Italia al quinto posto nel G-20 per surplus commerciale con l’estero

Il nostro Paese ha raggiunto un surplus commerciale con l’estero, esclusi i prodotti energetici, pari a 29,3 miliardi di dollari, mantenendo la quinta posizione dopo Cina, Germania, Corea e Giappone e superando il Brasile. Ecco i dati elaborati dall’Osservatorio Gea-Fondazione Edison

Pubblicato il 03 Gen 2014

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Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Gea-Fondazione Edison, l’Italia ha raggiunto un surplus commerciale con l’estero esclusi i prodotti energetici pari a 29,3 miliardi di dollari, mantenendo così saldamento il 5° posto dopo Cina, Germania, Corea e Giappone e superando notevolmente il Brasile.

Va inoltre evidenziato che l’Italia è anche il Paese del G-20 che ha migliorato più significativamente la sua bilancia commerciale – sempre esclusa l’energia – tra il 2° trimestre 2012 e il 2° trimestre di quest’anno, aumentando il proprio surplus di 5,6 miliardi sia in seguito a un calo delle importazioni, ma soprattutto perché nello stesso periodo l’export italiano è cresciuto di 3 miliardi di dollari, cioè del 2,5% (meglio del +2,2% della Germania).

Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio congiunto costituito dalla Fondazione Edison e dalla società di consulenza GEA, nel secondo trimestre 2013 l’Italia ha fatto registrare un surplus commerciale con l’estero esclusi i prodotti energetici pari a 29,3 miliardi di dollari. Si tratta del quinto miglior risultato al mondo e tra i Paesi del G-20.

Nel secondo trimestre del 2013 la Cina ha mantenuto saldamente il primato tra i Paesi del G-20 e a livello mondiale, con un surplus commerciale esclusa l’energia di 133,2 miliardi di dollari, sia pure in calo di 10,9 miliardi rispetto al 2° trimestre 2012, seguita dalla Germania con 96,6 miliardi, dalla Corea del Sud con 44,7 miliardi e dal Giappone con 39,9 miliardi. L’Italia, quinta come già detto, precede largamente il Brasile, che ha toccato un saldo di 10,3 miliardi grazie soprattutto all’export agricolo.

Sono mancanti i dati per il secondo trimestre relativi ad Argentina ed Arabia Saudita, Paesi che tuttavia non influiscono sui vertici della graduatoria. Rispetto ad un anno fa, la novità tra le posizioni di vertice è che la Corea del Sud ha superato il Giappone, il cui surplus commerciale espresso in dollari ha risentito dell’effetto del deprezzamento dello yen. Anche l’Australia ha superato il Sud Africa.

Gli altri quattro Paesi più avanzati del G-20, cioè Francia, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti, presentano tutti deficit commerciali con l’estero per le merci esclusa l’energia. Particolarmente rilevante è il passivo degli USA, pari nel 2° trimestre 2013 a 125,1 miliardi di dollari. Ma anche il deficit del Regno Unito, al netto delle abnormi vendite di oro per alcune decine di miliardi avvenute nel 2013 (che hanno snaturato i dati riducendo temporaneamente il passivo inglese a soli 3 miliardi di dollari), risulterebbe non molto distante da quello assai negativo già fatto registrare nel 2° trimestre 2012.

Escludendo il dato britannico, che non è comparabile, l’Italia è anche il Paese del G-20 che ha migliorato più significativamente la sua bilancia commerciale esclusa l’energia tra il 2° trimestre 2012 e il 2° trimestre di quest’anno, aumentando il proprio surplus di 5,6 miliardi e non solo a seguito del calo delle importazioni dovuto all’austerità. Infatti, nello stesso periodo l’export italiano esclusi i prodotti energetici è cresciuto di 3 miliardi di dollari, cioè del 2,5% (meglio del +2,2% della Germania).

Per Marco Fortis, coordinatore scientifico della Fondazione Edison, “questi dati dimostrano una volta di più che l’Italia non soffre oggi particolari problemi di competitività a livello di commercio estero ma soprattutto è colpita al cuore dal crollo della domanda interna generato dalle eccessive politiche di austerità che l’Europa ha imposto al nostro Paese. Bruxelles ci chiede continuamente riforme per migliorare la competitività ma la più importante riforma che l’Italia in questo momento dovrebbe fare riguarda piuttosto un rilancio dei redditi più bassi per stimolare i consumi interni e la possibilità – da negoziare con l’Europa – di dare una maggiore spinta all’edilizia e agli investimenti infrastrutturali”.

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