L'ANALISI

La self-driving car: un sogno che vedremo presto realizzato o un miraggio?

Sulla self-driving car sono state fatte promesse molto ottimistiche. Perché il sogno non si trasformi in un miraggio è indispensabile che cresca il numero di sperimentazioni di successo, per mantenere elevato l’interesse a investire in imprese ancora a “ricavi zero”. Ecco quali sono le principali nel mondo

Pubblicato il 29 Giu 2021

auto a guida autonoma

L’auto non è più la stessa. Parte da questo assunto l’analisi scritta per EconomyUp da Umberto Bertelè sulla trasformazione dell’industria automotive “mangiata” dal software. Professore Emerito di Strategia del Politecnico di Milano e autore del libro Strategia, Bertelè nella prima parte  l’analisi ha affrontato il passaggio all’auto elettrica, che non comporta solo il cambiamento del tipo di motore ma è l’occasione per ripensare integralmente l’auto; nella seconda parte ha invece approfondito il confronto fra i carmaker tradizionali e le startup elettriche, a partire da Tesla ma non solo. In questa terza e ultima parte il professore Bertelé si sofferma sull’auto a guida autonoma, la self-driving car: sogno o miraggio?

“Silicon Valley is resetting expectations for self-driving cars and settling in for years of more work” (The New York Times, 24 maggio). “Self-Driving Cars Could Be Decades Away, No Matter What Elon Musk Said. Experts aren’t sure when, if ever, we’ll have truly autonomous vehicles that can drive anywhere without help. First, AI will need to get a lot smarter” (The Wall Street Journal, 5 giugno). E all’inizio del 2021 John Krafcik, CEO di Waymo dal 2015 (carica abbandonata poi in aprile), aveva espresso le sue frustrazioni in una intervista al Financial TimesIt’s a bigger challenge than launching a rocket and putting it in orbit around the Earth … because it has to be done safely over and over and over again,” dopo che nel 2018 aveva promesso che nel giro di pochi anni sarebbero state pronte 20mila Jaguar per il servizio di robotaxi gestito dalla Waymo stessa, con la potenzialità di servire un milione di clienti al giorno.

Una promessa molto ottimistica, concretizzatasi nel 2020 solo in una area circoscritta della città di Phoenix (Arizona), ma condivisa da altre voci autorevoli:

  • Bain, storica società di consulenza strategica, che in un suo rapporto sempre del 2018 confermava che l’arrivo del robotaxi “era dietro l’angolo” e prevedeva per il 2030 una quota delle self-driving pari al 30 per cento delle auto vendute;
  • Elon Musk, che primo fra i costruttori aveva promesso che Tesla – con il suo modello di auto e di business completamente rivoluzionario e la sua capacità di raccogliere una mole enorme di dati sui comportamenti dei guidatori – avrebbe realizzato una self-driving car comunque entro il 2020. Data che è stato ovviamente costretto a rimandare, sia per le difficoltà nella messa a punto sia per l’enorme eco mediatica dei (peraltro pochi) incidenti causati dai sistemi di guida autonoma delle sue auto.

Self-driving car, la percezione della sicurezza il primo grande ostacolo

La sicurezza, ma forse ancor più la percezione di sicurezza da parte dell’opinione pubblica, rappresenta il grande ostacolo alla realizzazione di un sogno – quello della self-driving car nella sua versione estrema (in gergo di livello 5) senza volante e senza pedali e senza possibilità di interferenza o correzione da parte umana (se non da remoto) – che ha una valenza non solo per gli usi privati, ma soprattutto (da un punto di vista economico e sociale) per la possibilità di

  • costruire flotte di robotaxi di livello 5 (come detto senza personale di controllo a bordo), in un’ottica di sharing economy, in grado di rivoluzionare la mobilità urbana e con essa il disegno stesso delle città,
  • riorganizzare, con significativi vantaggi economici (anche se a breve con sensibili ricadute occupazionali), i trasporti di merci sulle lunghe distanze.

Perché il sogno non si trasformi in un miraggio è indispensabile che cresca il numero di sperimentazioni di successo, non solo per ragioni tecniche, ma per mantenere elevato l’interesse a investire in imprese che al momento continuano a operare a “ricavi zero” e, soprattutto, per rassicurare l’opinione pubblica. E qualcosa si sta muovendo, sul piano delle autorizzazioni.

Self-driving car, le autorizzazioni dalla Germania alla California

La Germania ha approvato a fine maggio, a un passo dallo scadere della legislatura, una legge che autorizza in linea di principio (in attesa della regolamentazione di dettaglio) lo sviluppo di flotte di robotaxi, con un controllo però da remoto per fronteggiare situazioni particolarmente critiche.

