La buona economia
Settesoli, l’azienda diffusa che vola all’estero
Il più grande produttore di vino della Sicilia coinvolge 3 famiglie su 4 a Menfi (Agrigento) e vende il 70% della produzione all’estero. «Stiamo creando una squadra di giovani manager che gestiscano la coop come un’impresa globale», racconta il numero uno Vito Varvaro. «E investiamo 1,5 milioni all’anno in tecnologia»
di Maurizio Di Lucchio
Pubblicato il 26 Nov 2014

Certo, non è raro nei piccoli paesi del Sud che molte famiglie abbiano a che fare con il vino e producano attraverso cooperative e consorzi. Ma da qui a vedere tante cantine sociali che, come Settesoli, riescono a raggiungere un fatturato di 56 milioni di euro e a vendere il 70% della propria produzione all’estero (in 40 paesi del mondo) ne passa.
Cantine Settesoli, cooperativa fondata nel 1958 a Menfi che oggi conta duemila soci, questo salto lo ha

In Sicilia puntare sulla managerializzazione è una scelta d’innovazione, spiega il presidente, perché di aziende con un management di primo livello ce ne sono poche. «Il mondo del vino è stato sempre legato a quello agricolo, quindi stanziale. Invece è necessario, soprattutto in una cooperativa, che a prendere le decisioni ci siano giovani con una visione globale, che abbiano girato il mondo, che sappiano l’inglese. Noi, per esempio, abbiamo creato una squadra di ragazzi tra i 30 e i 40 anni, richiamando possibilmente siciliani andati a lavorare lontano dalla Sicilia. Che poi è quello che dico agli adulti di qui: mandate i vostri figli a studiare fuori e a conoscere il mondo: quando tornano, li prendiamo qui in azienda».
Vito Varvaro, i titoli per parlare così li ha tutti, visto che ha lasciato la Sicilia a 23 anni, ha fatto per 30 anni il manager in una multinazionale come Procter & Gamble e ha avuto esperienze di gestione in alcune aziende del gruppo Della Valle come Tod’s e Marcolin. «Tornare dopo 30 anni a occuparmi della mia terra era destino», afferma. «Io paradossalmente non sono un grande bevitore di vino, ma sono cresciuto in questo territorio, dove la mia famiglia aveva proprietà agricole. E quando mi hanno chiamato a sostituire il presidente precedente ho accettato al volo, con l’obiettivo di creare un’azienda globale italiana».

Ma cambiare impostazione vuol dire anche impostare un rapporto diverso con gli agricoltori. «Già il presidente di prima aveva fatto capire che era necessaria una forte leadership centrale che decidesse soprattutto come incidere sulla qualità del prodotto: è necessario che ognuno sappia cosa piantare e non si muova autonomamente. In più, questa cooperativa ha funzionato e funzionerà perché c’è meritocrazia e la gestione non è influenzata dalla politica, a differenza di altre cooperative al sud».
Numeri alla mano, Varvaro ha convinto i soci a seguire le idee anche remunerandoli di più: «In una cooperativa, la remunerazione per ettaro è uno dei parametri più importanti perché rende più salda l’unione tra soci e motiva e rafforza la leadership del centro: negli ultimi tre anni siamo passati da 3.000 a 4.000 euro per ettaro».
Ma per diventare un’azienda globale non basta. L’innovazione deve essere anche sul prodotto. «Un’intuizione felice, fatta già vent’anni fa, è

Un’altra svolta targata Varvaro è stata quella di accelerare sull’export. L’azienda ha cominciato a vendere bottiglie in giro per il mondo già 25 anni fa. Ultimamente è arrivata anche in un mercato difficilissimo per il vino made in Italy come la Cina. Non vendiamo molto: siamo intorno alle 300-400 mila bottiglie. Da soli lì non ci si arriva. Stiamo lavorando a un’alleanza con altri produttori per avere maggior forza. Ma si prenderà un po’ di tempo».
