“20 assunzioni e 4 nuove società: così il minibond ci ha fatto crescere”

La Caar, prima Pmi italiana non quotata a emettere un’obbligazione di piccolo taglio, ha utilizzato le risorse dell’emissione per finanziare l’espansione all’estero e aumentare il personale. L’ad Ellena: “Faremo acquisizioni mirate e monitoriamo anche le startup”

Pubblicato il 18 Mag 2014

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Francesco Ellena, ad di Caar

Un minibond, venti nuovi assunti, quattro società create. E un fatturato in costante crescita. I risultati della Caar, società torinese attiva nell’ambito dell’ingegneria di processo e di prodotto specializzata nei settori automotive, aerospace e railway, sono la dimostrazione che anche le Pmi possono avere vantaggi nel finanziarsi direttamente sui mercati attraverso le obbligazioni di piccolo taglio previste dal decreto sviluppo 2012.

La Consulting automotive aerospace railway (Caar), fondata nel 2009, è stata la prima azienda non quotata italiana a emettere un minibond con la nuova disciplina. Nel luglio 2013 ha debuttato sul listino ExtraMOT PRO di Piazza Affari con un’emissione da 3 milioni di euro, collocata in brevissimo tempo e sottoscritta interamente da 14 investitori professionali. Da allora, gli effetti di quest’operazione sono stati positivi sotto vari punti di vista. I ricavi 2013 hanno registrato un incremento superiore al 10%, proseguendo nel trend di crescita in atto dal primo anno: 800 mila euro nel 2009, 1,6 milioni nel 2010, 3,2 milioni nel 2011, 4,5 milioni nel 2012 e oltre 5 milioni nel 2013.

“Io e il mio socio Paolo Mombelli abbiamo avuto il coraggio di avviare la nostra impresa in un momento tragico per l’economia mondiale”, racconta il fondatore e amministratore delegato Francesco Ellena. “Eravamo in piena tempesta, le auto – il nostro principale mercato di riferimento – non si vendevano e le aziende chiudevano. Eppure, credendo nella nostra competenza, abbiamo trovato anno dopo anno nuovi clienti e l’anno scorso abbiamo chiesto un finanziamento per crescere e portare i nostri servizi anche al di fuori di Torino e del mondo Fiat”.

Con le risorse ricevute dal minibond, utilizzate solo in parte, la Caar ha creato due startup interne, parallele all’attività principale: Caar MD Automation, specializzata nella progettazione di attrezzature per la saldatura, e MD Caar Simulation, che si occupa di simulazioni di stampaggio di componenti in lamiera. In più, per espandersi sui mercati internazionali, la società ha anche aperto due sedi all’estero: Caar do Brasil e Caar Serbia. “L’obiettivo è quello di insediarci anche in Germania, che è il mercato in cui vogliamo crescere di più e per il quale stiamo cercando partner locali”, aggiunge Ellena.

Un terzo fronte di sviluppo è l’investimento in società già esistenti. “Stiamo facendo scouting di aziende perché vogliamo fare alcune acquisizioni mirate”, spiega l’ad. “Guardiamo anche alle startup, che necessitano di operazioni relativamente semplici. Stiamo per esempio monitorando alcune nuove imprese di I3P, l’incubatore legato al Politecnico di Torino. Ma stiamo attenti anche all’estero. L’anno scorso siamo stati per esempio in India a vedere alcune società. E ancora, teniamo sotto osservazione aziende più consolidate che si trovano in difficoltà economiche, magari per scelte manageriali sbagliate, e che possono essere acquistate con cifre più contenute. Il nostro obiettivo è arrivare a 20 milioni di fatturato in cinque anni”.

Il piano di crescita della Caar ha già generato importanti ricadute positive a livello occupazionale: dopo l’emissione obbligazionaria, le nuove assunzioni sono state oltre venti e l’età media dei dipendenti (attualmente circa ottanta tra Italia ed estero) è scesa sotto i 35 anni. “Il punto di forza di una società di ingegneria è la competenza, che si realizza solo investendo sulle risorse umane e puntando su anni e anni di formazione”, afferma Ellena. “Ecco perché abbiamo deciso di assumere tanti dipendenti, e tutti a tempo indeterminato, perché chi lavora deve avere certezza del futuro”.

Ma pur essendo una società che lavora su progetti ad alto contenuto tecnologico, la Caar non è a caccia di soli laureati. La politica delle risorse umane è più “europea”. “In questo settore c’è bisogno di consolidarsi nel tempo, formare nuove risorse”, osserva il co-fondatore di Caar. ”Ecco perché abbiamo cercato, e cerchiamo tuttora, sia giovani laureati che diplomati. Non è necessario avere l’ingegnere come lo intendiamo in Italia, quelli cioè che si laureano a 25 anni e pretendono dopo poco tempo di fare i manager. Servono come li si intende all’estero, pronti a 21-22 anni al massimo e disposti ad apprendere attraverso l’affiancamento di personale più esperto che trasmettono loro altre competenze: è formazione on the job, un processo che costa ma che ci permette di guadagnare la fiducia dei clienti e di crescere”.

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