Svolta a Bruxelles

Mind the bridge, un piano per l’Europa delle startup

La fondazione italiana gestirà un progetto comunitario annunciato a Davos dal commissario Neelie Kroes: Startup Europe Partnership. Obiettivo: avvicinare start up e imprese tradizionali. Il presidente Alberto Onetti spiega come funziona lo strumento che sarà utilizzato: il Job Creator Tour

Pubblicato il 23 Gen 2014

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«Si tratta di rompere il soffitto di vetro che impedisce alle nostre aziende di sfondare, di diventare veri campioni come Facebook o Instagram». Alberto Onetti ha chiaro l’obiettivo della grande azione che nei prossimi mesi dovrà gestire Mind The Bridge, la fondazione che presiede e a cui è stato affidato il progetto comunitario annunciato a Davos dal Commissario per l’Agenda digitale Neelie Kroes: lo Startup Europe Partnership. Obiettivo, appunto, far avvicinare vecchio e nuovo mondo, grandi aziende e nuove imprese innovative. Mind the Bridge ha già lo strumento, testato e affinato tra Italia e Stati Uniti, il Job Creator Tour. Adesso si tratta di riproporlo nel Vecchio Continente. Il primo appuntamento a marzo, a Bruxelles ovviamente. In totale ne sono previsti almeno cinque l’anno.

La sfida è difficile ma non impossibile. Il matrimonio tra start up e Pmi, in particolare, s’ha da fare. Come? Lo abbiamo chiesto direttamente ad Alberto Onetti.

Il rapporto tra Pmi e start up in Italia funziona?
“Citando Manzoni, questo matrimonio s’ha da fare. Ma ci sono diverse difficoltà. Si tratta di due mondi abbastanza scollegati. Due universi paralelli quantitativamente sbilanciati in cui l’impresa tradizionale è prevalente e le start up sono una briciola. C’è un problema di mentalità e di comprensione reciproca. Le start up guardano con sospetto al mondo imprenditoriale tradizionale: lo vedono, sbagliando, come qualcosa di passato. L’impresa tradizionale fa fatica a capire le start up”.

A cosa è dovuto?
“È un po’ lo stesso problema del digital divide. Ci sono molte imprese sedute sulle routine esistenti. Basta vedere come si presentano su Internet. Fanno prodotti spettacolari ma se hanno un sito ed è tradotto in inglese è già tanto: pretendere che il sito sia anche attraente e preveda forme minime di interazione è pura fantascienza. È difficile però capire fino a che punto le imprese si rendano conto che l’universo produttivo ha smesso di crescere per mancanza di innovazione. Forse è anche dovuto all’età media troppo alta della generazione al comando. È la stessa classe dirigente che osteggia tutto ciò che non capisce, non usa Facebook e dice ancora “mandami un fax”. Poi, certo, ci sono quelli lungimiranti e aperti al nuovo ma sono una minoranza”.

Mind The Bridge vuole comunque tentare di mettere insieme queste due realtà ancora distanti. Come?
“Per noi è arrivato il momento di creare un ponte tra questi due mondi e puntiamo molto sul prossimo Job Creator Tour. Il format non è nuovo ma è consolidato già da tre anni. Prima lo chiamavamo Mind The Bridge Italy tour. Poi, ci siamo accorti che andando in giro per l’Italia a raccontare cose come le strategie per creare una start up, come si scrive un business plan, come si tratta con un investitore contribuivamo a creare posti di lavoro. E quindi abbiamo pensato di denominarlo così”.

Come si è svolto finora Job Creator Tour?
“Facciamo selezione dei progetti imprenditoriali locali più interessanti in diverse città d’Italia: Nord, Sud, Centro, Isole comprese. I progetti più interessanti li associamo alla nostra Start up School a San Francisco: li mandiamo a farsi le ossa. E quando queste start up tornano in Italia da questo percorso riescono sempre a fare bene. È stato un grosso successo. Abbiamo diffuso tanta cultura imprenditoriale: organizziamo un evento del genere ogni qual volta un partner locale vuole coltivare i semi che gettiamo”.

Come è organizzato?
“La mattina facciamo education, il pomeriggio replichiamo le gym session che facciamo nel nostro incubatore in Silicon Valley in cui le start up possono presentare i loro progetti davanti a mentori, imprenditori e investitori. Alla fine, commentiamo i progetti pubblicamente”.

Cosa avrà di nuovo l’edizione 2014?
“Il format che abbiamo in mente prevede un passo in avanti: aggiungere un momento di incontro con le imprese tradizionali locali e con le associazioni imprenditoriali. Accanto alla fase in cui le start up più interessanti esporranno i loro progetti, saranno previsti momenti di presentazione di alcune aziende locali che stanno facendo scouting di nuove tecnologie. L’obiettivo è fare matching tra queste realtà. Favorire il melting pot.

Chi partecipa a questi eventi?
“C’è un po’ di tutto. Studenti interessati all’argomento, imprenditori, imprese, associazioni imprenditoriali. Finora però le Pmi hanno dato un contributo ‘giù dal palco’, più da spettatori interessati che da protagonisti. Oppure hanno aiutato garantendo agevolazioni, come è accaduto nella tappa napoletana, dove alcune borse di studio sono state offerte da banche e associazioni locali. Ora il nostro compito è portare le imprese tradizionali sul palco. Fare in modo che presentino le loro richieste di tecnologie e di talenti”.

Che modelli di collaborazione si possono sviluppare?
“Quello che ho in mente io, perché mi sembra il più efficace, è l’acqui-hiring: un modello in cui la Pmi rileva la start up non solo per l’idea di business ma soprattutto per acquisire le competenze e la carica innovativa del team della startup. Poi possono esserci altri modelli di ‘adozione’: ospitare start up nella propria sede per assorbire innovazione quasi per osmosi, fare da angel investor… Insomma, ogni formula che avvicina due mondi culturalmente distanti è ben accetta”.

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