Anselmo (Iban): gli incubi e le fatiche del business angel

«Le startup non sono più frutti esotici, si trovano a chilometro zero. Ma c’è più concorrenza», dice il presidente dell’Associazione che riunisce circa 500 investitori informali. «Un problema è certamente lo scarso numero di vendite, che non incoraggia i nuovi investimenti»

Pubblicato il 26 Giu 2014

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Paolo Anselmo, presidente di Iban, Italian Business Angel Network

«Le startup non sono più frutti esotici. Adesso si trovano a chilometro zero e nei supermercati di quartiere e questo sta cambiando anche il nostro lavoro». L’immagine è di Paolo Anselmo, presidente di Iban (Italian Business Angel Network), l’associazione che dal 1999 riunisce i business angel (poco meno di 500) e ha contribuito a creare e “istituzionalizzare” questa figura in Italia. I business angel sono quei signori, di solito ex manager con una buona riserva di denaro che, “informalmente” e a titolo personale, investono in progetti d’impresa ai primi passi. Valgono poco più di 30 milioni l’anno, un terzo del mercato totale dei capitali di rischio, e sono quindi gli angeli custodi di tante startup. Quanti sono? Cosa fanno e come stanno? Ce lo racconta Paolo Anselmo, business angel da circa 10 anni, prima in maniera indiretta come gestore di due incubatori e poi in modo diretto.

Presidente, ci spiega questa storia dei frutti esotici e delle startup a chilometro zero?
Tutto è cambiato negli ultimi 3/5 anni. E’ aumentata l’attenzione, gli spazi di comunicazione e si sono moltiplicate le competizioni a livello territoriale. Oggi per una startup di valore non è difficile farsi conoscere.

E questo mutamento che effetti avuto nel vostro lavoro di talent scout finanziari?
Fare il business angel è più facile e più difficile al tempo stesso. Non dobbiamo più diventare matti per trovare una startup interessante su cui investire ma, siccome adesso lo fanno in molti, abbiamo più concorrenza che in passato.

Quanti sono i business angel in Italia?
Iban associa persone fisiche ma anche persone giuridiche, i club degli investitori, che a loro volte riuniscono altre persone fisiche. Diciamo che in Italia, come in tutti i Paesi dove non esiste un registro pubblico di chi ottiene le agevolazioni fiscali riservate a chi investe in startup, è impossibile avere un numero certo. Noi stimiamo che i business angel che nell’ultimo triennio sono stati attivi almeno una volta siano poco meno di un migliaio. Se esistesse un registro come quello per le startup innovative o gli incubatori certificati, sarebbe più facile avere un censimento.

Vorreste anche voi un albo? Una certificazione?
Non la chiederei perché in questo momento negli Stati Uniti la Sec sta vagliando una normativa per certificare i business angel e sta stringendo molto le maglie. Però, visto che quando uno diventa imprenditore si registra alla Camera di commercio o se diventa dirigente si iscrive a qualche associazione, potrebbe essere opportuno definire una forma di diritto societario per il business angel.

Qual è l’incubo del business angel?
Non so se sia un incubo, ma sicuramente è un problema lo scarso numero di exit, di vendite. Io decido di destinare un parte del mio patrimonio su questo fronte ma se dopo tre anni non faccio nessuna vendita, non investo più. L’angel seriale esiste solo quando c’è un mercato regolare di exit. Altrimenti si mette in standby

Le agevolazioni fiscali previste da pochi mesi anche in Italia non sono uno stimolo importante?
Sì, ma l’investimento viene deciso perché c’è un modello di business ritenuto interessante e scalabile non certo per il beneficio fiscale, che è benvenuto per carità.

Parallelamente alla visibilità delle startup è aumentata anche la disponibilità di risorse finanziarie?
Bisogna fare una considerazione su quello che è il prodotto disponibile sullo scaffale. Non è detto che il sistema abbia la capacità di produrre ogni anno un numero significativo di progetti eccellenti su cui investire. In seconda battuta è ovvio che la crisi generale ha contratto le disponibilità patrimoniali degli angel. Però è nato l’istituto della syndacation: se 5 anni fa una persona investiva da sola, 3 anni fa si univa ad altri 4, adesso un investimento si fa anche in 10.

A quali settori guardano in questo momento i business angel? Sta passando la sbornia digitale?
La sbornia digitale è sempre stata particolarmente rilevante: siamo sempre stati attorno al 50% degli investimenti, perché sono i progetti più facili da capire e meno capital intensive. Sono convinto che nel prossimo triennio la meccatronica sarà un settore in rapida evoluzione, perché rappresenta l’applicazione della tecnologia alla produzione. Cresce, invece, molto poco la componente biotech, troppo capital intensive, e poco la componente legata all’anergia, nonostante diversi tentativi, forse perché c’è scarsa attenzione da parte degli startupper.

Crowdfunding, siamo pronti in Italia o c’è ancora troppa solo tanta frenesia?
Il crowdfunding è un ottimo strumento e ci sono già i primi casi di successo. Ma avere 50 piattaforme di crowdfunding in Italia mi sembra un’esagerazione.

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