LA GUIDA

App Immuni: funziona davvero? Come scaricarla, a cosa serve e su quali cellulari usarla

Ha debuttato il primo giugno Immuni, l’app che aiuta a tracciare i contagi da coronavirus. Il test finirà a metà mese ma sono ancora tante le critiche. Ecco le risposte ai principali dubbi: su quali smartphone funziona? Tutela la privacy? Quanti devono scaricarla perché sia efficace? Come sono le analoghe app nel mondo?

Pubblicato il 15 Giu 2020

immuni

Dal 15 giugno 2020 è attiva per tutti gli utenti in Italia l’app Immuni, innovativo supporto tecnologico che ha debuttato il primo giugno 2020 e che si affianca alle iniziative già messe in campo dal governo per limitare la diffusione del Covid-19. Dall’8 giugno l’applicazione è stata sperimentata in 4 Regioni: Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia.

Dotarsi dell’app permetterà di risalire ai contatti che possono aver esposto una persona al rischio di contagio. I servizi sanitari regionali potranno gradualmente attivare gli avvisi dell’app con l’obiettivo finale di contenere e ridurre l’espansione della pandemia.

Su Immuni si sono già espressi in molti – scienziati, politici, esperti digitali – con critiche e apprezzamenti. Si è detto che arriva troppo tardi, che la installeranno in pochi, che potrebbe violare la privacy e molto altro. D’altra parte, per contrastare la pandemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indicato la strategia delle 3 T:  testare più persone possibile con tamponi e test sierologici, tracciare con app o indagini i contatti dei casi positivi per sottoporli a test e isolarli dalla comunità e, infine, trattare, ovvero curare, i malati attraverso l’assistenza ospedaliera o domiciliare coordinata. L’app Immuni è al centro della strategia di tracing italiana. Se è vero che è arrivata in ritardo, con i casi di coronavirus per fortuna in notevole diminuzione nel Paese, potrebbe essere utile durante l’estate e in particolare in autunno-inverno, quando potrebbe verificarsi una seconda ondata. In ogni caso, essendo volontaria, resta un esercizio di senso civico. E, in ultima analisi, potrà servire a salvare vite umane.

Come questo verrà effettivamente messo in pratica è ancora da capire. Intanto qui ne prendiamo in considerazione i molteplici aspetti.

1. Come è nato il progetto Immuni?

Il progetto nasce dalla collaborazione tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro della Salute, Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, Regioni, Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 e le società pubbliche Sogei e PagoPa. Base di lavoro per la realizzazione dell’app, il codice messo gratuitamente a disposizione dello Stato da parte della società Bending Spoons. Il sistema è stato sviluppato anche grazie a un’approfondita interlocuzione con il Garante per la protezione dei dati personali.

Bending Spoons: la (ex) startup di Immuni tra le aziende cresciute più velocemente nella UE

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2. App Immuni, perché arriva così in ritardo?

Annunciata durante il lockdown, l’app Immuni è decollata circa un  mese e mezzo dopo. Per l’esattezza l’incarico di sviluppo dell’app a Bending Spoons è arrivato con un’ordinanza del 16 aprile 2020 dal commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri. La società, ormai ex startup e oggi azienda affermata, si è aggiudicata il bando indetto dalla task force incaricata dalla ministra dell’Innovazione, Paola Pisano, al quale hanno partecipato altri 318 candidati.  Il progetto di Bending Spoons è stato portato avanti con la collaborazione del Centro Medico Santagostino, rete di lombarda di poliambulatori pioniera nella digitalizzazione dei propri servizi, che è guidata dall’amministratore delegato Luca Foresti, laureato in fisica e imprenditore.

Le ragioni del ritardo sono varie e sono di ordine burocratico e non. Lo sviluppo dell’app , per esempio, si è incagliato nella scelta del sistema per il salvataggio dei dati (alla fine si è moptato per un sistema decentralizzato, con il registro salvato sui singoli smartphone degli utenti). Nel frattempo c’era da aspettare Google e Apple,  che hanno rilasciato solo mercoledì 20 maggio 2020 l’attesa tecnologia per smartphone in grado di aiutare le autorità sanitarie a rilevare la diffusione delle infezioni da coronavirus.

