Innovazione e professioni

Architetti contro startup, tutte le forze in campo

Cocontest, che favorisce l’incontro tra domanda e offerta per ristrutturare casa, è stata oggetto di un’interrogazione parlamentare per il meccanismo delle gare online. Ma in Italia nel settore ci sono anche realtà come la spagnola Habitissimo. Ed è appena arrivato il colosso americano Houzz (30 milioni di utenti). Saranno tutte denunciate all’Antitrust?

Pubblicato il 04 Giu 2015

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Federico Schiano di Pepe, cofondatore di Cocontest

Fino a ieri, la battaglia dell’innovazione si combatteva nell’ambito della mobilità: tassisti contro Uber e, in particolare, Uberpop. Ora lo scontro si sta allargando lentamente all’ambito del design. Da una parte ci sono un gruppo di architetti e di designer, dall’altra c’è una startup che ha sviluppato un portale dedicato alla ristrutturazione di case attraverso le dinamiche del crowdsourcing.

La piattaforma in questione si chiama Cocontest. Fondata nel 2012 a Roma dai fratelli Federico e Filippo Schiano di Pepe e da Alessandro Rossi, è un’azienda che permette di lanciare online contest per trovare idee progettuali di arredo e ristrutturazione di appartamenti secondo la formula del crowdsourcing: quando un cliente propone una gara per riprogettare uno spazio, gli arrivano decine di progetti dalla community tra i quali scegliere il migliore e affidare l’incarico.

Il 12 maggio, 9 parlamentari di diversa estrazione politica (da Sel a Fratelli d’Italia, passando per Partito democratico e Movimento 5 Stelle) hanno presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Obiettivo: verificare la legittimità di Cocontest.

Secondo la prima firmataria dell’atto, Serena Pellegrino (Sinistra ecologia e libertà), architetto, il servizio della startup romana andrebbe contro le norme riguardo al rapporto tra clienti e progettisti e porterebbe alla «schiavizzazione dei professionisti» in quanto li spingerebbe a lavorare gratuitamente perché soltanto il progetto che vince la gara (e il secondo e il terzo classificato) ricevono la retribuzione economica. Sotto accusa, infatti, è soprattutto il meccanismo del contest-“gara d’appalto”.

Insomma, per la prima volta si chiede conto in Parlamento dell’attività di una startup innovativa italiana con tanto di repliche al vetriolo da parte dei fondatori che, come ha riportato anche il presidente di Roma Startup Gianmarco Carnevale in un intervento su EconomyUp, hanno risposto con un emblematico «innoveremo senza permesso». E hanno precisato che la loro attività mira a solo democratizzare il mercato dell’architettura offrendo più chance ai tantissimi architetti (al momento sulla community di Cocontest, che al momento è impegnata in un programma di accelerazione nell’acceleratore californiano 500 Startups, ci sono più di 20 mila designer) che non fanno parte della ristretta «élite di professionisti che può fare lobbying in Parlamento».

Ma la guerra degli architetti contro Cocontest non si ferma a Montecitorio. Il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori ha anche denunciato la startup all’Antitrust, chiedendone il blocco delle attività.

«Viola le leggi italiane e le direttive europee che regolano il rapporto tra professionisti e clienti», sostiene l’accusa. «Dà solo idee di progetti, senza verificare se esse siano soluzioni architettoniche fattibili e se siano progettate da professionisti competenti e abilitati» e in più offre «informazioni ingannevoli che, nel contempo, screditano la categoria degli architetti».

E c’è di più. A rimorchio è arrivata anche la Fondazione Inarcassa, l’organismo creato da Inarcassa (la cassa nazionale di previdenza di ingegneri e architetti) per tutelare la categoria. L’apertura al cambiamento e alle nuove tecnologie «non può e non deve tradursi in un deprezzamento della prestazione o nella violazione dei diritti dei consumatori», ha detto Andrea Tomasi, presidente di Fondazione Inarcassa, sottolineando che non si può «abdicare alle garanzie imprescindibili poste a tutela di tutto il mercato della progettazione».

Gli ingredienti del caso Uber ci sono. Quasi tutti. Un’intera categoria contro una startup (anche se nel primo caso si tratta di un colosso da miliardi di dollari e qui di un’impresa neonata). Il timore che un servizio online potenzialmente disruptive, che già è fornito anche in vari settori tra cui la pubblicità, il design di prodotto e lo sviluppo di app, possa trasformare completamente le regole di un mercato. La diversità di linguaggio che caratterizza le due parti. E l’impressione, difficile da abbandonare, che in gioco non ci siano solo gli interessi – pur legittimi – di alcuni professionisti ma le reali possibilità di innovazione di un intero Paese.

Ma mentre nella vicenda Uber non ci sono altri player, almeno in Italia, sui quali si concentrano le rimostranze dei tassisti, nel mondo del design italiano – settore in cui il made in Italy fa da sempre la voce grossa – il numero delle piattaforme che offrono servizi secondo la logica del crowdsourcing aumenta di continuo. Magari con filosofie e processi differenti rispetto a quella seguita da Cocontest ma sempre con l’idea di fondo di agevolare e disintermediare online l’incontro tra clienti e progettisti. Gli architetti punteranno il dito anche contro di loro? Non si può escludere. Anche se non sempre le piattaforme che fanno incontrare domanda e offerta si basano sulla formula delle aste, che a ben vedere è l’aspetto più contestato dai professionisti in guerra contro CoContest.

Il sito Houzz.com

L’ultimo arrivato tra i portali di crowdsourcing dedicati al design, per esempio, è uno dei colossi del settore e non propone contest. Stiamo parlando di Houzz, una piattaforma online per la progettazione e ristrutturazione d’interni che può contare su 30 milioni di utenti e oltre 700 mila professionisti del design (architetti, arredatori di interni, imprese edili ed esperti del verde).

