Gianluca Giovannetti, CIO Amadori: “Cerchiamo startup anti-spreco e nuovi ingredienti”

Il Direttore Centrale Innovazione di Amadori spiega perché l’azienda partecipa al FoodTech Accelerator di Deloitte: “È open innovation ‘arricchita’, abbiamo ricostruito una filiera”. E descrive la governance interna: “Per ogni funzione c’è un dipendente che deve diffondere il verbo innovativo”

Pubblicato il 12 Feb 2019

Gianluca Giovannetti

Amadori cerca innovazione tra le startup, in particolare tra quelle che propongono ingredienti innovativi, modi per gestire il problema degli sprechi alimentari e che hanno come target determinate nicchie alimentari. Lo racconta a EconomyUp Gianluca Giovannetti, Direttore Centrale Innovazione e Servizi Business in Amadori, azienda che partecipa al FoodTech Accelerator, coordinato da Deloitte, appena aperto al Portello di Milano.

Quali sono e cosa fanno le 7 startup del nuovo Foodtech Accelerator al Portello di Milano

Amadori,  una delle maggiori aziende agroalimentari in Italia, specializzata nel settore avicolo, lavorerà fianco a fianco con alcune giovani società che propongono un nuovo modo di trattare, utilizzare e vendere il cibo. Una conferma che l’azienda sta sempre più abbracciando il modello di open innovation, l’innovazione aperta all’esterno. Partendo dall’innovazione interna: in Amadori per ogni funzione c’è un dipendente incaricato di diffondere il verbo innovativo all’interno dell’intera comunità. Questo e altro nell’intervista rilasciata da Giovannetti a EconomyUp.

Perché Amadori ha deciso di partecipare al partecipare al percorso del FoodTech Accelerator? 

Perché è un programma che si inserisce in un contesto di open innovation, per così dire,  “arricchito”: con gli altri corporate partner, Finiper che opera nella grande distribuzione, e Cereal Docks, attiva nella trasformazione agro-alimentare, abbiamo ricostruito una sorta di filiera e stiamo cercando soluzioni e prodotti innovativi.

L’open innovation fatta con i partner

Perché avete deciso di farlo insieme?

Perché l’Italia soffre di nanismo delle imprese, mentre per far crescere o trovare valore in una startup serve una ‘carrozzeria’ ben solida, perciò è meglio presentarsi con una situazione end to end. Per esempio, essendo tre corporate attive in tre diversi ambiti, è possibile portare direttamente una startup sul punto vendita, perché a bordo c’è chi ha lo spazio vendita. Oppure, se la giovane società innovativa è al lavoro su nuove proteine o nuovi ingredienti in grado di rimodulare alcune ricette di base, servono i laboratori per i test. Dato che non stiamo parlando di digitale puro, nel nostro caso mettere a disposizione asset aiuta tutti: sia le startup sia le corporate. È un’open innovation nell’open innovation, una sorta di open innovation al quadrato. Spero che segni un momento di discontinuità importante rispetto a tutti i programmi di accelerazione che ci sono in giro, che testimoniano come stia nascendo l’attenzione sulla ricerca del valore, ma tendono a essere uno fotocopia dell’altro.

Riuscite a mettervi d’accordo sulle startup da portare a bordo?

Il percorso è stato fatto insieme. È evidente che non vediamo tutte le startup selezionate per il FoodTech Accelerator con lo stesso interesse. Ma ci aiuta la policy concordata, in base alla quale almeno due delle tre corporate devono contribuire al prototipo di una delle startup prescelte.

L’innovazione negli ingredienti, nei piatti pronti e contro gli sprechi

Che cosa cerca Amadori nelle startup?

Nello specifico ci interessa il tema della ingredientistica di base (un esempio Planetarians), sia in una logica di sostenibilità a 360 gradi (ambientale ed energetica), sia – e non dobbiamo vergognarci di dirlo – in una logica di riduzione dei costi. D’altra parte non è rimandabile la tematica del cibo che diventa spazzatura. Negli Usa ci sono moltiplicatori molto più grandi che in Europa, ma anche qui non possiamo fare finta di niente. Tra le 7 startup selezionate per l’accelerazione c’è una realtà israeliana, Wasteless, che ci interessa molto: utilizza un algoritmo proprietario di machine learning per cercare di ottimizzare il prezzo dei prodotti in funzione della data di scadenza e di quanto a lungo rimarranno sugli scaffali grazie al monitoraggio in tempo reale della merce venduta. Creeremo un progetto pilota in-store, cioè proveremo sul punto vendita (con Finiper ovviamente) la soluzione di Wasteless. Personalmente la trovo un’idea estremamente eccitante. Dallo scorso anno abbiamo iniziato a presidiare la tematica dei piatti pronti, con una nuova gamma che si sta sviluppando. In questo senso è rilevante la presenza tra le startup accelerate dell’italiana FeatFood, che produce, vende e distribuisce cibi salutari e bilanciati soprattutto per una dieta a sostegno di una vita sportiva. Soluzioni gastronomiche come queste si rivolgono a nuovi cluster di consumatori, molto verticali.

L’Innovation Governance di Amadori

Da quanto tempo Amadori si occupa di innovazione e come è strutturata l’innovazione in azienda?

Abbiamo costituito un paio di anni fa una funzione centrale, corporate, di Innovation Governance. Quindi non figure tecniche ma piuttosto manageriali che, utilizzano soprattutto le leve delle soft skills, ovvero ruotano intorno ai concetti di cultura e di persone. Vado molto orgoglioso del fatto che stiamo riuscendo a coinvolgere tutte le funzioni aziendali attraverso la costituzione di una innovation community, lanciata nella seconda parte del 2018, che ha individuato un rappresentante dell’innovazione all’interno di ogni funzione. Così abbiamo costituito un team molto dinamico e molto virtuale che, con l’inizio di quest’anno, arriverà a una quindicina di persone. L’obiettivo fondamentale è, da un lato, fertilizzare e spingere l’innovazione in azienda, dall’altro lato farsi carico e prendersi cura dei progetti in corso. Perché l’Innovazione è in parte creatività e in parte disciplina.

Avete già lavorato con le startup?

Ci sono in corso d’opera iniziative che riguardano piloti, in questo momento soprattutto in ambito IT e Digital. È la prima frontiera, con progetti che hanno a che fare con il ‘back end’ del business.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 3