Il caso

Google – Europa, non è una guerra fra conservatori e innovatori

L’Antitrust UE torna alla carica. E subito si accendono le dispute partigiane. Ma non bisogna cadere nella tentazione di semplificazioni fuorvianti, ha scritto su La Stampa un esperto al di sopra di ogni sospetto di conservatorismo, Juan Carlos De Martin. Che dice: bisogna livellare il campo di gioco. Poi vinca il migliore

Pubblicato il 17 Apr 2015

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Abuso di posizione dominante. Cinque anni dopo l’apertura dell’indagine su Google l’Antitrust dell’Unione Europea è tornata alla carica contro il colosso di Mountain View. Come sempre, sono ripartite le dispute partigiane fra chi pensa che quella europea sia una battaglia di retroguardia e chi invece alza lo scudo e brandisce la lancia contro la multinazionale digitale americana, chiamando a raccolta governi e popoli del Vecchio Continente. Iper-semplificazioni, dice Juan Carlo De Martin, docente del Politecnico di Torino dove ha lanciato un corso intitolato “Rivoluzione digitale” e ha fondato il centro Nexa su Internet e società. Quindi certamente non è un conservatore, nè un antiamericano visto che è anche Faculty Fellow presso il Berkman Center for Internet & Society di Harvard. Giovedì 16 aprile ha pubblicato su La Stampa, quotidiano di cui è editorialista, un interessante intervento che aiuta a leggere in maniera meno semplice l’ultima sortita europea contro Google, che questa volta ha il volto della danese Margrethe Vestager, nuovo Commissario alla Concorrenza.

Cominciamo con le contrapposizione semplici e fuorvianti nelle quali secondo De Martin siamo indotti a cadere. La prima iper-semplificazione: «secondo alcuni, l’Europa, avendo perso la partita nel mercato, starebbe cercando di contrastare il potere economico americano a colpi di sentenze. Insomma, si starebbe seguendo la via giudiziaria per riequilibrare la bilancia digitale transatlantica dei pagamenti, nettamente a favore degli Usa. Opinione in astratto plausibile non fosse che tra i critici più rumorosi di Google ci sono grandi aziende americane come Microsoft e TripAdvisor. Così come nel febbraio 2009 era stata Google ad appoggiare la Commissione Europea quando quest’ultima indagava Microsoft. Faglie profonde, dunque, attraversano la stessa industria digitale americana».
«La seconda falsa contrapposizione, con forti connotati moralisti, è tra «innovatori» da una parte – oggi Google, ma domani, chissà, Uber o altro servizio digitale – e «conservatori» dall’altra. I «conservatori», incapaci di affrontare gli «innovatori» sul campo, non saprebbero far altro che invocare leggi o sentenze a loro tutela. Da una parte è certamente vero che in Europa (Italia inclusa) non pochi imprenditori iniziano a prendere sul serio la rivoluzione digitale solo quando costretti, ovvero, solo quando un colosso – tipicamente americano – gli entra in casa. Non sarebbe positivo tutelare chi per stupidità o per pigrizia ha ignorato la più profonda trasformazione tecnologica del secolo. Tuttavia, la facile contrapposizione innovatori-conservatori si smonta nel momento in cui prendiamo atto che tra i critici di Google (come in passato tra i critici di Microsoft) ci sono anche aziende altamente innovative, di certo non caratterizzate da inerzia o da mancanza di creatività».

A questo punto De Martin consiglia di leggere la vicenda in altro modo. «Occorre essere consapevoli che la rivoluzione digitale, come tutte le rivoluzioni, sta riscrivendo le mappe del potere. Innanzitutto, la mappa del potere economico, ma anche le mappe del potere politico, militare e culturale. La riscrittura in ambito economico deve avvenire consentendo a tutte le aziende di giocare una partita con regole certe e, soprattutto, uguali per tutti».

La rivoluzione sta quindi generando scontri più o meno sotterranei. De Martin richiama l’attenzione su tre fattori: anti-trust, fiscalità e tutela dei dati personali. E scrive: «Se la Commissione ha fatto un primo passo, tutto da confermare, relativamente al primo punto, riguardo a fiscalità e tutela dei dati personali, invece, le disparità tra aziende sono ancora molto forti….La strada, però, per mettere tutte le aziende sullo stesso piano fiscale appare ancora accidentata».

Non va molto meglio sui dati personali. «La libertà di manovra concessa alle aziende americane grazie all’accordo «Safe Harbor» del 2000 mette le aziende europee in una condizione di oggettivo svantaggio competitivo», ricorda De Martin. Che conclude: «Dopo aver agito su questi tre aspetti cruciali, ovvero, dopo aver livellato per bene il campo da gioco, a quel punto che vinca davvero – nel rispetto delle regole – chi innova, chi è più bravo a stare sul mercato, chi meglio interpreta le potenzialità della rivoluzione digitale».

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