La California – che già tre anni fa aveva concesso a oltre 50 imprese (statunitensi e cinesi primariamente) di effettuare test con guidatore a bordo sul proprio territorio – ai primi di giugno ha autorizzato Cruise, che ha GM come primo azionista, ad avviare sperimentalmente in tutto lo Stato un’attività di trasporto passeggeri su veicoli driverless: un unicum per l’estensione dell’area coperta e perché le altre molteplici sperimentazioni in atto richiedono (con l’eccezione del caso Waymo a Phoenix) la presenza di un guidatore a bordo. E a fine gennaio di quest’anno era stata la startup cinese AutoX (Alibaba e Dongfeng Motor i principali investitori) a ottenere l’autorizzazione ad avviare un servizio di robotaxi aperto al largo pubblico, senza guidatori a bordo, a Shenzhen: dopo una esperienza simile, ma con guidatori di sicurezza, a Shanghai.

La mappa delle imprese del self-driving

Tracciare una mappa delle imprese presenti in qualche forma nell’ambito del self driving è un compito arduo, per la molteplicità di intrecci esistenti fra

  • startup innovative – molte delle quali facenti capo o partecipate da grandi gruppi – che offrono sistemi di guida autonoma e/o con ambizioni di gestire in proprio flotte di robotaxi
  • «big tech» – quali Alphabet-Google, Amazon, Microsoft, Nvidia e Intel negli US e quali Baidu, Huawei e Xiaomi in Cina – che posseggono o sono principali azionisti di startup innovative o ne detengono quote di minoranza e/o offrono (o si propongono di offrire) direttamente sistemi di guida autonoma
  • imprese «native elettriche» – Tesla in primo luogo – che sviluppano sistemi di self-driving al loro interno, utilizzando i dati che raccolgono dalle proprie auto in circolazione
  • imprese operanti nel «ride-hailing» – come Uber, Lyft, Didi Chuxing o Grab – pronte a convertire le loro flotte di taxi in robotaxi,
  • imprese automobilistiche «tradizionali» interessante a dotare di una strumentazione (hardware e software) di self-driving i propri modelli o anche (come forse Volkswagen) a creare una propria flotta di robotaxi,
  • grandi componentisti «tradizionali» – quali Bridgestone o Magna – che (come le imprese automobilistiche «tradizionali») entrano nelle startup innovative come azionisti, anche per promuovere operazioni in partnership.

Self-driving car, 15 imprese da conoscere

Qualche nome?

Waymo

Google innanzitutto, che ha avuto un ruolo pionieristico fondamentale (molte delle startup attive in questo ambito sono nate da fuorusciti dal suo progetto di ricerca) e Waymo (“a new way forward in mobility” l’origine del nome), la società da essa scorporata nel 2016 per essere posta sotto il controllo diretto di Alphabet (la holding del gruppo).
Waymo è la startup (probabilmente) tuttora all’avanguardia, con una valutazione superiore ai 30 miliardi di dollari in occasione dei 3,2 miliardi raccolti per il suo finanziamento da una serie di investitori fra cui Silver Lake, Andreessen Horowitz e il sopra citato gruppo Magna.
A fianco del suo servizio di driverless ride-hailing su scala ridotta a Phoenix, Waymo ha perseguito una strategia di accordi con le grandi case automobilistiche – quali Volvo, FCA (ora confluita in Stellantis) e Daimler – volta a inserire nei loro veicoli il suo sistema di guida autonoma “the Driver.” Del progetto Titan, portato avanti in parallelo segretamente da Apple, con un impegno (si ritiene) molto rilevante sia in termini di ricercatori che di risorse finanziarie, non è invece sinora – come detto – emerso nulla.

Cruise

Microsoft all’inizio del 2021 ha acquisito una quota in Cruise (di cui ho parlato in precedenza), valutata oltre 30 miliardi di dollari in occasione dell’ultimo round di finanziamenti, che ha GM come principale azionista, affiancato da soci quali il Softbank Vision Fund, Honda e Walmart.

Zoox

Amazon a sua volta ha acquisito a metà del 2020 Zoox, per costruire (non esistono ancora indicazioni ufficiali) una flotta di robotaxi e/o di self-driving delivery vehicles, ed è presente con quote minori nell’azionariato sia di Rivian sia di Aurora.

Aurora

Aurora – prossima a quanto sembra alla quotazione (con un valore si dice dell’ordine di 12 miliardi) attraverso la fusione con una SPAC – ha assorbito il ramo di impresa di Uber, a fronte di uno scambio azionario che (sommato a una addizionale immissione di capitale) ha portato al 26 per cento la quota di Uber in Aurora e di un impegno formale di Uber stessa di servirsi di Aurora come fornitore per la costruzione (quando ci saranno le condizioni) della sua agognata flotta di robotaxi.

Argo AI 

Ford e Volkswagen insieme hanno la maggioranza in Argo AI, e il sistema di guida autonoma di Argo AI potrebbe essere utilizzato per la flotta di robotaxi che Volkswagen intenderebbe mettere in campo nel 2025 per approfittare della nuova legislazione tedesca in questo ambito.

