Eccellenze

Made in Italy, i farmaci che aiutano la ripresa

L’industria farmaceutica italiana, secondo i dati Farmindustria, ha visto aumentare le esportazioni (+1,2 miliardi nel 2014), l’occupazione (circa cinquemila nuove assunzioni) e la produzione (+4,5%). In Ue, solo la Germania fa meglio di noi. E il settore dimostra anche una forte spinta all’innovazione: negli ultimi anni molte delle exit di startup sono state nel biotech

Pubblicato il 03 Lug 2015

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In Italia c’è un settore che non conosce crisi. Un’industria in cui l’export vola, le assunzioni aumentano, gli investimenti si moltiplicano e l’innovazione non si ferma mai. Stiamo parlando della farmaceutica.

Il comparto, stando ai numeri diffusi da Farmindustria, l’associazione confindustriale che riunisce le imprese del farmaco in Italia, nel 2014 ha fatto registrare numeri incoraggianti su tutti i fronti. Le esportazioni (21 miliardi: massimo storico) sono cresciute di 1,2 miliardi di euro in un anno: un incremento del 6%, che va ad aggiungersi al +14% messo a segno nel 2013 e al +13% del 2012. La produzione è cresciuta del 4,5% assestandosi a 28,7 miliardi. L’occupazione, a differenza di altri settori del made in Italy, ha mandato segnali positivi: circa cinquemila nuove assunzioni nell’ultimo anno, di cui la metà under 30. Segno positivo anche per gli investimenti, lievitati di 200 milioni di euro (+11%). Esclusa la Germania, nessuno nell’Unione europea riesce a far meglio di noi tra i Paesi che producono medicinali.

Le buone notizie arrivano anche dai primi risultati del 2015: nel primo trimestre, il mercato farmaceutico ha totalizzato ricavi per circa 5,8 miliardi di euro, con una crescita del 5,4% rispetto al 2014.

Ma il farmaceutico non macinerebbe questi numeri se non avesse, un po’ per natura e un po’ per precisa scelta delle imprese, una marcata tendenza all’innovazione. Una sete di futuro e di sperimentazione che accomuna la maggior parte delle aziende che operano nel settore. Lo dimostra anche i successi che hanno avuto negli ultimi anni alcune delle più importanti startup che si occupano di biotech.

Basta pensare alla sfilza di exit che si sono succedute dal 2013, anno d’oro per le nuove imprese che sviluppano farmaci, a oggi. Nel 2013 ci sono state per esempio operazioni importanti come l’acquisizione di Eos (Ethical Oncology Science), che ha lavorato alla creazione di una molecola anticancro, da parte dell’americana Clovis Oncology per di 420 milioni di euro. O ancora, Gentium (prodotti per alleviare il trattamento delle cure antitumori), venduta all’irlandese Jazz Pharmaceuticals per un miliardo di dollari e Okairos (ricerca di vaccini contro le patologie rare), ceduta all’inglese Glaxo per 260 milioni.

Oltre alle exit, non vanno dimenticati gli investimenti. Uno su tutti è quello per Genenta Science, la startup che è stata fondata dall’ospedale San Raffaele di Milano insieme al venture capitalist Pierluigi Paracchi, chairman e ceo, e agli scienziati Luigi Naldini, direttore del Tiget di Milano, e Bernhard Gentner, ematologo e ricercatore al San Raffaele. Nel 2015, l’impresa ha raccolto 10 milioni di euro di finanziamenti da diversi investitori privati.

Insomma, farmaci e biotech “curano” l’Italia e la lanciano verso la ripresa. Chissà cosa succederebbe se si potessero limare anche gli aspetti che secondo gli imprenditori del farmaco restano negativi: i tempi per autorizzare i nuovi prodotti (due anni per mettere un farmaco innovativo a disposizioni dei pazienti) e i tagli alla sanità. “C’è bisogno – sottolinea il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi – che la stabilità, garantita negli ultimi due anni, con regole certe, sia confermata e consolidata per favorire investimenti e innovazione”.

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