OpenAI sta disegnando quella che potrebbe essere una delle evoluzioni strategiche più rilevanti della GenAI: da strumento individuale a infrastruttura di piattaforma (qui ci siamo occupati dell’uso individuale di ChatGPT). È un cambio di traiettoria e di di prospettiva per ChatGPT che richiama ciò che accadde nel 2008, quando Apple aprì l’App Store e trasformò l’iPhone da prodotto straordinario a piattaforma capace di generare interi ecosistemi di innovazione.
Indice degli argomenti
ChatGPT, le 4 fasi dell’evoluzione
Fase 1. Il prodotto perfetto: quando ChatGPT era solo un “network good”
Il 30 novembre 2022 OpenAI lanciò ChatGPT al pubblico. In cinque giorni raggiunse un milione di utenti — traguardo che la Netflix ad abbonamento raggiunse in più di tre anni — e in meno di due mesi superò i 100 milioni, diventando l’app consumer a crescita più rapida della storia.
Un successo impressionante, ma che non faceva ancora di ChatGPT una piattaforma.
In quel momento era un servizio digitale con degli effetti di rete diretti, anche se non immediatamente visibili all’utente finale subito. Più persone lo usavano, più il sistema migliorava grazie ai feedback e all’apprendimento del modello linguistico di base (LLM). In altre parole, l’equazione era semplice: uso = apprendimento.
Ma mancava un ingrediente chiave: non c’erano i due clienti tipici delle piattaforme (come driver e utente per Uber, o utenti e developer di iOS).
Questa prima fase è comune a molte storie di successo digitale. Da WhatsApp a Instagram, quasi tutti i servizi nati come prodotti monodirezionali si sono inizialmente limitati a crescere in scala, non a costruire ecosistemi. Solo in un secondo momento hanno trasformato quella base di utenti in una rete a più lati.Fase 2. L’apertura del sistema
Nel corso del 2023, OpenAI mosse i primi passi verso una logica di piattaforma, introducendo API, il modello Whisper per la trascrizione vocale e una serie di strumenti per integrare ChatGPT in altri prodotti aziendali.
Era l’inizio di una piattaforma d’innovazione, come accadde con iOS o PlayStation: soggetti esterni potevano finalmente costruire sopra una tecnologia comune.
Ma il passaggio rimase incompiuto. Queste integrazioni erano invisibili per gli utenti finali: ChatGPT diventava un motore “dietro le quinte”, non ancora un ambiente aperto dove far vivere un ecosistema. L’infrastruttura si era aperta, ma l’esperienza restava chiusa.
Fase 2. L’apertura del sistema
Nel corso del 2023, OpenAI mosse i primi passi verso una logica di piattaforma, introducendo API, il modello Whisper per la trascrizione vocale e una serie di strumenti per integrare ChatGPT in altri prodotti aziendali.
Era l’inizio di una piattaforma d’innovazione, come accadde con iOS o PlayStation: soggetti esterni potevano finalmente costruire sopra una tecnologia comune.
Ma il passaggio rimase incompiuto. Queste integrazioni erano invisibili per gli utenti finali: ChatGPT diventava un motore “dietro le quinte”, non ancora un ambiente aperto dove far vivere un ecosistema. L’infrastruttura si era aperta, ma l’esperienza restava chiusa.
Fase 3. Il GPT Store
La vera svolta arrivò un anno dopo. Il 6 novembre 2023 OpenAI annunciò i Custom GPTs, versioni personalizzate di ChatGPT create dagli utenti combinando istruzioni e knowledge base specifiche. Due mesi dopo, il 10 gennaio 2024, venne lanciato il GPT Store: il primo marketplace dedicato.
Nel giro di poche settimane comparvero milioni di GPT personalizzati. Marchi come Canva, WolframAlpha e IKEA pubblicarono i propri, affiancati da centinaia di strumenti creati da singoli utenti. Per la prima volta, ChatGPT ospitava creatori e consumatori nello stesso ambiente — condizione essenziale per definire una piattaforma.
Era il modello tipico di piattaforma transazionale, che permette lo scambio tra chi crea e chi utilizza. Tuttavia mancavano elementi cruciali: i creatori non avevano accesso ai dati di utilizzo, non ricevevano feedback strutturati e non potevano migliorare iterativamente i propri GPT. L’interazione restava testuale e individuale.
OpenAI testò brevemente modelli di monetizzazione, ma l’adozione si fermò presto.
Molti utenti crearono GPT per uso personale — traduzioni, scrittura, gestione documenti — e li mantennero privati. Anche il nostro Platform Thinking GPT, presentato durante la Convention del Platform Thinking HUB, seguì lo stesso percorso: utile in contesti aziendali, ma mai pubblicato nel marketplace.
Fase 4. Il momento “piattaforma”
Il 6 ottobre 2025 la storia cambia.
OpenAI annuncia l’integrazione delle app esterne in ChatGPT: da Spotify a Booking.com, da Expedia a Zillow.
Per la prima volta, applicazioni di terze parti vivono dentro ChatGPT.
