Made in Italy
La lezione Natuzzi: di troppo export si può anche morire
Una brutta storia quella Natuzzi, che dovrebbe mettere in allarme tutto il made in Italy e consolidare una convinzione spesso esposta ma ancora poco sufficientemente diffusa. Le regole dei mercati sono cambiate, la distribuzione della ricchezza sta cambiando. In questo nuovo mondo non c’è futuro per la manifattura italiana senza specializzazione, qualità e, perché no, un pizzico di sogno.
di Giovanni Iozzia
Pubblicato il 02 Lug 2013

Pasquale Natuzzi è un signore con le idee molto chiare e i modi spicci, ha creato una multinazionale quotata a New York con l’idea di dare a tutti un divano come quelli di lusso. E’ diventato il motore del distretto dell’imbottito nella Murgia. Adesso si trova nella difficile situazione di dover amputare la sua azienda per poterla fare sopravvivere. Tante volte si è scagliato contro i “cinesi” di casa nostra, quelli che nei sottoscala e in posti ancora peggiori fanno lo stesso lavoro dei suoi operai con paghe scandalosamente più basse. Ha tenuto la bandiera del made in Italy nei suoi sette stabilimenti, ma quasi il 90% dei suoi ricavi arriva dall’estero. Per troppe ragioni ha dovuto delocalizzare, per troppe ragioni non poteva reggere la concorrenza (sleale e non) di sistemi economici con costi molto più bassi che nel nostro.
Una brutta storia quella Natuzzi che dovrebbe mettere in allarme tutto il made in Italy e consolidare una convinzione spesso esposta ma ancora poco sufficientemente diffusa. Le regole dei mercati sono cambiate, la distribuzione della ricchezza sta cambiando. In questo nuovo mondo non c’è futuro per la manifattura italiana senza specializzazione, qualità e, perché no, un pizzico di sogno.