Inoltre, il governo italiano ha deciso di coinvolgere nel progetto anche Sogei (Società generale d’informatica) di proprietà del Ministero dell’Economia, e PagoPa, il sistema sviluppato da AgID per i pagamenti nella pubblica amministrazione, poi diventato una società per azioni interamente controllata dallo Stato. Il coinvolgimento è stato necessario per garantire che tutti i dati raccolti da Immuni restino di proprietà dello Stato e che verranno cancellati alla fine dell’epidemia. Ma questo naturalmente ha comportato un normale allungamento dei tempi.

3. App Immuni, quali sono stati i tempi della sua introduzione?

Dal 1 giugno l’app Immuni è ufficialmente disponibile sugli store digitali di Google e di Apple e può essere scaricata gratuitamente da tutti gli italiani sul proprio smartphone. Nel momento in cui si decide di scaricarla, inizia a salvare i codici degli smartphone delle persone a cui l’utente si è trovato vicino.

Dall’8 giugno è iniziato il test dell’app nelle seguenti Regioni: Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia. A partire da quel giorno queste Regioni l’hanno integrata nel loro sistema sanitario permettendo l’invio delle notifiche di esposizione a chi è stato a contatto con un positivo.

Lo sblocco dei primi tre codici dell’app Immuni su soggetti trovati positivi è avvenuto in Liguria.  Nell’Asl 3 genovese, nella settimana dall’8 al 12 giugno, tre soggetti risultati positivi al tampone sono stati forniti del codice numerico per dare l’alert nell’app Immuni.

Dal 15 giugno 2020 è operativa su tutto il territorio nazionale.

4. Come funziona l’app Immuni?

Immuni serve agli utenti di telefoni cellulari per ricevere notifica di eventuali esposizioni al Coronavirus. Gli utenti di cellulari che decidono di scaricare l’applicazione contribuiscono a tutelare sé stessi e le persone che incontrano. Se sono entrati in contatto con soggetti successivamente risultati positivi al tampone, verranno avvisati con una notifica dell’app. Ciò consentirà loro di rivolgersi tempestivamente al medico di medicina generale per ricevere le indicazioni sui passi da compiere.

Quando le strutture sanitarie e le Asl riscontrano un nuovo caso positivo, dietro consenso del soggetto stesso gli operatori sanitari inseriscono un codice nel sistema. A questo punto il sistema invia la notifica agli utenti con i quali il caso positivo è stato a stretto contatto.

5. Che cosa accade in caso di contagio?

Se un utente è risultato positivo a Covid-19 – si legge sul sito del ministero –  con l’aiuto di un operatore sanitario potrà caricare su un server delle chiavi crittografiche dalle quali si può derivare il suo identificativo di prossimità.

Per ogni utente, l’app scarica periodicamente dal server le nuove chiavi crittografiche caricate dagli utenti che sono risultati positivi al virus, deriva i loro identificativi di prossimità e controlla se qualcuno di quegli identificativi corrisponde a quelli registrati nella memoria dello smartphone nei giorni precedenti. Se in queste chiavi scaricate dovesse risultare quella di un utente con cui si è entrati in contatto, l’app verificherà se la durata e la distanza del contatto siano state tali da causare il contagio.

Gli identificativi di prossimità sono generati in modo casuale, senza contenere informazioni sul dispositivo, e vengono modificati diverse volte ogni ora.

6. Quali condizioni si devono verificare perché l’app mi avverta di un’esposizione a rischio?

Una distanza di meno di 2 metri da un individuo positivo per un periodo sopra i 15 minuti. Con qualche “incertezza” e oscillazione. “Gli smartphone – spiega Davide Casalini –  non possono misurare direttamente la distanza a cui avviene un contatto. Quindi Immuni usa l’attenuazione del segnale Bluetooth Low Energy per ricavarne una stima. Sono stati eseguiti test di calibrazione per rendere questa stima più affidabile possibile. Tuttavia, la stima non può essere precisa a causa di una serie di fattori di disturbo. Quindi l’app non può garantire con certezza che la distanza siaeffettivamente inferiore ai 2 metri. Ciò che è certo è che, se ricevi una notifica di esposizione a rischio, sei stato in prossimità di un utente potenzialmente contagioso per un tempo prolungato”.

