ECOSISTEMA

Roma Startup debutta in società

Per la prima volta l’Associazione nata per coltivare l’ecosistema dello startupping nella capitale chiama a raccolta membri e istituzioni. Il presidente Carnovale: “La nostra città è pronta, ora serve il venture capital”

Pubblicato il 04 Feb 2014

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Roma Startup debutta in società. Dopo un anno e mezzo di lavoro preparatorio e di incontri bilaterali, ieri l’Associazione che si propone come luogo di confronto e coordinamento tra i membri dell’ecosistema dello startupping della capitale ha chiamato per la prima volta a raccolta tutti gli associati e i rappresentanti delle istituzioni nella sede di Working Capital. È il fischio ufficiale di partenza per una realtà con molti obiettivi e grandi ambizioni. Ed è stata anche l’occasione per annunciare la nascita, in seno alla Regione Lazio, di una Commissione ad hoc dedicata alle start up.

“Roma non è ancora un hub – ha esordito il presidente di Roma Start Up, Gianmarco Carnovale – perché manca il venture capital, ma per il resto ci sono tutti gli elementi, dalle Università ai consorzi, dalle grandi alle piccole imprese a realtà come Telecom Italia che, attraverso Working Capital, lavorano per incentivare l’imprenditorialità. La nostra missione è coltivare questi elementi affinché si radichino sul territorio”.

A tratteggiare alcune criticità, per poi indicare le linee-guida verso un miglioramento dell’esistente, ci ha pensato Carlo Alberto Pratesi di InnovAction Lab, associazione non-profit nata nel 2011 per sostenere i giovani aspiranti imprenditori. “Nella Top20 dei migliori ecosistemi per startupper del mondo – ha ricordato – non c’è nemmeno una città italiana, mentre troviamo Bangalore, Santiago del Cile, Sao Paulo e anche centri dell’Africa subsahariana”. Ribadendo la necessità della presenza di venture capitalists, Pratesi ha comunque sottolineato che “se vogliamo far venire investitori privati, bisogna avere anche investitori pubblici, perché investire in aziende appena nate comporta un grado di rischio molto elevato”. Quindi ha indicato quello che, a suo parere, servirebbe per trasformare Roma in un grande hub internazionale: un cambio di mentalità (“Per le madri israeliane è un orgoglio avere un figlio imprenditore, per quelle italiane molto meno”); strutture e servizi (spazi di co-working, housing programmes, incubatori, acceleratori, business angels); risorse finanziarie (detassazione, sburocratizzazione); e attenzione all’exit, ovvero riuscire a convincere le grandi imprese a cogliere l’innovazione che arriva dalle start up.

Anche per Salvo Mizzi di Working Capital è “necessario incentivare le exit”, ma pure “riflettere sulla capacità di capitalizzare sui propri errori”.

La voce delle istituzioni è arrivata da Giampaolo Manzella, consigliere regionale addetto ai rapporti con la Ue, Paolo Ornelli, capo di segreteria dell’assessore regionale alle Attività produttive Guido Fabiani, Mattia Corbetta, della segreteria tecnica del Ministero dello Sviluppo economico e Laura Tassinari, direttore generale dei Bic Lazio.

Dai loro interventi è emerso il quadro di una città e una Regione pronte a investire in modo concreto nella imprenditorialità innovativa. Come ha detto Paolo Ornelli, “serve un salto in avanti e non è un problema di soldi: le risorse ci sono e la Regione sta sostenendo vari bandi dedicati alle start up. L’importante è riuscire a mettere in rete le esperienze esistenti”.

Infine Carnovale ha ribadito la necessità di rendere Roma un polo di attrazione di investimenti esteri. “Roma ha bisogno di un proprio evento business-oriented, con un proprio brand, senza prendere in prestito marchi da soggetti terzi. Anche così possiamo attirare venture capitalists nella nostra città”.

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