
Da circa 10 anni la famiglia Faccioli cercava un partner forte per sostenere lo sviluppo internazionale. Per un po’ ha fatto tutto da sola. Adesso che la pasticceria Cova è stata mangiata dal gigante Lvmh fa un certo fastidio sentire le inutili geremiadi sul made in Italy conquistato dallo straniero. Meglio così, piuttosto che vedere il declino di un marchio e di un’impresa visto che nessun imprenditore italiano ha voluto o saputo fare la sua parte. Inutile piangere sul made Italy versato.
Ricordo che anni fa, il giornale che allora dirigevo diede la notizia dell’interesse di Armani per la storica pasticceria luogo d’incontro della buona borghesia milanese che prende caffè, beve Campari, chiacchiera ma quando è il momento di impegnarsi si defila preferendo nascondere altrove i capitali di cui dispone. Non se ne fece nulla, così come con il patron di Prada Patrizio Bertelli. Evidentemente monsieur Arnault è stato più convincente. E più convinto. E sia il benvenuto se riuscirà a dare a Cova e ai suoi panettoni quella spinta finanziaria, e non solo, che la famiglia Faccioli da sola non poteva avere.
Del resto non è un’eccezione l’attenzione dei francesi per il Made in Italy. E non penso solo ai tanti marchi della moda che hanno cambiato tricolore. L’assenza sulla scena internazionale di un’impresa italiana della grande distribuzione spinse poco più di un anno fa l’ex ministro dell’Agricoltura Mario Catania a fare un accordo per la promozione dei prodotti alimentari italiani con Auchan, che da parte sua ha creato una società per selezionare, acquistare e distribuire parmigiano e prosciutti nei suoi punti vendita. Evidentemente il business c’è.
Continuiamo pure a piangerci addosso, a organizzare convegni, a inveire contro l’italian sound (il falso made in Italy), a smontare e rimontare istituti per il commercio estero, tavoli ministeriali, consorzi e associazioni. Tanto al made in Italy ci pensano i francesi. Per la gioia dei tanti fan di Napoleone.