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Premio Che Fare, ecco un’Italia imprevista e piena di speranza

L’iniziativa organizzata dall’associazione Doppiozero, Domenica de Il Sole24ore ed Enel, lancia un messaggio importante: “Con la cultura si mangia, se sai come muoverti. Il modello delle startup può funzionare. È importante sviluppare un’ idea e ragionare su come renderla economicamente sostenibile”

Pubblicato il 04 Apr 2014

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Con la cultura si mangia, se sai come muoverti. Ne sono convinti gli organizzatori del premio Che Fare, che per il secondo anno ha assegnato 100mila euro alla startup culturale che è riuscita a coniugare al meglio impatto sociale, innovazione e sostenibilità. Un miraggio? Per nulla secondo Bertram Niessen, Project Manager dell’associazione Doppiozero che, insieme a partner come Domenica de Il Sole24ore e Enel, ha dato vita all’iniziativa.

“Bisogna cercare di fare cultura in modo nuovo – racconta –­ anche perché fondi e contributi pubblici sono sempre più ridotti all’osso. Per questo il modello della startup, che pur tra molte difficoltà è un settore in crescita, può funzionare. È importante sviluppare un’ idea e allo stesso tempo ragionare su come renderla economicamente sostenibile. La cultura ha tempi e modi diversi da quelli delle imprese più tradizionali, ma un progetto di business è fondamentale”.

L’idea del premio nasce proprio dalla necessità di imprimere una nuova direzione a chi si propone di fare cultura in Italia: “Vogliamo essere un’ esca per far venire fuori le idee”, spiega Niessen. E di idee, in due anni, ne sono venute fuori centinaia. (Qui le 40 idee migliori della seconda edizione)

Che Fare ha esordito nel 2012 con 506 progetti presentati e sei finalisti selezionati dalla rete con 40mila voti. A un anno di distanza il coinvolgimento della comunità quasi raddoppiato: i 612 progetti arrivati, ridotti a 40 da un team di esperti sono stati votati da oltre 71mila persone. Tra i 9 più apprezzati la giuria ha scelto e annunciato, il 3 aprile scorso il vincitore Di Casa in Casa, che si propone di costruire una rete di coordinamento tra le 9 Case del Quartiere di Torino per mettere in comune esperienze, progetti e attività.

“Ognuna delle strutture è nata con un percorso differente­ – dice Renato Bergamin, responsabile del progetto­ – e con il tempo ci siamo resi conto che per diventare più forti era necessario costruire un network condiviso di esperienze e abilità”. Le “Case” ospitano 300 corsi, 9 tra ristoranti, caffetterie, baby parking, spazi in affitto che permettono una sostenibilità fino al 70% e nel 2013 hanno registrato oltre 400 mila presenze, nei prossimi mesi lavoreranno sull’organizzazione interna, la formazione degli operatori, quasi 80 fra part­time e full time, e su progetti da realizzare insieme.

“Vogliamo far partire una rassegna di spettacolo itinerante, corsi di economia solidale e contro la violenza sulle donne, seminari su temi ambientali e multiculturalità. Abbiamo anche previsto lo sviluppo di un piano di comunicazione per far comprendere alle amministrazioni locali e nazionali quello che stiamo facendo e magari fare da modello anche per altre città”. Di 9 uno ce la fa, ma gli altri? “Per noi i progetti finalisti sono tutti ugualmente importanti, per questo rimaniamo in contatto con tutti e continuiamo a seguirne lo sviluppo anche nei mesi successivi”.

Come avverrà per A di Città e Kinodromo, citati anche dalla giuria. “Per molti Che Fare è stato anche una vetrina ­ continua:­ per esempio il primo degli esclusi, Dolomiti Contemporanee, ha già avuto dei finanziamenti”. Lìberos, il progetto vincitore della prima edizione che ha tra i soci fondatori anche la scrittrice Michela Murgia, “ha numeri molto buoni”,­ spiega Niessen­, “e sta sviluppando un proprio percorso di sostenibilità economica”. E anche i sei finalisti del 2012 sono tutti riusciti a realizzare la propria idea. Una nuova Italia, sintetizzata perfettamente dalle parole della giuria, “imprevista e piena di speranza”.

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