L’innovazione, in primis digitale, rappresenta la polizza assicurativa per la sopravvivenza delle imprese. Per questo le imprese si stanno attrezzando, come emerge dalla recente Survey Innovation degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy. I budget delle Direzioni ICT cresceranno nel 2019 del 2,6%, il 47% delle imprese italiane ha predisposto un budget per l’innovazione digitale anche in altre Direzioni e il 36% delle grandi imprese ha approntato organizzazioni con ruoli dedicati per la gestione dell’innovazione.
Tuttavia la sfida per gestire efficacemente l’innovazione è quella di definire un modello operativo che consenta di generare e trasformare idee in progetti tangibili, in maniera continuativa e replicabile. Quali input considerare? Quali gli stage gate di valutazione? Quali metodologie e strumenti adottare? A chi assegnare l’ownership e quale ruolo può avere l’Innovation Manager? Quali risorse e budget utilizzare e come sostenere l’engagement? Queste sono le domande, per nulla banali, a cui rispondere per poter gestire il famigerato “imbuto” dell’innovazione. Domande su cui si è lavorato nel tavolo di confronto dell’Osservatorio Startup Intelligence tenutosi lo scorso 21 marzo.
La prima tappa da strutturare è l’“esplorazione” che può contenere anche la fase di “generazione delle idee”, cioè tutto ciò che porta alla nascita di idee e spunti di innovazione, all’investigazione dei trend e dell’ecosistema di opportunità, alla definizione di orientamenti strategici. È la tappa che permette di creare il bacino di opportunità, l’inizio dell’imbuto che in genere si riesce a riempire facilmente. Nel caso di Agos, ad esempio, le fonti di generazione sono principalmente quattro: le persone in azienda attraverso call4ideas interne, gli input dal vertice strategico, le richieste dalle Line of Business, e le collaborazioni con fonti esterne come università, startup e hackathon aperti.
La seconda tappa è la “sperimentazione”, necessaria per capire quali spunti e iniziative portare avanti. Una volta creato il bacino di opportunità è necessario mettere alla prova la validità dell’idea e la verifica di robustezza rispetto al proprio modello di business e ai propri obiettivi aziendali, attraverso approfondimenti, sperimentazioni, PoC e prototipi. Devono essere quindi definite le metodologie da adottare, i kpi da valutare, le tempistiche e le persone coinvolte, nonché il budget da impiegare. Questa tappa è caratterizzata da tempi veloci, iniziative e spazi come innovation lab e incubatori interni come avviene ad esempio in BNP Paribas Leasing Solutions, dove l’idea viene prima scandagliata attraverso un giorno di jam e poi affidata agli incubatori con team parcellizzati dedicati. Lungo questa tappa sono posizionati i gate di validazione. Nel caso A2A prima di dedicarsi all’execution si passa dallo “Shark Tank”, un appuntamento periodico in cui gli innovatori hanno 3 minuti per giocarsi l’idea di fronte ai colleghi e al board, il quale ha la responsabilità di selezionare e prioritizzare progetti che approderanno alla fase pilota. È infatti fondamentale portare a bordo l’ownership anche dei decisori prima di avviare i progetti.
L’ultima tappa è lo “sfruttamento” (produzione e scale-up), in cui il progetto vero e proprio viene avviato per la messa in produzione dell’innovazione. In questa fase è necessario definire i meccanismi di passaggio di consegna tra Innovation e Line of Business per non lasciare cadere l’ownership dei progetti e quindi l’investimento. Nel caso di Roche l’ownership è mantenuta in modo continuativo lungo tutto il percorso dalla coppia Idea Owner & IT Innovation Evangelist, partendo dalla fase di Imagine a quella di Scaleup, grazie a una forte cultura dell’innovazione sostenuta da strumenti di collaboration, premi, eventi, e visibilità.
Al centro di questo percorso a imbuto, sta l’innovation manager, il ruolo che tiene le fila, coordina il portafoglio, detta i tempi, supporta i metodi, contribuisce alla comunicazione e supporta la visibilità dei risultati finali.