STARTUP ACT 2012-2022

Cristina Angelillo (InnovUp): il nuovo Governo dovrà mettere ordine nelle norme sulle startup

Nel corso del tempo la stratificazione di norme successive ha reso tutto più complicato, dice Cristina Angelillo, presidente di InnovUp. Che individua altre due priorità: il rafforzamento del Fondo Nazionale Innovazione e la fine della ghettizzazione delle startup

Pubblicato il 09 Set 2022

Cristina Angelillo

Dieci anni dopo serve un bel lavoro di manutenzione. Lo Startup Act del 2012 ha segnato la nascita del cosiddetto ecosistema delle startup ma adesso è diventato complesso e in alcuni casi anche poco efficace.  È l’invito che viene fatto al governo che uscirà dalle elezioni del 25 settembre da Cristina Angelillo, founder della startup Marshmallow Games e dal dicembre 2021 presidente di InnovUp, l’asssociazione che rappresenta l’ecosistema italiano dell’innovazione.

Dopo Riccardo Donadon, Marco Bicocchi Pichi e Angelo Coletta, con la Angelillo completiamo il ciclo di incontri con i presidenti di Italia Startup, l’associazione nata nel 2012 con lo StartupAct, il cui decennale sarà celebrato lunedì 12 settembre a Ca Tron, in H-Farm dove l’allora ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera lancio il progetto di una legge per rendere l’Italia un Paese ospitale per le startup.

Dieci anni dopo, qual è il tuo bilancio dello Startup Act?

Il bilancio è senza dubbio positivo, soprattutto perché si tratta di una legge che ha innescato un circolo virtuoso. Il merito maggiore dello Startup Act, infatti, è stato quello di introdurre nell’agenda politica il tema delle startup, legittimandone in qualche modo l’esistenza. È stato di fatto il momento in cui è nato l’ecosistema italiano dell’innovazione.

Che cosa ha funzionato e che cosa non ha funzionato nello Startup Act?

Nel suo impianto iniziale lo Startup Act era funzionale, ma nel tempo si sono stratificate una serie di norme che si sono rivelate positive in alcuni casi e meno in altri.

Sicuramente il fatto che sia una normativa evidence-based, cioè che preveda misurazioni periodiche trimestrali per monitorare l’andamento delle singole misure, è un fatto positivo. Allo stesso tempo, però, questi indicatori non sono stati sfruttati al massimo per correggere in corsa le caratteristiche dei vari incentivi. Il monitoraggio puntuale dovrebbe infatti aiutare a far capire quali agevolazioni funzionano meglio e quali invece sarebbero da riformulare interamente, al fine di apportare conseguenti modifiche normative. Questi aggiustamenti sono venuti a mancare nel corso degli anni e, allo stesso tempo, si è verificata una stratificazione di norme successive che ha reso il tutto decisamente più complesso. Servirebbe quindi una razionalizzazione generale del quadro normativo, tagliando o modificando ciò che ha dimostrato di non funzionare e potenziando invece le misure più apprezzate.

A livello di sgravi fiscali per le startup, ad esempio, oggi in Italia siamo decisamente strutturati, ma allo stesso tempo, per quanto riguarda la disciplina giuslavoristica c’è ancora molto da fare. E quel poco che è stato effettivamente messo a terra, come ad esempio il “work of equity”, è praticamente inutilizzabile e inutilizzato. Proprio la presenza di incentivi non attraenti è segnale di un problema di fondo, che deve quindi diventare un punto di partenza per provare ad apportare modifiche e migliorie.

Il registro delle startup innovative non rappresenta più l’ecosistema

Si aggiunge poi un altro tema importante, quello del registro delle startup innovative. La sua istituzione ha rappresentato un elemento certamente positivo, perché ha permesso di quantificare l’ecosistema a livello dimensionale, ma allo stesso tempo porta con sé un problema intrinseco, cioè quello, da una parte, di ricomprendere realtà solo formalmente innovative e, dall’altra, di non riuscire ad intercettare realtà che – pur senza i requisiti formali della disciplina italiana – seguono le migliori best practice internazionali in termini di definizione di startup e di scalabilità del modello di business.

