La storia

Pedius, la startup che fa telefonare i sordi nata guardando le Iene

Lorenzo Di Ciaccio, Ceo della società su cui Tim Ventures ha fatto il suo primo investimento, racconta che cos’è e come funziona l’app che aiuta i non udenti. E spiega: «Il nostro è un percorso difficile perché in Italia manca la cultura del social business»

Pubblicato il 19 Dic 2014

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Il team di Pedius. Da sinistra a destra: Lorenzo Di Ciaccio (CEO) Alessandro Gaeta (mobile specialist) Stefano Guglielmo (iOS developer) Stefano La Cesa (CTO). Sotto da sinistra Marta Cutrera (customer care) e Sara Del Vecchio (Responsabile comunicazione e Marketing)

“In Italia manca la cultura del social business, si pensa che investire in campo sociale non sia remunerativo e che spetti sempre e solo gli enti pubblici o le onlus. Invece noi stiamo dimostrando che si può fare attività commerciale risolvendo problemi sociali”. A dirlo è Lorenzo Di Ciaccio, Ceo di Pedius, startup che consente ai non udenti di fare telefonate e sulla quale Tim Ventures, ‘braccio’ di venture capital di Telecom Italia, Sistema Investimenti ed Embed Capital hanno deciso di investire 410mila euro. “La prima volta che abbiamo detto a qualcuno di voler realizzare una compagnia telefonica per persone sorde quello si è messo a ridere. Invece noi ci abbiamo creduto e siamo andati avanti”. Fino a riscuotere la fiducia di importanti investitori, in primis Telecom Italia, che peraltro, attraverso il proprio acceleratore TIM #WCap, aveva incubato l’impresa nel 2013.

Come è andata?
L’investimento è stato guidato da Tim Ventures, che ha una quota lievemente maggiore rispetto agli altri due. Sistema Investimenti ed Embed Capital sono ai primi passi nel mondo delle startup. Per Sistema Investimenti, che finora ha investito solo in aziende ‘tradizionali’, è in assoluto la prima uscita nel settore digital, per Embed Capital è il primo investimento importante in termini finanziari. Del resto, quando si muove un grande player come TI, gli altri acquistano più fiducia ed è un bene per l’ecosistema.

Quali difficoltà avete incontrato?
Molti pensano tuttora che siamo la classica organizzazione che usa soldi pubblici per fare un’attività sociale e ci chiedono chi c’è dietro. A qualcuno sembra strano che il capitale privato investa in questo settore, l’idea di fare business nel sociale scoraggia un po’. Per questo più volte ci hanno ‘rimbalzato’, come si dice a Roma. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

Quando è nata Pedius?
Due anni e mezzo fa, quando vidi a Le Iene il servizio su Gabriele Serpi, un non udente che, dopo aver avuto un’incidente d’auto, era rimasto bloccato per ore perché non poteva chiamare nessuno. Io all’epoca, dopo aver conseguito la laurea triennale in Informatica alla Sapienza di Roma, ero consulente informatico e ritenevo di avere le competenze necessarie per fornire una soluzione tecnica al problema riscontrato da Serpi. All’epoca c’era anche un servizio pubblico, chiamato Servizio Ponte e gestito con fondi regionali: un call center di persone che ricevevano sms o videochiamate nella lingua dei segni da parte dei non udenti e facevano da interpreti tra il non udente e il suo interlocutore. Ma in molte Regioni è stato chiuso per mancanza di fondi. Così ho radunato amici e colleghi e ho cominciato a fare presentazioni della mia iniziativa a enti, per esempio l’ente nazionale sordi, e a partecipare a contest. Ho provato molti percorsi.

Quando vi siete accorti che il progetto poteva decollare?
Prendendo parte alla prima Global Social Venture Competition, competizione internazionale promossa dall’Università di Berkeley (in Italia partner è la Cattolica di Milano) per progetti a carattere sociale. Abbiamo vinto l’edizione 2013 e ottenuto in premio un viaggio a Berkeley per la finale mondiale. Lì abbiamo conosciuto persone che si occupavano di progetti analoghi ai nostri e abbiamo avuto la conferma definitiva che eravamo sulla buona strada. Il secondo, importante riconoscimento è stato quello venuto da TIM #WCap. Abbiamo fatto domanda per partecipare al programma di accelerazione e siamo stati accettati. Abbiamo ottenuto un ufficio per un anno, 25mila euro di grant, formazione e mentoring. Il percorso ci ha dato la possibilità di essere inseriti tra i fornitori Telecom. E a settembre abbiamo lanciato con TI il primo call center accessibile alle persone sorde nell’ambito del suo call center, che è il più grande d’Italia.

Come funziona?
L’app di Pedius consente all’utente di avviare una normale telefonata e poi scegliere se scrivere messaggi che saranno pronunciati da una voce artificiale oppure inviare messaggi vocali con la propria voce. In tempo reale la risposta vocale della persona chiamata viene trasformata in testo sul display dell’utente. Scaricando l’app e cliccando sui numeri 119 e 187 di Telecom Italia, l’utente può scrivere un sms e leggere la risposta dell’operatore. A sua volta l’operatore può parlare e le sue parole diventano in automatico parole scritte.

Quali costi per l’utente?
In questo caso il servizio è gratuito, perché sono gratuiti i numeri verdi di TI. Il nostro pricing è stato deciso in equità con le offerte per persone non disabili. Se invece sono un non udente e voglio contattare telefonicamente un privato, pagherò la telefonata 15 centesimi al minuti. Oppure posso fare un abbonamento annuale a 100 euro o mensile a partire da 6 euro. Più altre offerte e vantaggi.

Qual è il vostro bacino d’utenza?
In Italia ci sono circa 70mila persone con sordità profonda, più altri 5 milioni con problemi di udito, per lo più anziani. Il nostro target per ora sono i sordi giovani. Per gli anziani lanceremo il prossimo anno un dispositivo a parte. È un device che si collega alla tv e consente di telefonare attraverso il televisore. La tecnologia che c’è dietro è la stessa. Il finanziamento che abbiamo ottenuto servirà proprio a realizzare questo dispositivo.

E che fine ha fatto il non udente che vi ha dato l’idea?
Ci ha dato una mano all’inizio nei rapporti con la comunità dei sordi e siamo rimasti in contatto. Ora ci chiama con Pedius.

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