Regolamentazione

Sharing economy, via all’iter della legge

Parte nelle Commissioni Trasporti e Attività produttive della Camera l’esame della proposta sull’economia della condivisione, la prima in Europa. Intanto prosegue fino al 31 maggio la consultazione pubblica sul testo. Tra i punti chiave: tassazione delle attività e un registro per gli operatori. Le linee guida dell’Unione attese per giugno

Pubblicato il 04 Mag 2016

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Sharing economy, via all’iter legislativo. Parte oggi 4 maggio alla Camera dei deputati, nelle commissioni congiunte Trasporti e Attività produttive, l’esame dell’atto 3564 battezzato “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione“, più nota come proposta di legge sulla sharing economy.

Qui è scaricabile il testo completo della proposta di legge

Nel frattempo continuerà fino al 31 maggio la consultazione pubblica sull’articolato coordinata dagli Stati Generali dell’Innovazione. Clicca qui per accedere alla consultazione pubblica

La proposta di legge è stata presentata il 2 marzo alla Camera da alcuni deputati dell’Intergruppo Parlamentare per l’Innovazione Tecnologica. Ha dieci firmatari (Veronica Tentori, Antonio Palmieri, Ivan Catalano, Sergio Boccadutri, Francesca Bonomo, Enza Bruno Bossio, Paolo Coppola, Adriana Galgano, Stefano Quintarelli, Lorenzo Basso) ed è stata messa a punto dopo un anno e mezzo di audizioni e discussioni. L’obiettivo è regolamentare questo settore che finora è riuscito a sfuggire a classificazioni e recinti: la sharing economy. Una sfida non facile a partire dalla definizione stessa del termine. Il testo recita: è un’economia “generata dall’allocazione ottimizzata e condivisa delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi tramite piattaforme digitali” i cui gestori “agiscono da abilitatori mettendo in contatto gli utenti e possono offrire servizi di valore aggiunto”; inoltre “tra gestori e utenti non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato”. Ma cosa sia veramente la sharing economy è una questione tuttora aperta e fonte di dibattito a livello internazionale, perché il fenomeno è recente e in forte espansione. Per questi motivi, tra l’altro, si sono sviluppate una varietà di definizioni parallele: da “peer economy” a “economia collaborativa”, da “economia on-demand” fino a “gig economy” o “economia dei lavoretti”. Termini a volte usati in modo intercambiabile, ma che, secondo gli esperti, indicano in realtà cose molto diverse.

Sharing economy: cosa è e perché è difficile dire cosa è

Un’ulteriore sfida è quella di voler essere i primi in Europa a proporre una legge in tal senso. In questi giorni l’Unione Europea ha rimandato a giugno la pubblicazione delle “Linee guida sulla Sharing Economy” indirizzate agli Stati Membri. L’Italia si è attivata con anticipo.

Cosa contiene la proposta di legge – L’articolo 1 detta le finalità della legge mentre a delimitare il perimetro è il secondo articolo in cui dall’economia della condivisione sono escluse “piattaforme che operano intermediazione in favore di operatori professionali iscritti al registro delle imprese”: quindi Uber sarebbe fuori dal perimetro delle nuove regole, mentre Airbnb vi rientrerebbe. Tra i punti principali anche la questione fiscale. L’obiettivo è differenziare chi offre servizi per integrare il reddito da chi lo fa come attività professionale. La soglia che funzionerà da discrimine è 10.000 euro l’anno: al di sotto verrà applicata una tassazione del 10%, al di sopra i redditi “saranno cumulati con quelli da lavoro dipendente o autonomo e ad essi verrà applicata l’aliquota corrispondente”. Ovviamente un requisito essenziale delle piattaforme è prevedere transazione di denaro attraverso sistemi di pagamento elettronico. Infine altri due passaggi qualificanti del provvedimento: le piattaforme della condivisione dovranno iscriversi a un Registro elettronico nazionale tenuto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (articolo 3) e dovranno trasferire all’Istat tutte le informazioni statistiche su utenti – naturalmente senza violare il diritto alla privacy – e fatturati (articolo 9), in modo da costruire un quadro attendibile del peso economico della sharing economy in Italia.

“Dopo la presentazione pubblica, la proposta è arrivata in Commissione in tempi relativamente brevi, solo due mesi: un segnale positivo” commenta Antonio Palmieri (Forza Italia), esponente dell’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione e tra i promotori della proposta. “Finora il governo non si è pronunciato sulla questione, ma è possibile che lo faccia dopo l’avvio della discussione in parlamento. La proposta – spiega Palmieri – è stata incardinata in due commissioni perché purtroppo le questioni relative al digitale in Italia sono frammentate in diverse commissioni. Sarebbe l’ora di rinnovare questo vecchio criterio di assegnazione. Il fatto che debbano occuparsene due commissioni invece di una potrebbe rallentare i tempi, ma noi siamo fiduciosi”.

Non tutti però sposano in pieno i contenuti della proposta di legge. Secondo Manolo Farci, sociologo dell’Università di Urbino, il testo contiene “alcuni limiti che sono legati, anzitutto, ad una incapacità concettuale di capire cos’è davvero la sharing economy e quale differenza sussista tra sistemi che si fondano sull’idea di condivisione di beni e servizi rispetto a forme di business vere e proprie, che fino ad adesso hanno agito senza alcun quadro normativo in grado di regolamentarle”.

Sulla questione è intervenuto anche Fabio Sdogati, Professore Associato di Economia Politica presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano. “La parola condivisione – sostiene – è (secondo me) adeguata quando si parla di diritti di proprietà condivisi da diverse persone, fisiche e giuridiche, ma non quando ciò che costituisce oggetto di ‘condivisione’ rimane di proprietà di una delle parti, mentre l’altra ne fa uso per un tempo limitato e dietro compenso pagato al proprietario”.

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