Spiegano gli sviluppatori dell’app: “La scelta è del Ministero per la Salute. Perché un utente venga notificato l’esposizione deve essere avvenuta a una distanza inferiore ai 2 metri per un tempo superiore ai 15 minuti. Gli smartphone non possono misurare direttamente la distanza a cui avviene un contatto. Quindi, Immuni usa l’attenuazione del segnale Bluetooth Low Energy per ricavarne una stima. I nostri data scientist hanno eseguito svariati test di calibrazione per rendere questa stima la più affidabile possibile. Siamo anche in continuo dialogo con i gruppi di altri Paesi per imparare gli uni dagli altri e migliorare il risultato finale a beneficio di tutti. I parametri al momento in uso sono quelli che, in base ai nostri test, garantiscono la stima mediamente più corretta relativamente alla soglia dei 2 metri di cui sopra. È importante precisare che il segnale Bluetooth Low Energy è molto influenzato da vari fattori di disturbo, per esempio gli ostacoli (in primis i corpi degli utenti) che si frappongono fra i due smartphone. Quindi non è realistico pensare di non avere “falsi positivi” e “falsi negativi”. La calibrazione attuale è stata fatta in condizioni realistiche (per esempio, con gli smartphone in mano al tester o in tasca dello stesso). Peraltro, la calibrazione è in continuo divenire, man mano che facciamo altri test e Apple e Google proseguono col perfezionamento della calibrazione delle potenze del segnale Bluetooth Low Energy per i vari modelli di smartphone (Immuni ne supporta oltre 10.000)”.

7. Che cosa succede a chi riceve un alert dopo aver scaricato l’app Immuni?

L’alert proveniente dall’app Immuni, scrive l’avvocato Fulvio Sarzana, appare in grado di determinare due eventi a carico  di chi lo riceve: l’obbligo di essere posto in quarantena con sorveglianza attiva e il divieto di accesso nel luogo di lavoro ai sensi della disciplina del protocollo di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid  o dell’art. 20 del Testo Unico di Salute e Sicurezza (d.lgs. n. 81/2008).  Chi visualizza l’alert ha avuto un contatto stretto nei 14 giorni precedenti con un soggetto contagiato dal Covid19. Le norme del Ministero della salute lo qualificano come “contatto stretto”. 

Qual è la definizione di contatto stretto?

Il “Contatto stretto” (esposizione ad alto rischio) di un caso probabile o confermato è definito come:

  • una persona che vive nella stessa casa di un caso COVID-19
  • una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso COVID-19 (per esempio la stretta di mano)
  • una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso COVID19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
  • una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti
  • una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso COVID-19 in assenza di DPI idonei
  • un operatore sanitario o altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
  • una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.

A proposito di cosa può accadere a chi riceve la notifica sullo stretto contatto con un caso di coronavirus, Antonio Palmieri scrive su EconomyUp, rivolgendosi alle istituzioni: “Spiegate, con chiarezza e verità che cosa accade, e a che cosa ha diritto, chi riceve il messaggio di essere entrato in contatto con persona ammalata. Siamo sempre lì: Governo (e Regioni) devono essere in grado di garantire che al tracciamento seguano, immediatamente, test (tampone) e trattamento (cura)“.

8. L’app Immuni funziona su tutti gli smartphone?

Purtroppo, almeno per il momento, no. Non tutti gli smartphone sono supportati se non rispettano i requisiti relativi al sistema operativo. Per quanto riguarda iOS, il sistema operativo di Apple, i dispositivi devono necessariamente aver installata la versione 13.5 o superiore. Ciò significa che i melafonini che permettono di scaricare e utilizzare l’app sono: iPhone 11, iPhone 11 Pro, iPhone 11 Pro Max, iPhone Xr, iPhone Xs, iPhone Xs Max, iPhone X, iPhone SE (seconda generazione), iPhone 8, iPhone 8 Plus, iPhone 7, iPhone 7 Plus, iPhone 6s, iPhone 6s Plus, iPhone SE (prima generazione).

I possessori di iPhone 6 (uscito nel 2014), di iPhone 5s e 5 (rispettivamente usciti nel 2013 e 2012), dunque, non potranno scaricare e utilizzare l’app di Immuni.

