La storia

«Così ho creato Brandon Ferrari, startup da 4 milioni di euro»

«Lavoro in modo diverso dallo startupper italiano, egocentrico e pieno di sé». Paola Marzario, founder del distributore online che accompagna e supporta le aziende italiane nel mercato e-commerce, racconta come ha creato un’azienda che è nella top 10 delle 35 startup milionarie d’Italia

Pubblicato il 04 Nov 2014

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Paola Marzario, founder di Brandon Ferrari

“Pronto? Se sente frignare in sottofondo è mio figlio. Lo porto con me in ufficio, così spero che, crescendo a latte e tecnologia, da grande diventi anche lui uno startupper”. Paola Marzario, 35 anni, è la founder di Brandon Ferrari, una delle startup milionarie d’Italia ma, da 4 mesi, è soprattutto la mamma di Massimo. “È molto più difficile crescere un figlio che fondare una startup. Ma un figlio vale molto di più di 100 startup e non c’è exit che possa darti una soddisfazione pari a quella di un bambino” dice mentre lascia che il suo team si occupi di Massimo. “Prima la mia vita era business e solo business, ora è lui che comanda tutto. Ma questo è uno dei privilegi di una mamma startupper: portare tuo figlio in ufficio, lasciarsi aiutare dai collaboratori, allattare e lavorare contemporaneamente” dice.

Se dovessimo dare un volto e un’identità all’ecosistema femminile, potremmo dire senza dubbi che Paola Marzario è un’ottima rappresentante. Perché ha saputo coniugare alla perfezione e con intuito femminile il ruolo di mamma e quello di imprenditrice. Lei, infatti, è fondatrice e amministratore delegato di Brandon Ferrari, la startup digitale che accompagna e supporta le aziende italiane nel mercato e-commerce. Si tratta di un distributore online che seleziona i brand italiani noti o ad alto potenziale e gestisce per loro le campagne di vendita sui siti di e-commerce nel mondo.

Fondata nell’agosto 2012, Brandon Ferrari nel 2013 raggiunge un fatturato di 2,7 milioni di euro. E la nascita di Massimo nel giugno 2014 non ha rallentato il lavoro. Anzi, la previsione per la fine dell’anno è di 4 milioni di euro. Risultati, questi, che la spingono nella top 10 delle 35 start up milionarie d’Italia, secondo i dati Registro delle Imprese Innovative. Come ha fatto? “Lavorando in maniera diversa dagli startupper italiani, troppo egocentrici e pieni di sé” racconta.

Ma andiamo con ordine. “L’idea è nata dopo aver individuato un’esigenza di mercato da colmare. In Italia l’e-commerce è ancora un settore poco esplorato: nel 2013 solo il 16% delle aziende italiane ha venduto online, rispetto a una media europea del 35%” racconta la Marzario. “Eppure nel 2013 le ricerche legate al Made in Italy su Google sono cresciute del 12% rispetto all’anno precedente. In Italia più cresce la maturità digitale più aumenta la percentuale di aziende che esportano: vende all’estero il 67% delle imprese digitalizzate contro il 55% di quelle non attive sul web” spiega ancora l’imprenditrice. “Nel 2012 i dati erano ancora più bassi, da qui l’idea di colmare un’esigenza del settore. Nasce così Brandon Ferrari: il nome è un mix tra il mondo di internet e quello del made in Italy: abbiamo scelto, dunque, un nome prettamente americano, Brandon, con uno rappresentativo del nostro Paese, Ferrari. Non solo. Se stacchiamo la parola Brandon in Brand on, il risultato è Brand on Ferrari, che significa il brand che corre in Ferrari, un’allusione all’e-commerce e al made in Italy”.

E proprio lo stile e il gusto italiani sono alla base delle aziende selezionate da Brandon Ferrari, in vari settori: fashion, home and living, ma anche kids, food e wine. Nel 2013 la startup ha gestito 520 campagne (180 in Italia e 340 all’estero) in 17 Paesi (Francia, Germania, Russia, Romania, Bulgaria, Ukraina, Spagna, UK, Benelux, Australia, Scandinavia, Repubblica Ceca, Usa, Emirati Arabi, Svizzera) generando un fatturato di 400 mila euro al mese, di cui il 30% proveniente da e-commerce italiani e il 70% da campagne online su siti esteri. Tra i brand in esclusiva curati da Brandon Ferrari ci sono Byblos, Kaos, Marinella, Caffè Vergnano, Moleskine, Smemoranda, Venini.

