Social eating

In casa Slow Food nasce la startup anti-Gnammo

Studenti dell’Università di Scienze gastronomiche promossa dall’associazione di Carlo Petrini hanno acquistato negli Usa una piattaforma di social eating, Suppershare, che stanno implementando. “Diversamente dai competitor – dice il founder Valerio Leo – abbiamo alle spalle i valori e il network internazionale di Slow Food”

Pubblicato il 16 Dic 2014

suppershare-141216124342

I founders di Suppershare. Da sinistra a destra: Alessandro Grampa, Maurizio Chisu, Valerio Leo

Arriva dal mondo di Slow Food il potenziale competitor italiano di Gnammo, startup del food incentrata sul “social eating”.

Due giovani studenti dell’Università degli Studi di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Cuneo) promossa da Slow Food, Valerio Leo e Alessandro Grampa, sono al lavoro su una piattaforma acquistata da italiani residenti a San Francisco, Suppershare, che attualmente funziona come altre analoghe sparse per il mondo: mette cioè in contatto utenti privati che propongono un pranzo o una cena a casa loro con altri utenti privati disposti ad acquistare un posto a tavola. Ma la differenza, sottolineano i founders, la fa proprio l’Università, che ha dato il patrocinio all’iniziativa e mette naturalmente a disposizione degli startupper un network di persone provenienti da 73 Paesi, particolarmente interessate al cibo e a determinati valori legati alla sua coltivazione, produzione e consumo.

Non a caso quando i due colleghi universitari – Valerio, 24 anni, brindisino, e Alessandro, 22, residente a Milano – hanno cominciato a pensare a una piattaforma di social eating, ne hanno subito parlato con Carlo Petrini, fondatore e presidente dell’associazione internazionale no profit attiva in 150 Paesi, nonché presidente dell’Università di Scienze gastronomiche. “Ci ha suggerito – spiega Valerio a EconomyUp – alcuni modi per legarla al territorio e ci ha indicato come potevamo sfruttare i metodi appresi in ambito universitario per portare avanti il progetto”.

Nel frattempo i due giovani hanno cominciato a guardarsi intorno e hanno realizzato che, invece di costruirne una da zero, era più vantaggioso acquistare una piattaforma chiavi in mano per poi inserire ulteriori specifiche. La scelta è caduta su Suppershare, fondata a San Francisco da italiani residenti nella città statunitense, Roberto Scaccia e Nicola Lioce. “Ci teniamo a sottolineare – dice Valerio – che questo è uno dei rari casi di startup che viaggiano al contrario. Per una volta qualcosa è nato all’estero e sta mettendo radici in Italia, invece delle solite fughe aziendali a cui siamo abituati”.

Non c’è stato nemmeno bisogno di volare negli Usa: la transazione è avvenuta online, per una cifra che i due founders non intendono svelare. “Tutti soldi nostri e delle nostre famiglie” specifica l’intervistato, che sta seguendo il percorso tipico di ogni startupper che si rispetti: investimento iniziale di tasca propria, lavoro 24 ore su 24 sette giorni su sette, contatti in corso con potenziali investitori e aziende interessate a partnership. Nel frattempo ai due si è aggiunto un terzo socio: Maurizio Chisu, bocconiano che ha successivamente conseguito un double degree a Shangai.

A luglio il loft milanese di Lovethesign, startup di e-commerce dedicata all’home design, ha celebrato l’arrivo in Italia di Suppershare con una serata speciale a base di design, cibo e socialità, con materie prime fornite da Eataly.

Ma in cosa Suppershare intende distinguersi dai molti competitor In Italia, come abbiamo detto, c’è Gnammo, fondata un paio di anni fa da Gian Luca Ranno, oggi Ceo, Walter Dabbicco, Cmo, e Cristiano Rigon, Cto: sulla piattaforma l’utente (il cuoco) può inserire la descrizione del pasto che intende preparare, specificando la cifra richiesta a persona, e raccogliere adesioni dagli interessati (gli gnammer).

Qui la storia di Gnammo insieme a quella di altre aziende incentrate sul concetto di sharing economy

Nel mondo tra le piattaforme più note di social eating si può citare EatWith. “Sono cresciute come funghi – commenta Valerio – ma sono tutte uguali, cambia solo l’interfaccia. Noi offriremo qualcosa di diverso”.

Lo startupper preferisce non scendere in dettagli, perché, nonostante la piattaforma sia operativa, è ancora in una fase iniziale. “Al momento siamo al lavoro su ben 7 diverse funzionalità inedite e mai utilizzate dai nostri competitors – dice – è solo questione di tempo prima che vengano rilasciate. Al più tardi sarà a febbraio. Alcune di loro sono, a nostro parere, davvero notevoli e porteranno il social eating ad un livello mai visto prima. Mi piacerebbe poter dire di più ma rovineremmo la sorpresa”.

In ogni caso fa capire che, alla base, c’è un progetto radicato nell’ecosistema Slow Food. “I nostri utenti avranno a che fare con piccoli produttori, economia locale, tradizione. Abbiamo una rete all’interno dell’università che ci consente di raggiungere milioni di persone in tutto il mondo. Concretamente potremmo usarla già soltanto per iniziare a contattare persone interessate all’argomento ‘cibo’. Nel nostro ateneo ci sono circa 500 studenti provenienti da varie parti del globo: in prospettiva si potrebbe fare un suppershare.birmania o suppershare.uganda. In un certo senso i nostri colleghi universitari potrebbero essere gli ambasciatori di Suppershare nel loro Paese d’origine”.

Intanto i ragazzi sono al lavoro per portare la piattaforma in altri 5 Paesi a partire dal prossimo anno, in primis Usa, Spagna e Argentina. “Ci proponiamo di dare un contributo all’economia locale. In Argentina, per esempio, con la moneta locale altamente inflazionata, cucinare in casa propria per i turisti che pagano in euro o in dollari può fruttare molto agli abitanti locali. I valori di Slow Food sono buono, pulito, giusto. Giusto vuol dire dare il giusto valore a chi lavora nell’agricoltura e produce cibo per le nostre tavole. Cercheremo di avvicinare i nostri guest a un tipo di cucina di questo tipo”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4