Per quanto riguarda Android, i dispositivi saranno supportati se rispetteranno tre requisiti: sistema operativo aggiornato ad Android 6 (Marshmallow, API 23) o superiore; Google Play Services versione 20.18.13 o superiore; Bluetooth Low Energy. Per quanto riguarda il sistema operativo di Google, quindi, non è necessariamente richiesta l’ultima versione disponibile (al momento è Android 10), ma una release minima. Il rilascio di Android 6 è avvenuto a ottobre 2015 e questo dovrebbe permettere il supporto a dispositivi non più recentissimi, a patto però che i Google Play Services siano aggiornati almeno alla versione 20.18.13. 

9. L’app Immuni tutela davvero la privacy?

Nell’intero sistema dell’app – sottolinea una nota della presidenza del Consiglio – non sono presenti né saranno registrati nominativi e altri elementi che possano ricondurre all’identità della persona positiva o di chi abbia avuto contatti con lei, bensì codici alfanumerici. L’impiego dell’applicazione, volontario, ha lo scopo di aumentare la sicurezza nella fase di ripresa delle attività.

Con una comunicazione diffusa il 1 giugno, il Garante per la protezione dei dati personali ha autorizzato il Ministero della salute ad avviare il trattamento relativo al Sistema di allerta Covid-19.  Tenuto conto della complessità del sistema di allerta e del numero dei soggetti potenzialmente coinvolti, il Garante ha comunque ritenuto di indicare una serie di misure per rafforzare la sicurezza dei dati delle persone che scaricheranno la app. 

Alcuni, come Paolo Colli Franzone, esperto di sanità digitale, sostengono che, proprio per una maggiore tutela della privacy, “l’app la si sarebbe dovuta sviluppare internamente alla PA“. Colli Franzone ritiene l’idea di un’app di tracing “di per sé buona”, ma rileva che “nel caso specifico di Immuni non mancano i dubbi, soprattutto rispetto al trattamento dei dati e alla natura del soggetto proponente. Non a caso nei giorni precedenti al rilascio si sono moltiplicate le polemiche e le dichiarazioni di perplessità”.

Tuttavia, come sottolinea questo articolo, il via libera del Garante privacy a Immuni deve essere visto come solo l’inizio di un percorso che bisognerà seguire per sistemare tutte le questioni di natura normativa che emergeranno nel corso della prima fase della sperimentazione.

Dal fronte degli sviluppatori arriva invece un sostanziale apprezzamento per la tutela della privacy garantita da questa applicazione.

E c’è chi, come Massimo Canducci, ne sottolinea l’importanza in termini civici ed etici: “Al netto di tutte le considerazioni tecniche, di privacy, di distribuzione e contrattuali, (…) – scrive il Chief innovation officer di Engineering Ingegneria Informatica S.p.A – ponetevi questa domanda: “Il mio utilizzo di quest’app può contribuire a salvare anche solo una vita umana”? La risposta è sì (non chiedetemi di dimostrare l’ovvio). Poi ognuno scelga quello che vuole”.

10. C’è un rischio di aumento del potere delle big tech?

“Più che Immuni, mi spaventa la mossa di Apple e Google che con un accordo diretto tra loro hanno apparentemente ribaltato le regole di mercato” dice Andrea Caccia, componente dell’Advisory Board di Anorc (Associazione nazionale per operatori e responsabili della Conservazione digitale). “Leggiamo nelle FAQ delle loro API, senza le quali è impossibile sviluppare un’App che funzioni bene senza prosciugare la batteria dello smartphone, che l’uso viene concesso solo alle autorità sanitarie, ma dopo aver verificato che le loro applicazioni rispettino i criteri stabiliti dalle due multinazionali. Soggetti che normalmente dovrebbero essere controllati dalle autorità governative fanno un accordo che ad oggi, da un lato, li trasforma in controllori delle stesse e, dall’altro, esclude dal mercato i propri concorrenti. Se con la scusa della pandemia si sdoganasse questo comportamento il potere già immenso di queste multinazionali diventerebbe molto pericoloso“.