Con questa mossa, ChatGPT diventa a tutti gli effetti una piattaforma d’innovazione.
Il Large Language Model non è più solo un motore di interazione, ma un’infrastruttura su cui altri possono costruire valore.
OpenAI definisce le regole del gioco — modello linguistico, interfaccia, policy — e gli sviluppatori aggiungono livelli di funzionalità e servizi. È la stessa logica che Apple introdusse nel 2008: una tecnologia centrale, un ambiente condiviso e una comunità che ne estende le capacità.
Da una prospettiva di Platform Thinking, la lezione è chiara: non diventi una piattaforma perché hai milioni di utenti, ma perché permetti agli altri di creare valore attraverso di te.
ChatGPT ha completato in meno di tre anni un percorso che ad altri è costato un decennio: da prodotto intelligente a ecosistema generativo.

Le somiglianze con Apple (e le differenze che contano)
ChatGPT e iPhone condividono un tratto fondamentale: entrambi sono diventati piattaforme dopo aver lanciato un prodotto di successo.
È una dinamica ricorrente nelle grandi tech company, e tipica del Platform Thinking.
Facebook, Apple e Amazon iniziarono tutte come servizi a un solo lato — un social network, un dispositivo, una logistica — per poi evolvere verso un modello multilaterale. Prima costruisci valore lineare, poi apri l’ecosistema.
Anche la traiettoria è simile: una volta raggiunta una massa critica di utenti, l’azienda può stratificare logiche di piattaforma sopra la base esistente.
Oggi OpenAI sta facendo esattamente questo. La sua strategia è ibrida: transazionale con il GPT Store, innovativa con le integrazioni delle app.
Le differenze, però, sono sostanziali.
La prima è storica: tutto questo avviene nel 2025, in un contesto in cui la strategia di piattaforma è ormai una disciplina manageriale codificata. OpenAI non parte da zero: costruisce su oltre vent’anni di esperienze, da eBay e Booking fino all’App Store e ai social network. Come ha osservato Howard Yu, OpenAI ha compresso dieci anni di strategia in tre, ma è anche vero che oggi il mondo sa già come si scala una piattaforma. La velocità è figlia della storia.
La seconda differenza è strutturale.
OpenAI sta creando una piattaforma d’innovazione che non necessita di una piattaforma transazionale separata: il matching fra domanda e offerta, fra utente e servizio, è gestito direttamente dall’algoritmo.
Quando Sony lanciò la PlayStation, invitò gli sviluppatori a creare giochi, ma la distribuzione restava fisica. Apple fuse i due mondi con iOS e App Store.
OpenAI fa un passo ulteriore: la piattaforma di distribuzione è parte dell’esperienza utente stessa. Non esiste più uno store esterno; tutto accade dentro l’interfaccia conversazionale.
È qui che risiede la vera novità: non tanto nella velocità di esecuzione, quanto nell’integrazione totale dell’esperienza.
Per la prima volta vediamo una piattaforma d’innovazione che non passa da un marketplace.
Non serve cercare app o navigare cataloghi: l’algoritmo decide quale applicazione attivare, quale servizio usare e come combinarli.
Questa evoluzione genera due implicazioni decisive.
La prima riguarda l’esperienza utente. Le piattaforme stanno diventando sempre più simili a servizi lineari. L’utente non sceglie, dialoga. L’intelligenza artificiale riduce il “paradosso della scelta” e sposta l’attenzione dalla quantità alla rilevanza.
La seconda riguarda la natura stessa delle piattaforme.
Finora, le grandi piattaforme hanno sempre rivendicato il ruolo di intermediari, non di editori. Airbnb non è responsabile della qualità della stanza, Facebook non lo è dei post.
Ma se è l’algoritmo a scegliere quali app attivare e come combinarne i risultati, parte della creazione di valore torna nelle mani dell’host.
La piattaforma non si limita più ad abilitare l’interazione: la cura.
In questo modo ChatGPT (e, presto, altri) assume un ruolo “editoriale” nel definire l’esperienza dell’utente. Un ritorno, paradossale, al controllo lineare del valore — proprio mentre le imprese tradizionali, grazie al Platform Thinking, stanno imparando ad aprirsi verso l’esterno.
In fondo, questo è il segno più interessante dei tempi.
Le aziende “legacy” usano i modelli a piattaforma per aprirsi, in ottica di open innovation, collaborare e condividere. I nuovi player invece, facendo la stessa identica cosa, tenendo as assorbire nuovi ruoli di controllo nell’interazione. È una forma di ibridazione: modelli lineari e modelli a piattaforma che si incontrano, in modi simili, ma spesso con effetti diversi.
Come abbiamo raccontato ne The Digital Phoenix Effect, la prossima frontiera non è scegliere tra apertura o controllo, ma trovare l’equilibrio dinamico tra i due. ChatGPT, con la sua evoluzione da prodotto a piattaforma, ci mostra come questo equilibrio stia aprendo – forse – nuovi orizzinti (agentici) dell’innovazione digitale.







