Innovation Manager: 5 motivi per cui può stimolare la cultura dell’innovazione

Dopo il via alle iscrizioni all’albo del Mise, ci si interroga sull’importanza della misura che introduce gli Innovation Manager: permetterà di aiutare 2000 imprese su 1,5 milioni di pmi in Italia. Ma contribuirà ad avvicinare le aziende ai trend innovativi. Ecco le ragioni per cui avrà un impatto positivo

Pubblicato il 27 Set 2019

open innovation manager

Si sono aperte il 27 settembre, alle ore 10:00, le iscrizioni all’albo del Mise dedicato alla figura dell’Innovation Manager e finalizzato all’attuazione degli incentivi a fondo perduto previsti per l’impiego di questa figura da parte di microimprese, PMI e reti di imprese, attraverso voucher fino ad un massimo di € 40.000 per singola impresa.

Sono 75 i milioni stanziati per questa manovra. Fatti due conti, è una cifra che permetterà di aiutare non più di 2000 imprese. Si tratta di un numero ben lontano dall’oltre un milione e mezzo di PMI, considerando anche le microimprese.

Tuttavia si tratta di una misura importante che intende stimolare l’avvicinamento ai nuovi trend dell’innovazione in un comparto fondante della nostra economia, non sempre predisposto, per tanti diversi motivi, ai temi dell’innovazione e del digitale.

Ecco perché ci sembra una buona azione.

Albo Innovation Manager: i 5 motivi per cui è importante

Primo punto: il decreto prevede le agevolazioni per progetti di ammodernamento attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie abilitanti come Big Data, Cloud, Cybersecurity o IoT, in prosecuzione con il piano Industria 4.0, ma anche di revisione dei processi di gestione e nell’organizzazione. L’azione può quindi rappresentare una sorta di “cavallo di Troia” per favorire una graduale penetrazione di nuova cultura e consapevolezza rispetto alle opportunità dell’innovazione e del digitale nel tessuto della piccola e media impresa.

Secondo punto: sono ammesse anche consulenze specialistiche per supportare la conoscenza e l’accesso ai canali di finanziamento alternativi. Questo è forse l’elemento meno scontato del decreto ma di grande lungimiranza, considerando la difficoltà che le PMI hanno nell’accedere ai finanziamenti dai canali tradizionali.

Terzo punto: la consulenza dell’Innovation Manager nell’impresa deve essere di almeno 9 mesi. Questa condizione potrà consentire all’Innovation Manager di avere il tempo per lasciare un segno, per educare l’azienda, per formare il personale e rendere più probabile quindi una prosecuzione autonoma delle attività di innovazione.

Quarto punto: è interessante l’apertura degli incentivi anche alle reti di imprese, che sappiamo essere ampiamente presenti nel nostro Paese, anche sotto forma di distretti. Il decreto interpreta bene la nostra realtà economica e favorisce anzi la costituzione di alleanze per l’innovazione in un’ottica di Open Innovation.

Quinto punto: l’Albo degli Innovation Manager prevede diversi livelli di seniority e uno spettro molto ampio di competenze, tutte, diremmo, concrete. In questo modo le imprese potranno orientarsi verso profili più navigati, là dove sia necessaria un’azione più profonda, ma anche verso profili più giovani e operativi dove sia già presente un imprenditore illuminato con le idee chiare ma con la necessità di favorire l’execution.

Infine aggiungiamo che, in un quadro in cui l’economia dei “grandi” sembra disorientata di fronte ai cambiamenti della nostra epoca, tutto è utile per stimolare e mettere alla prova l’esercito delle PMI, che può rivelarsi fonte di crescita e sviluppo per il nostro Paese, a volte più della grande impresa.

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Alessandra Luksch
Alessandra Luksch

Direttore dell'Osservatorio Startup Thinking degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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