European Research Council
Ricercatore espatriato? Perché no…se l’Italia piacesse agli stranieri
Gli italiani partecipano con successo alle borse di studio europee. Ma poi preferiscono andare altrove. Non sarebbe un male, se contemporaneamente il nostro Paese avesse la capacità di attrarre talenti internazionali. Perché l’innovazione si fa solo favorendo il confronto e lo scambio globale
di Redazione EconomyUp
23 Lug 2013

Sul Corriere della Sera di oggi il sempre efficace Gianantonio Stella tira fuori i dati dell’European Research Council. Prima la notizia buona: gli italiani nella corsa alle robuste borse di studio si piazzano bene, secondi dopo i tedeschi e prima di inglesi, francesi e spagnoli. Insomma l’Italia, nonostante tutto, è ancora in grado di produrre cervelli pensanti in grado di competere con quelli di Paesi più attenti a coltivare e valorizzare le proprie intelligenze migliori. Ma, ed è la brutta notizia secondo Stella, pochi vogliono fare ricerca in Italia, neanche gli italiani. Dei 35 che hanno vinto una borsa di studio, “solo” 23 resteranno in patria. Perché “solo”? Siamo sicuri che siano pochi? E chi l’ha detto che un ricercatore debba lavorare in casa? Di solito i migliori progetti si sviluppano in ambienti internazionali, dove talenti di varia estrazione, anche culturale e geografica, si incontrano e si confrontano.
Non dobbiamo scoraggiare i nostri talenti, giovani e meno giovani, ad affrontare il palcoscenico globale. Semmai dobbiamo preoccuparci se gli stranieri non vogliono venire a fare ricerca in Italia. Questa è la vera brutta notizia: siamo al quinto posto, ci ricorda sempre Stella, tra le destinazioni scelte dai ricercatori vincitori dei fondi europei. Abbiamo un problema di attrattività, e forse accademie e baroni ne sanno qualcosa, anzi ne sono ben contenti. E abbiamo un problema di forza lavoro intellettuale: se si guarda al numero dei ricercatori ogni mille abitanti, l’Italia è al 33° posto. La classifica dell’Annuario Scienza e Società lancia solo un invito. Anzi un appello disperato: esportiamo talenti, così come tante altre cose. Ma ritroviamo anche la capacità di trattenerli e, soprattutto, di importarli (g.io)