Fondata negli Stati Uniti nel 2009 da Adi Tatarko e Alon Cohen, coppia nel business e nella vita, ha ricevuto diversi finanziamenti milionari (l’ultimo round, di 165 milioni di dollari, da parte di un gruppo di investitori guidati da Sequoia Capital, risale al 2014) ed è sbarcata in Italia dal 27 maggio con una piattaforma ad hoc in italiano che già si basa su una community di 3.800 professionisti, oltre 100 mila utenti italiani che già utilizzavano il portale americano e una platea potenzialmente molto più vasta di estimatori del design made in Italy da tutto il mondo.

Houzz è una megavetrina online che contiene 6 milioni di foto (29 mila in Italia) di arredamento e design, a ciascuna delle quali è legata un link al professionista che ha progettato gli ambienti. Una volta approdati sulla pagina del designer, si possono consultare tutti i suoi progetti, leggere le recensioni postate da altri utenti che hanno già lavorato con lui e porgli domande di vario tipo.

Chi ha quindi bisogno di ristrutturare casa può visualizzare migliaia di proposte ed è libero di contattare qualunque professionista per commissionargli un lavoro. Non ci sono gare: la competizione è quella naturale di un mercato in cui chi propone il progetto più interessante ha più probabilità di guadagnarsi il cliente.

A sentire Mattia Perroni, country manager 29enne, Houzz non ha alcuna intenzione di mettersi contro gli

Mattia Perroni, country manager di Houzz

architetti. Anzi. «Noi vogliamo aiutare i professionisti anziché fare concorrenza sleale», dice. «Lavorare con il digitale in Italia è più difficile che altrove perché il legame con la tradizione è più forte. Quindi chi vuole innovare ha il dovere di proporre i cambiamenti contando su una forte conoscenza del territorio e della mentalità: non vale solo per il design, ma anche per altri settori che vengono rivoluzionati dal digitale come la mobilità».

Una posizione soft, quella di Perroni, che però riconosce indirettamente il ruolo dirompente delle tecnologie e del web. Un campo che il country manager di Houzz conosce bene, nonostante la giovane età, avendo lavorato con giganti come Rocket Internet in vari contesti tra Europa, Asia e Africa.

«Il nostro modello non prevede contest, aste al ribasso o altri meccanismi del genere», continua Perroni. «Il rapporto tra design e crowdsourcing può funzionare davvero solo se i professionisti li si conosce davvero e si dà loro una vetrina sul mondo: non a caso, il mio team non fa che chiamare ogni giorno gli architetti al telefono, a uno a uno, per spiegare loro come utilizzare la piattaforma al meglio».

Un’altra piattaforma che si è lanciata già da anni sul mercato italiano, forte di oltre 270 mila professionisti e imprese all’attivo, mezzo milione di foto di progetti e più di 2 milioni di visite al giorno, è Habitissimo, un’azienda spagnola fondata nel 2009 che ha trovato i suoi sbocchi commerciali principali nei Paesi latini (Spagna, Brasile, Portogallo, Argentina, Cile, Messico, Colombia) e in Turchia.

Su questo marketplace, per cui lavorano circa cento persone e che è stato premiato da Red Herring come una delle 100 migliori startup europee, ogni utente può pubblicare gratuitamente una richiesta di preventivo per ristrutturazioni e lavori domestici e ricevere proposte da un massimo di quattro professionisti o imprese del settore. In questo caso, come per CoContest o per altre realtà italiane come Desall, il meccanismo della gara è presente ed è determinante.

Ma secondo Jordi Ber, cofondatore di Habitissimo e responsabile del mercato italiano, pensare che questo tipo di piattaforme possa rappresentare una minaccia per la professione degli architetti oscura quello che può essere il vero vantaggio: «È una nuova forma di trovare clienti attraverso il web: siamo come dei “commerciali” per i nostri clienti».

Al di là delle rappresentanze istituzionali, che ora si schierano contro Cocontest e che potrebbero anche allargare il loro raggio d’azione, ci sono tanti professionisti che riescono a lavorare proprio grazie a questi portali online. Per quanto riguarda Habitissimo, Ber afferma: «In Italia, dove abbiamo più di 2000 clienti, gli architetti e i disegnatori stanno con noi perché realmente incontrano compratori, realizzano lavori e incrementano la fatturazione mensile. È dall’inizio della nostra attività che stiamo investendo in Italia e aiutiamo i professionisti a trovare nuovi lavori».

Il successo delle piattaforme online – riflette il cofondatore di Habitissimo – è legato naturalmente anche alle

Jordi Ber, cofondatore di Habitissimo

opportunità in più offerte ai clienti: «Il web offre la possibilità di leggere recensioni sui designer che hanno realizzato progetti o lavori: i feedback sono sempre più importanti, sia nel mondo degli hotel che in quello del design. In Spagna, l’80% dei consumatori su Internet compra solo dopo aver letto delle opinioni online circa il prodotto. E in Italia sta accadendo la stessa cosa».

Gli utenti ricevono un servizio più completo e possono informarsi meglio online. Ecco perché, secondo Ber, «non si dirigono più alle porte degli studi di architettura a chiedere preventivi: ora cercano sul web e poi, nel caso, comprano. Ecco perché credo che i professionisti del design e gli architetti debbano assolutamente prepararsi a essere presenti su internet».

Se il cliente ha sempre ragione, i portali online che operano attraverso gli strumenti del crowdsourcing sono destinati a diffondersi sempre di più. E probabilmente non basterà un’interrogazione parlamentare a fermare l’onda.

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