“Ci sono cinque requisiti essenziali che un’azienda deve possedere per entrare nel mercato e-commerce: propensione allo sviluppo e al cambiamento, una produzione rapida e veloce o un magazzino in pronta consegna, una logistica efficiente, la precisione nel rispetto delle tempistiche e ultima, ma fondamentale per affrontare tutto il percorso, deve credere nel mercato online”, racconta l’ad della startup. E spiega che a rendere possibile la nascita di Brandon Ferrari sono stati 600 mila euro provenienti dal venture capital internazionale Sicar Digital Investments, che in Italia affida i suoi investimenti alla consulenza della dPixel di Gianluca Dettori, dal seed accelerator Withfounder, guidato da Giulio Valiante, e da alcuni business angel come Fabio Cannavale, founder di Volagratis.

“Avere come soci imprenditori della digital economy come Gianluca Dettori, Giulio Valiante e Simone Ranucci Brandimarte, il co-founder di Withfounders, oltre a Fabio Cannavale, è uno stimolo fortissimo allo sviluppo e alla crescita di Brandon Ferrari. Del resto si tratta dei protagonisti della nascita e delle exit di successo di alcune tra le più note startup digitali italiane: da Buongiorno Vitaminic a Volagratis, da Jobrapido a Glamoo e a DigiTouch” continua la Marzario.

Oggi la startup ha un team di 25 persone con un’età media di 26 anni e il 70% di donne. E per il futuro sono già pronte nuove sfide. Entro la fine del 2014, infatti, Brandon Ferrari sarà il primo distributore online europeo a dotarsi di una innovativa piattaforma digitale plug-and-play che “industrializzerà” il processo di distribuzione: i retailer digitali potranno accedere autonomamente alle campagne e i brand italiani fornitori potranno caricare direttamente i loro cataloghi e prodotti. “L’obiettivo è quello di migliorare l’efficienza dei processi e creare un canale di comunicazione digitale tra brand e retailer, in modo da incrementare il volume di affari” dice la founder.

Del resto, lei è una abituata ai successi. Aveva poco più di 20 anni, studiava legge alla Bocconi, e la parola startup non era ancora di moda quando ha fondato la sua prima impresa, ItaliaCasting, una società in grado di unire domanda e offerta per l’organizzazione di eventi e casting. Nel 2008 la società fu venduta parzialmente (65% delle quote) al Gruppo Best Union Spa, uno dei principali operatori italiani nella gestione di sistemi di biglietteria elettronica. Poi la vendita totale alla Pavarotti & Friends per un milione e 400mila euro.

Insomma, in un Paese dove le startup spuntano come i funghi ma solo poche riescono a emergere, quelle di Paola Marzario hanno sempre successo. Perché? “Io credo che i problemi in Italia siano due: uno riguarda direttamente gli startupper, l’altro il sistema Paese. Lo startupper italiano è spesso egocentrico e pieno di sé. Non accetta consigli, non vuole delegare e non capisce che per fare startup serve un team. Io mi sono sempre circondata di gente che ne sa più di me ed è esperta in settori diversi dal mio. Non a caso, molte persone che lavorano con me hanno uno stipendio più alto del mio. Il secondo problema è che in Italia fare startup è una condizione che appartiene ai privilegiati: fai startup se sei mediamente ricco, non hai problemi economici, hai una famiglia alle spalle che ti può permettere di non prendere uno stipendio sicuro a fine mese. Questo perché la maggior parte dei bandi per startup in Italia si basa su un meccanismo perverso secondo il quale per partecipare bisogna già avere un budget a disposizione ed essere incubati. Gli incubatori sono importanti, ma sono ancora troppo pochi”. Ecco perché Paola Marzario non si fermerà al successo di Brandon Ferrari: “Quando arriverà il momento giusto, venderò questa startup e poi farò la business angel. Il mio sogno è aiutare i giovani che hanno grandi idee a realizzarle”.

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