Capello: “No a finanziamenti statali diretti nelle startup”

Il founder di LuissEnlabs commenta l’intervento di Marianna Mazzucato: “Per lo Stato è complesso decidere chi merita e chi no. Facciamo come in Israele: un Fondo statale che finanzi fondi privati e si limiti a indicare le linee di investimento”

Pubblicato il 05 Mar 2014

Sì agli interventi pubblici per l’imprenditoria ma solo se “indiretti”: per le startup serve la creazione di un Fondo dei Fondi statale, come ha fatto Israele una ventina di anni fa. Così Luigi Capello, founder di Luiss Enlabs e founder e ceo di LVenture Group, holding di Venture Capital quotata alla Borsa di Milano, commenta il recente intervento sulle startup di Mariana Mazzucato. In un articolo la docente di Economia dell’Innovazione allo Spru (Science and Technology Policy Research Centre) dell’University of Sussex nel Regno Unito ha invitato, riferendosi in particolare alla situazione inglese, a non essere ossessionati dal “mito” delle startup e a sviluppare un ecosistema innovativo nel quale le imprese appena nate riescano a crescere attraverso un’interazione tra investimenti pubblici e privati.

Mazzucato ricorda che molte aziende della Silicon Valley hanno beneficiato direttamente di finanziamenti early-stage erogati dal governo. Lei è d’accordo con questa modalità di intervento?

Lo Stato, a mio parere, non deve erogare investimenti per via diretta, che peraltro prevedono procedure complesse e fanno emerge dubbi sui criteri in base ai quali debba essere valutata la validità di un’iniziativa. Piuttosto serve la creazione di un Fondo dei Fondi che vada ad alimentare gli investimenti privati. Lo ha lanciato nel 1993 lo Stato di Israele: si chiamava Yozma e puntava a far nascere un’industria locale di venture capital che al tempo non esisteva. Partito con un plafond di 100 milioni di dollari, ha realizzato investimenti in 20 fondi destinati alle startup. Gli investimenti erano coperti fino a un massimo del 40% da Yozma, ovvero dai soldi dello Stato, e per il restante 60% da privati. Ha funzionato, sono nate tante nuove imprese e lo Stato ci ha guadagnato. Poi dopo 5 anni ha chiuso i battenti, ma perché il mercato era già diventato molto competitivo e non era necessario proseguire con il programma. Non è un caso che oggi Tel Aviv sia tra le startup city più produttive del mondo. Certe cose partono da lontano. Inoltre attraverso un Fondo dei Fondi lo Stato può indicare le linee strategiche sulle quali investire: è una sorta di comando a distanza.

L’economista sostiene che, nonostante il governo inglese spenda direttamente o indirettamente circa 8 miliardi di sterline ogni anno per le pmi, solo l’1% ha un fatturato oltre il milione di sterline dopo l’inizio dell’attività. Pensa che sia così anche in Italia?

Potrebbe essere così: dal mio osservatorio di LuissEnlabs, dove circolano tante startup, è ancora presto per dire quante di loro supereranno, faccio un esempio, il milione di euro di fatturato. Certo, lo auspico e sono fiducioso che questo avverrà. Però il rischio effettivamente c’è se non si alimenta l’ecosistema. Perché su questo sono perfettamente d’accordo con la docente: l’ecosistema è essenziale. Ma esiste già: sono gli incubatori e gli acceleratori d’impresa come il nostro. Per ridurre il rischio e aumentare il tasso di successo, i soldi pubblici dovrebbero essere investiti non direttamente nelle singole startup, ma appunto in questi ecosistemi già esistenti. Negli acceleratori della Silicon Valley c’è spesso, appesa al muro, una foto del presidente Barack Obama in visita: non è un caso che sia lì, perché è lì che si sviluppano le interazioni necessarie a coltivare un’impresa. Insomma, c’è il futuro.

E come commenta l’affermazione della Mazzucato, secondo la quale al venture capital non interessano i finanziamenti a lungo termine necessari per le innovazioni più radicali, perché focalizzati su exit a breve termine?

Su questo sono perfettamente d’accordo. La ricerca necessita di tempi lunghi, anche 10 o 20 anni, mentre il venture capital ha altre dinamiche. È chiaro che nel caso del finanziamento delle auto elettriche, citato dalla docente, occorrono investimenti pubblici significativi e a lungo termine. Nel mondo digitale, invece, per creare una startup può essere sufficiente un capitale iniziale di 30mila. Ma, appunto, si deve sempre sostenere la ricerca.

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