicato il 21 Lug 2016

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Sembra esserci grande incertezza sull’ammontare esatto degli investimenti in Venture Capital in Italia nel 2015. Secondo il Rapporto VeM, realizzato dall’Osservatorio Venture Capital Monitor attivo presso la LIUCUniversità Cattaneo – con il supporto di AIFI, Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt, la cifra stimata raggiungerebbe i 120 milioni di euro, con un incremento dell’8% di operazioni effettuate rispetto al 2014 (77 investimenti contro 71). Mentre secondo i dati Aifi, che si basano sulle comunicazioni ricevute dai fondi e altri investitori, sarebbero stati investiti solo 74 milioni. Un divario non da poco che, a prescindere dalla precisione del dato, rispecchia innanzitutto la distanza tra l’ecosistema italiano e quello del resto d’Europa.

«C’è senz’altro un trend positivo del settore – ha commentato Claudio Giuliano, Managing Partner di Innogest e presidente Commissione Venture Capital Aifi – ma siamo ancora enormemente indietro rispetto al resto d’Europa. Penso ci sia molto da lavorare soprattutto in ambito universitario, e in paritcolare sulla mentalità di professori e ricercatori, facendo prevalere l’idea che gli spinoff possono diventare uno strumento che porta lavoro e redditività per l’università ma anche per il Paese».

Predica maggiore presenza dei fondi istituzionali e collaborazioni con i fondi esteri Massimiliano Magrini, founder di United Ventures e consigliere Aifi: «I dati evidenziati dal rapporto mostrano un mercato in costante crescita. Da investitore rilevo due elementi positivi: crescita del dealflow e aumento della qualità media delle proposte. Ma non basta. Bisogna alimentare le collaborazioni con i fondi esteri, effettuando sempre più operazioni di coinvestimento. Inoltre un mancano di fatto gli investirori istituzionali. Un loro allineamento agli standard esteri ci aiuterebbe a colmare quel gap che al momento recita così: nel 2016 in Europa investiti in startup 2,7 miliardi di euro in Usa 17 miliardi di dollari».

Tornando ai dati, sempre secondo il rapporto Vem, è in crescita anche il numero di investitori attivi – ovvero i soggetti che hanno effettuato almeno un’operazione durante l’anno – che raggiunge quota 48 con un incremento del 45% sull’anno precedente. La quantità di investimenti complessiva ha raggiunto quota 126, mentre è del 18% l’ammontare di investitori stranieri che hanno effettuato investimenti in Italia (+100% sul 2014).

Più nel dettaglio, per le operazioni di seed capital, l’investimento medio è di 0,2 milioni di euro, mentre per quelle startup l’ammontare medio è di 2 milioni. Nessuna sorpresa per quanto riguarda le regioni e i settori in cui sono stati effettuati gli investimenti: la Lombardia è ancora la regione in cui si concentrano la maggior parte di operazioni con il 38% di investimenti seguono Piemonte con il 13% e Lazio con il 12%. Sul versante dei settori, l’ICT si conferma capofila per interesse da parte dei fondi italiani di venture capital raggiungendo una quota del 40% su cui pesa la diffusione di applicazioni web e mobile.

Per Anna Gervasoni, direttore generale AIFI e professore ordinario LIUC «il 2015 conferma il trend di crescita intrapreso dal segmento del venture capital nel nostro Paese. Dobbiamo però entrare nell’ottica che possiamo fare di più e dobbiamo porci obiettivi più ambiziosi permettendo la crescita degli operatori, lo sviluppo di un ecosistema più incisivo e dando un ruolo di maggiore rilievo alle Università e ai centri di ricerca che sono e possono essere ancor di più traino della ricerca e dell’innovazione».

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