La buona economia
L’Italia soffre? Ecco 10 storie di imprese in salute
Nonostante gli 80 euro in busta paga e gli sforzi del governo, il Paese è ancora tecnicamente in recessione. Eppure ci sono moltissimi esempi di imprenditori che mettendosi in discussione e innovando hanno generato sviluppo, occupazione e benessere. Ve ne raccontiamo dieci
di Maurizio Di Lucchio
Pubblicato il 19 Ago 2014

Insomma, il Belpaese soffre. Non ci si può nascondere dietro a un dito. E l’impressione è che, al di là degli interventi politici, efficaci o meno, le cose non saranno molto diverse finché tutta l’economia, e non solo poche avanguardie, vireranno decisamente verso l’innovazione. Ora più che mai bisogna mettersi alle spalle i vecchi modelli, la mentalità del passato e la convinzione che si possa crescere senza cambiare nulla.
Queste dieci storie che EconomyUp ha raccolto, dal ciclo “La Buona Economia” sono la dimostrazione di quanto l’innovazione e il coraggio di mettersi in discussione possano generare sviluppo, occupazione e benessere.
Per le nostre aziende hanno delocalizzato nel Far East o nell’Est Europa per risparmiare. Ora si sta verificando il fenomeno inverso: la rilocalizzazione. Il back reshoring, per quanto ancora di nicchia, interessa sempre più imprese: sono già circa 80 ad aver fatto marcia indietro. Tra queste Natuzzi, Fiamm e Aku, che ritrasferiscono in patria l’intera produzione o solo una parte. Perché? I costi all’estero salgono e la richiesta di made in Italy 100% cresce.

Vito Gulli, numero uno di Generale Conserve, proprietaria del marchio di tonno Asdomar, ha trasferito in Sardegna, a Olbia, tutto il ciclo produttivo, nonostante i costi più elevati “Creando occupazione, aumenta il potere d’acquisto: è un circolo virtuoso”.

Il gruppo monzese che si occupa di gas industriali fattura più di 450 milioni (quasi tutti nel nostro Paese) e punta da sempre sull’innovazione. Da 15 anni, per esempio, promuove un premio per i ricercatori che restano in Italia. Eppure, l’azienda non ha ancora collaborato con le neoimprese. Da qui, l’appello del presidente Alberto Dossi: “Bussate alla nostra porta: abbiamo bisogno di idee innovative nel nostro core business”.

Specializzata nello sviluppo di prodotti industriali, la Hsl ha battuto la crisi con una doppia strategia: tecnologie impostate sul 3d printing per migliorare i processi produttivi e creazione di nuovi brand basati sulla digital fabrication. I risultati? Un mix di manualità e tecnologia, un fatturato di quasi 6 milioni e nuove assunzioni.

La stilista under 30 di Caprarola (Viterbo) dirige un brand di borse che porta il suo nome e adotta un modello di produzione in grado di stimolare la rinascita di tutta una comunità all’insegna dell’artigianato e di una visione alternativa e coraggiosa della moda.

Ogni giorno chiudono decine di imprese. E per molte l’autunno si prospetta incerto. Ma quando tutto sembra perso è il momento di innovare. È la ricetta di Ali Reza Arabnia, ad e presidente di Geico (impianti per la verniciatura delle auto), che l’ha già applicata almeno un paio di volte e l’ha trasmessa al figlio trentenne Daryush. In un caso, celebrato da più parti, l’imprenditore ha anche restituito la cassa integrazione ai suoi dipendenti.

La Caar, prima Pmi italiana non quotata a emettere un’obbligazione di piccolo taglio, ha utilizzato le risorse dell’emissione per finanziare l’espansione all’estero e aumentare il personale. L’ad Ellena: “Faremo acquisizioni mirate e monitoriamo anche le startup”.

Si comincia superando le gelosie e accettando di fare innovazione condivisa con altre imprese e università. Poi si eliminano gli sprechi ispirandosi anche al modello inventato dalla Toyota. Così un’azienda ultracentenaria della zona di Bergamo, la Indeva, è diventata un caso di studio nella meccatronica.

L’azienda casearia marchigiana ha lanciato un programma di benefit per i suoi collaboratori che ha migliorato le performance produttive e la qualità dei prodotti. Gli effetti sono evidenti: il fatturato è arrivato a 68 milioni e il bacino di vendite si è esteso anche al Sud, dove la concorrenza locale è agguerrita.

L’impresa toscana ha incrementato le sue vendite anche in tempi di crisi intercettando la riscoperta sociale dei barbieri e la carica di made in Italy nel rito della rasatura. La mossa di coinvolgere figure manageriali ha portato, dal 1994 a oggi, a un aumento dei ricavi di quasi 2 milioni di euro all’anno.

Texa, impresa di Monastier (Treviso) che produce sistemi diagnostici per l’automotive, ha resistito alla crisi grazie alle innovazioni, tra cui un accordo con Big G. Negli ultimi 3 anni, fatturato stabile a 50 milioni, senza spostarsi dall’Italia: “Delocalizzare è insensato. Chi va all’estero regala know how ed esperienza”.