Startupper, in Italia manca la voglia di sognare (e qualcos’altro)

«Gli aspiranti imprenditori italiani hanno poca ambizione. Giocano al ribasso. Per dirla con Steve Jobs, non sono folli»: è il ritratto delineato da Simona Torre, braccio destro di Mauro Del Rio in b-ventures. Che aggiunge: «Dotati di buone nozioni tecniche, mancano di competenze in fatto di comunicazione e di finanza»

Pubblicato il 26 Ott 2015

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Simona Torre

Hanno poca ambizione. Giocano al ribasso. Per dirla con Steve Jobs, non sono folli”. È questo il ritratto dello startupper italiano che dà Simona Torre, dirigente di b-ventures, l’incubatore del gruppo Buongiorno, fondato a Milano nel 2013 insieme a Mauro del Rio. “Hanno belle idee, progetti interessanti, capacità tecniche ma non ho mai incontrato, in due anni, ragazzi che si sono presentati dicendo ‘con questa startup farò una exit che resterà nella storia’ oppure ‘faccio un’impresa da quotare in Borsa’. Ci credono poco. Non sognano in grande”.

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Insomma, i nostri aspiranti imprenditori preferiscono volare basso e restare con i piedi per terra. “Forse un po’ troppo” dice Simona Torre. Perché per lei è davvero strano confrontarsi con la nuova generazione di startupper. “Quando Mauro Del Rio voleva fondare Buongiorno, aveva ricevuto qualche mail e inviato sì e no tre newsletter in tutta la sua vita. Eppure era così convinto di quello che voleva fare che ha detto fin da subito ‘Diventeremo dei giganti e ci quoteremo in Borsa’. Non ho più visto questa determinazione in nessuno degli startupper incontrati”.

E di startupper ne sono passati in due anni in b-ventures (dal 2013 sono le startup incubate sono 12). Sfruttando gli oltre 15 anni di esperienza nell’ecosistema digitale di Buongiorno, multinazionale interamente controllata da NTT DOCOMO, l’incubatore seleziona progetti innovativi ai quali offre spazi in co-working nelle sedi italiane e straniere di Buongiorno, un programma di coaching intensivo e multidisciplinare, grazie a una rete internazionale di manager, e l’accesso al network di investitori e business angel. Il programma è rivolto a startup tecnologiche di tutti i settori, con un particolare interesse per l’ambito IoT, Payment and Financial Services, Digital Healthcare, Family Tech & Education, Consumer Commerce, Food Tech, ed è organizzato in tre momenti ben distinti: Incubation, Acceleration, Internationalization.

Quando selezioniamo le startup puntiamo soprattutto su due cose: il team e il progetto. Il primo deve essere intraprendente e con un’ambizione spiccata all’impresa. Se è vero che molti ragazzi che vogliono fare impresa hanno una buona preparazione tecnica (sono molto spesso ingegneri) è anche vero che molti startupper mancano di competenze in fatto di comunicazione (una delle startup incubate da b-ventures è Martha’s Cottage: EconomyUp ha intervistato il founder e durante l’intervista è emersa la difficoltà di comunicare bene l’impresa, ndr) e di finanza. Molti di loro non sanno come comunicare la propria idea, né come fare un piano di business. Ecco perché i ragazzi vanno accompagnati e formati. Per quanto riguarda il progetto, puntiamo su quelli che possono trovare un mercato pronto ad accoglierli, generando ricavi e business” spiega la manager. Che puntualizza: “In Italia gli investimenti sulle startup sono pochi, siamo ancora troppo pochi coloro che rischiano e scommettono sulle neoimprese”. Ma, a quanto pare, i soldi non sono tutto. Serve anche un grosso lavoro sulle persone.

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