11. Quanti hanno scaricato finora l’applicazione?

La ministra dell’Innovazione Paola Pisano ha annunciato il 2 giugno che, dopo 24 ore, sono stati contati 500mila download dell’applicazione. “Si vede che i cittadini ne hanno capito l’importanza e l’utilità” ha dichiarato Pisano. “Ad oggi siamo il primo grande paese d’Europa ed uno dei primi paesi del mondo a usare una tecnologia simile per il contrasto del virus”. Ma 500mila download in un giorno sono tanti? O sono pochi? Sappiamo anche che l’applicazione è stata al primo posto della classifica italiana delle app più scaricate sia su App Store sia su Google Play. Ma dalle cifre sui playstore è inizialmente emerso un piccolo giallo. Lo store di Google Play riportava la cifra di 100.000 download. Gli smartphone iOS, che accedono allo store Apple, invece, costituiscono un terzo dei telefonini accessoriati con Android. “Questo significa – rilevava l’avvocato Fulvio Sarzana – che al massimo i download possono essere inferiori di due terzi rispetto ai dati dello store Android. Con queste cifre come possono essere cinquecentomila i download?”. Tuttavia, come lo stesso Sarzana ha per correttezza successivamente confermato, la quota di 500mila dowload è stata poi raggiunta il 3 giugno alle ore 13.00. Al 4 giugno l’app era stata scaricata da un milione e 150 mila italiani, ha detto il Commissario Domenico Arcuri. All’8 giugno, data di inizio di sperimentazione dell’applicazione in 4 Regioni italiane, i download dichiarati dalla ministra Pisano erano oltre 2 milioni. 

12. Quanti devono scaricarla perché sia efficace?

Enrico Bucci, professore di Biologia alla Temple University di Philadelphia, ha dichiarato in un’intervista a Repubblica che, per essere davvero utile nel tracciare i contagi, la app dovrebbe essere utilizzata almeno dal 70% degli italiani, di ogni fascia d’età e in ogni zona del Paese.

Dagli studi pubblicati dall’Università di Oxford  l’app deve essere scaricata almeno dal 50% della popolazione per essere efficace (QUI il report). Altri scienziati avanzano ipotesi su percentuali intorno al 60%.

Tra gli scettici sulla sua adozione (e quindi sull’efficacia) c’è Andrea Lisi, titolare dello studio legali Lisi. “Come si può anche solo sognare  – scrive qui – che si possa garantire una diffusione dell’app Immuni basandosi sul semplice consenso libero e trasparente dei cittadini italiani? E anche se fosse possibile raggiungere una copertura di oltre il 60% della popolazione, come si intenderebbe garantire un utilizzo consapevole dell’applicativo in modo da consentire a tutti i cittadini italiani una redazione giornaliera di diari clinici digitali corretti e affidabili sul proprio stato di salute?”.

13. Quanti italiani intendono scaricarla?

Secondo un sondaggio realizzato da Emg Acqua per Public Affairs Advisors, soltanto il 44% degli italiani sarebbe disposto a scaricare e utilizzare Immuni. In particolare, dalla rilevazione emerge che solo il 16% del campione si dice certo di voler installare l’applicazione, mentre un italiano su 4, per l’esattezza il 24%, è certo di non volerla installare.

14. L’app Immuni servirà davvero?

Secondo alcuni, tutto sommato, l’applicazione è inutile. A pensarla così è Corrado Giustozzi, informatico, giornalista, scrittore ed esperto di cybersecurity. “Nice try, ma penso che sia arrivata troppo tardi – dice a EconomyUp – in un momento in cui la fase acuta è passata. E se non la installano almeno l’80% degli italiani non servirà a niente”. Inoltre, secondo Giustozzi, c’è anche il rischio di “generare un sacco di falsi positivi, e quindi terrore sociale. Come si fa – si chiede – a misurare un contagio solo con la distanza e il tempo? E se le persone che entrano in contatto portano entrambi le mascherine? E se la persona contagiata è nell’appartamento accanto e il Bluetooth riesce comunque a ‘vederla’?”.