Il Registro, inoltre, non permette di monitorare i risultati delle startup dopo i primi 5 anni di attività. Da questo bias ne consegue che i numeri italiani sono sempre piccoli rispetto a quelli esteri perché una volta trascorso quel lasso di tempo, le startup più evolute “escono” dal registro facendo spazio a nuove realtà, ovviamente meno sviluppate. In questo modo è evidente come il registro non possa mai presentare dati di scalabilità, ma solo evoluzioni numeriche anno su anno.

La svolta del Fondo Nazionale Innovazione

La svolta nell’ecosistema si è avuta, invece, con l’intervento dell’attore pubblico attraverso la costituzione del Fondo Nazionale Innovazione, gestito e guidato da CDP Venture Capital: un cambiamento epocale per il nostro scenario che nel giro di solo un paio d’anni ha portato il mercato italiano del Venture Capital – che fino a quel momento era una sorta di oligopolio che non permetteva di avere valutazioni in linea con le best practice internazionali – a strutturarsi, creando vera competizione nel settore. I primi risultati si sono visti nel 2021 con il superamento della soglia psicologica del miliardo di euro investiti in startup, numeri in crescita che si stanno confermando anche nel primo semestre del 2022.

Un altro tema meritevole di approfondimento è senza dubbio quello degli incubatori certificati. In questo senso la normativa è stata assolutamente utile, tuttavia, i vantaggi ad essa connessi ancora non pareggiano gli oneri burocratici legati alla certificazione. Di conseguenza, molte realtà che ne avrebbero le caratteristiche finiscono per rinunciare all’iscrizione. Servirebbe rilanciare la normativa con un nuovo piano che superi alcuni requisiti ormai vetusti, come ad esempio l’obbligo di almeno 500 metri quadrati di spazio che, dopo una pandemia globale e il cambio radicale nelle modalità di lavoro, appare un parametro quantomeno discutibile.

La questione della costituzione online delle startup

Infine, non possiamo non citare la questione legata alle modalità di costituzione online. Proprio l’esperienza del Registro del MISE ci restituiva l’evidenza di un’agevolazione molto sfruttata dalle startup, mentre oggi l’abrogazione della norma e le successive modifiche stanno moltiplicando le difficoltà in questa delicata fase della vita d’impresa. Il dato più significativo è quello relativo ai costi di costituzione, che si sono decuplicati in un solo anno, passando da 200 a 2.200 euro, mentre dal 14 dicembre siamo ancora in attesa dei modelli di statuto standard – e dei conseguenti massimali da applicarsi all’onorario dei notai – come previsto dal Decreto legislativo 183/2021. Con questo Decreto il Governo ha infatti deciso di affidare la costituzione digitale, sia di startup/PMI innovative che di imprese tradizionali, al Consiglio Nazionale del Notariato, attraverso la piattaforma fornita dalla società Notartel S.p.A. – la società del Consiglio Nazionale del Notariato e della Cassa Nazionale che offre servizi IT ai notai italiani – riaffermando, de facto, la situazione di monopolio che contraddistingue il settore. Tuttavia, ha anche introdotto la possibilità dell’utilizzo di modelli di statuto standard con rilevanti agevolazioni economiche per chi dovesse utilizzarli ma, a 170 giorni dalla scadenza prevista per i Decreti Attuativi tutto tace!

Che cosa serve per i prossimi 10 anni? Tre priorità a partire dalla prossima legislatura

1) Rafforzare ulteriormente CDP Venture Capital affinchè possa dare il via a un circolo virtuoso che permetta al mercato dei Venture Capital di sostenersi in autonomia. Prima o poi CDP-VC dovrà fare un passo indietro, ma oggi non è ancora il momento. Il Fondo è entrato in questo mercato per colmare il buco creato da un cd. “fallimento di mercato” che al momento deve essere ancora superato. Si tratta quindi di iniettare nuova liquidità nei diversi strumenti gestiti da CDP-VC per raggiungere sostanzialmente due obiettivi: il primo è quello di attirare fondi internazionali, il secondo quello di favorire investimenti di round B, C e a seguire (sulla base ad esempio del modello francese) che oggi, in Italia, praticamente non esistono. Idealmente, CDP Venture Capital tra 10 anni dovrebbe essere uno dei tanti attori del mercato e non più il diretto responsabile della sostenibilità dei fondi e dei risultati dell’ecosistema, grazie allo sviluppo di un settore capace di reggersi autonomamente.