TuSimple

Ma Volkswagen, un po’ come tutte le altri grandi case automobilistiche, “tiene i piedi in più scarpe”: recentissimo l’accordo sottoscritto dalla sua divisione Traton con TuSimple (11,8 miliardi di $ di market cap), una startup partecipata anche da Nvidia, per la messa a punto in comune di self-driving trucks.
Un settore molto promettente quest’ultimo – cui fanno capo anche Kodiak Robotics, Embark Trucks e PlusAI – in particolare quando i mezzi di trasporto sono destinati a viaggiare su un numero limitato e predefinito di percorsi (soprattutto autostrade e strade di grande scorrimento) ed evitano quindi la complessità che il passaggio per i centri urbani comporta per i sistemi di guida.

Kodiak Robotics

Kodiak (4,3 miliardi di $ di market cap) ha recentemente stretto una alleanza strategica – legata alla gestione di grandi flotte – con la giapponese Bridgestone (entrata anche nel suo azionariato), seconda impresa al mondo nella produzione dei pneumatici.

Embark Trucks

Valutata 5,2 miliardi di $ in occasione della recentissima fusione con una SPAC per quotarsi in Borsa, Embark Trucks – che ha già diverse partnership con società di trasporto e grandi flotte aziendali – intende commercializzare la sua tecnologia e puntare in prospettiva al livello 5.

PlusAI

È stata valutata 1 miliardo di dollari in occasione dell’ultimo round di finanziamenti.

Nuro

Ike Robotics . anch’essa operante nei self-driving trucks, è stata acquisita alla fine del 2020 da Nuro, un’impresa statunitense valutata 5 miliardi di $ in occasione dell’ultimo round di finanziamenti (con SoftBank fra i principali investitori), specializzata nella messa a punto di self-driving delivery vehicles, destinati alla consegna di merci invece che al trasporto di persone.

Pony.ai

Mentre tutte le imprese citate sinora sono statunitensi, anche se con una grande attenzione al mercato cinese, Pony.ai ha fatto la scelta di co-localizzarsi nei due Paesi (Silicon Valley, Beijing e Guangzhou le sedi) e vuole quotarsi a New York. Fondata 5 anni fa da due ingegneri provenienti rispettivamente da Google e Baidu e valutata 5,3 miliardi di $ in occasione dell’ultimo round di finanziamenti, ha Toyota come principale investitore e intende lanciare nel 2022 un servizio di robotaxi.

AutoX

Con Alibaba e Dongfeng Motor suoi principali investitori, la startup cinese AutoX ha ottenuto come detto a fine gennaio di quest’anno l’autorizzazione ad avviare un servizio di robotaxi aperto al largo pubblico di livello 5, senza cioè guidatori a bordo, a Shenzhen. Ha sottoscritto ad aprile un importante accordo di collaborazione con Honda.

WeRide

Cinese, valutata 3,3 miliardi di dollari in sede di finanziamento, ha l’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi fra i principali investitori e ha confermato di recente il rapporto molto stretto con Nissan per la crescita sul mercato cinese. La sua tecnologia di livello 4 è montata sui veicoli elettrici – prodotti dalla joint-venture Dongfeng-Nissan – che forniscono da 18 mesi un servizio di robotaxi a Guangzhou.

Momenta

Fondata cinque anni fa, cinese e anch’essa operante a livello 4, ha raccolto sinora oltre 700 milioni di $ di finanziamenti, con SAIC Motor (primo gruppo automobilistico cinese che ha equipaggiato con la sua tecnologia un nuovo veicolo elettrico di fascia alta), Toyota e Bosch fra gli investitori.

Uisee Technology

Cinese, opera in un ambito molto specifico: quello dei veicoli di livello 4 utilizzati, in ambienti circoscritti (aeroporti, porti, fabbriche ..), per applicazioni logistiche. Ha collaborato con l’aeroporto di Hong Kong, per la messa a punto di trattori elettrici per la movimentazione dei bagagli dei passeggeri, e con la joint-venture SAIC-GM, per la costruzione di una flotta di veicoli autonomi da utilizzare all’interno dell’area di un grosso impianto produttivo.

Una considerazione finale. Se e quando il livello 5 prenderà piede per il trasporto di passeggeri, i veicoli che verranno utilizzati – che non avranno più bisogno del volante e dei pedali – non assomiglieranno più alle auto attuali, ma saranno completamente ripensati per garantire la massima sicurezza, comodità e agibilità. Un “salto” simile a quello che progressivamente si fece, passando dalla carrozza dotata di motore di Benz alla Ford costruita su scala industriale di vent’anni dopo.

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Umberto Bertelè
Umberto Bertelè

Professore emerito al Politecnico di Milano, è autore di "Strategia" (edizioni Egea), libro disponibile nella seconda edizione, focalizzata sulla trasformazione digitale.

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