Al contrario di Giustozzi, l’epidemiologo Fabrizio Pregliasco ritiene che, seppure il ruolo dell’app potrebbe non essere fondamentale in un momento di declino della pandemia come questo, testarla ora potrebbe essere importante per il futuro: “Se fosse arrivata prima, sarebbe stato meglio” ammette, per poi  aggiungere: “L’app ora non sarà determinante ma contribuirà a tenere sotto controllo un problema che ci terrà compagnia a lungo. Nei prossimi mesi ci potrebbe aiutare a passare una buona estate, segnalando subito i contatti potenzialmente pericolosi. L’app potrebbe diventare fondamentale in caso di ricaduta. Da settembre potremmo avere una nuova fase di contagi, complice anche la diffusione dei virus stagionali. Avere un’app di tracciamento già testata e bene funzionante potrebbe essere così molto utile”.

Una tesi analoga è sostenuta dal biologo Enrico Bucci. Guardando allo scoppio di nuovi focolai in Corea del Sud, Bucci sostiene che proprio il tracing è stato fondamentale per il contenimento. “Nella Corea post-lockdown – scrive – con chiese riaperte, locali pubblici e scuole funzionanti, la guardia è stata mantenuta alta, e il tracciamento rapido dei contatti dei nuovi casi ha permesso l’isolamento dei nuovi focolai nel frattempo emersi”.

15. Quante sono le app di tracing anti-coronavirus nel mondo?

L’inchiesta Track(ed) Together della testata The Corrispondent  ha contato complessivamente un’ottantina di applicazioni in tutto il mondo per il tracciamento dei contagi da coronavirus. L’obiettivo è comune: registrare gli incontri tra persone e avvisare gli utenti se sono entrati in contatto con un malato. Ma la tecnologia cambia da Paese a Paese:  29 app sfruttano il sistema Bluetooth, altre 11 il Gps, 15 i codici a barre, 11 app un mix delle suddette tecnologie.

16. È vero, come dice Pisano, che siamo i primi in Europa?

In effetti l’Europa è in ritardo sulle app di tracing e l’Italia figura tra le prime nell’adozione di questo tipo di applicazione.  I francesi ci sono arrivati più o meno quando noi, dopo analoghi ritardi. La francese StopCovid, basata su un protocollo che assegna un ID permanente a ogni persona salvato in un server remoto, ha appena fatto il suo debutto con 600mila download iniziali. Diversamente dall’Italia la Francia ha deciso di non avvalersi della piattaforma Apple – Google in nome della ”sovranità digitale” del Paese. La Germania, come l’Italia, ha invece scelto di appoggiare la piattaforma delle due big tech con un approccio decentralizzato, abbandonando l’alternativa prevista inizialmente che avrebbe consentito alle autorità sanitarie il tracciamento centralizzato.  Ma il lancio  di un’analoga app è previsto non prima di metà giugno. In Spagna ancora non è stata annunciata una data di uscita. Anche il Regno Unito non è ancora pronto al debutto ufficiale: Londra ha avviato la sperimentazione di un’applicazione, sviluppata dall’unità tecnologica digitale del National Health Service (NHS),  testata in prima istanza sull’isola di Wight. La versione definitiva è prevista entro fine giugno.

In realtà ad auto-proclamarsi prima in ordine di arrivo nel territorio europeo è la Svizzera, che il 30 maggio ha svelato la sua app “SwissCovid”. L’applicazione – che, come quella italiana, impiega l’Api (interfaccia di programmazione per app) di contact-tracing di Google ed Apple –è ora in fase sperimentale ed è a disposizione dei membri dell’esercito, degli operatori ospedalieri e dei funzionari pubblici. Perché possa diventare operativa per la totalità della popolazione, le autorità della confederazione devono approvare una mozione.

17. Come stanno funzionando le app di tracing nel mondo?

Singapore la app anti-contagio, TraceTogether, esiste da marzo 2020 ma, secondo i dati di maggio, l’aveva scaricata solo una persona su quattro. In Australia solo cinque milioni di abitanti su 25 hanno effettuato il download. In India, dove scaricare l’applicazione è obbligatorio, i download sono stati cento milioni su 1,35 miliardi di abitanti. In Norvegia circa il 25% dei cittadini ha eseguito il download, ma, a fine aprile, l’istituto di salute pubblica norvegese sottolineava che solo il 20% di questo 25% la stava effettivamente utilizzando.

(Articolo aggiornato all’15/06/2020)

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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