2) La normativa sulle startup andrebbe uniformata tramite un testo unico o un libro bianco. È cruciale rivedere tutta la normativa e armonizzarla, soprattutto a fronte della stratificazione delle norme che, come detto, sta generando effetti negativi. Una volta razionalizzata la normativa sarà necessario rafforzare alcuni strumenti ed introdurne altri per rispondere alle esigenze del mercato. Da questo punto di vista, come InnovUp, da tempo stiamo chiedendo maggiori incentivi per il corporate venture capital (ad esempio con l’introduzione di un credito d’imposta in Ricerca & Sviluppo che si applichi agli investimenti fatti dalle Corporate nelle startup) per supportare e favorire anche le exit di tipo industriale. Inoltre, riteniamo che debbano essere rafforzate le misure sul capital gain e sul disinvestimento sempre volte a supportare la fase delle “exit”, oggi vero vulnus del mercato. Importante è anche il tema del diritto di recesso, sul quale sarebbe necessaria una deroga per le startup entro i primi 5 anni dalla fondazione, al fine di evitare condotte volte a ostacolare l’ingresso di nuovi soci nelle fasi di aumento di capitale. Un ultimo punto, ma non meno importante, riguarda gli incentivi sul talento: le startup italiane fanno più fatica di altre aziende a trovare, assumere e trattenere talenti che di conseguenza scelgono spesso di espatriare; in questo senso, la normativa giuslavoristica non prevede quasi nulla a livello di incentivi, mentre sarebbero da prevedere nuove misure legate alla defiscalizzazione delle assunzioni

3) Le startup, da un punto di vista culturale, non devono essere “ghettizzate”: quindi il primo passo deve essere quello di parlare non più di “ecosistema”, ma di “sistema” vero e proprio parte integrante del sistema economico, produttivo e industriale del Paese. Serve poco redigere una normativa illuminata per le  neo -imprese se poi, quando serve una banale autorizzazione, l’imprenditore viene bloccato perché tutto ciò che è fuori dalla normativa stessa diventa inapplicabile. Il tutto va trasformato in un’ottica che tenga conto delle necessità degli imprenditori. Questo perché quando i founder escono dal “recinto” delle startup innovative, non devono trovarsi di fronte ai muri di burocrazia presenti oggi. Se pensiamo di aggiornare la legge sulla startup superando la stratificazione di norme esistente, dobbiamo allargare lo sguardo per rimuovere gli ostacoli che le aziende, che siano startup, PMI o aziende “tradizionali”, si trovano realmente ad affrontare ogni giorno.

Una domanda personale: che cosa facevi nella primavera – estate del 2012? Eri già impegnata con le startup?

Nell’estate del 2012 lavoravo come progettista hardware in un’azienda di telecomunicazioni, impegnata quindi in un settore legato alla tecnologia ma molto diverso da quello delle startup; in tutta onestà conoscevo solamente il significato del termine riferito ad alcune giovani imprese di successo (provenienti quasi sempre dagli Stati Uniti) ma non ero al corrente di quanto anche in Italia stesse già prendendo forma un ecosistema di innovatori.

Risale infatti a un anno dopo, nel 2013, il primo contatto vero e proprio con le startup, che a prima vista mi sembravano provenire da un altro pianeta, tra valutazioni da capogiro e richieste agli investitori dall’ammontare centinaia di migliaia di euro. Senza rendermene immediatamente conto, però, ero già stata contagiata dalla voglia di sperimentare e sviluppare soluzioni innovative.

Grazie anche al mio compagno, che proprio quell’anno ha avviato una propria startup, sono entrata a contatto giorno dopo giorno con i vari passaggi obbligati di ogni nuova impresa (dalla costituzione alla ricerca di fondi, dal business plan agli incontri con possibili soci o partner) e ne sono rimasta folgorata.

Non è un caso che nemmeno un anno dopo, non appena ho scoperto che sarei diventata mamma ho deciso di lasciare il mio lavoro precedente per dedicarmi alle mie due grandi passioni, i bambini e l’insegnamento. Da qui, con l’obiettivo di creare app educative per i più piccoli, è nata la mia startup Marshmallow Games.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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