«Cos’è il crowdinvesting e perché arriverà a 120 milioni entro il 2016»
Giancarlo Giudici, direttore Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano, spiega cos’è questo “sottoinsieme” del crowdfunding che racchiude equity, lending e invoice trading. «Oggi vale 45 milioni, ma potrebbe triplicare. Però l’equity non può essere limitato alle startup e al lending servono incentivi fiscali»
di Luciana Maci
Pubblicato il 29 Ago 2016

Quali?
Partiamo dall’equity crowdfunding, la modalità di fundraising attraverso la quale gli investitori possono finanziare startup e pmi innovative in cambio di quote societarie. Nel 2015 ha raccolto nel mondo 2,56 miliardi di dollari, in gran parte destinati a startup. In Europa il mercato di riferimento è il Regno Unito, dove la principale piattaforma, CrowdCube, ha raccolto finora oltre 168 milioni di sterline. In Italia siamo a quota 5,565 milioni, con 19 portali autorizzati (la piattaforma leader è al momento StarsUp, con 16 progetti lanciati) a fronte di 48 campagne di raccolta, di cui 19 chiuse con successo, 17 chiuse senza successo, 12 in corso. Sono numeri ancora molto bassi ma, con la recente riforma del Regolamento Consob, l’equity crowdfunding ha cambiato marcia: oggi possono accedervi startup e PMI innovative, purché la campagna sia veicolata su piattaforme autorizzate. Diciamo che, dopo essere partito in prima, ha ingranato la seconda. Questo dovrebbe portare il mercato alla soglia di 9 milioni di euro entro l’anno. Ritengo che a questo punto i tempi siano maturi per un’estensione dell’equity crowdfunding ad altre categorie di imprese che non si qualificano come startup o pmi innovative. È inoltre auspicabile un’integrazione con il blockchain (la tecnologia blockchain, inizialmente utilizzata per la gestione della moneta virtuale Bitcoin, è un sistema peer-to-peer che consente lo scambio di valute, la loro tracciabilità e soprattutto di conoscere l’identità dei soggetti che effettuano le operazioni, ndr).
Anche il lending crowdfunding è destinato a crescere?
Le prospettive in Italia sono di una crescita sensibile, che però necessita di una riforma del regime di tassazione, oggi penalizzante, e dell’arrivo di nuovi investitori, anche istituzionali. Nel lending crowdfunding, o social lending che dir si voglia, gli investitori possono prestare denaro attraverso Internet a persone fisiche o imprese a fronte di un interesse e del rimborso del capitale. Nel mondo nel 2015 i portali di lending hanno raccolto oltre 25 miliardi di dollari, il leader di mercato è la statunitense Lending Club. Oggi in Italia esistono quattro piattaforme attive: Borsadelcredito.it per il settore business lending, Prestiamoci, Smartika, e Soisy per il settore consumer lending, più una in arrivo, Younited Credit. Il totale dei prestiti erogati è pari a 28,3 milioni euro, con una durata media dei finanziamenti fra i 30 e i 40 mesi e il tasso annuo nominale (Tan) di circa il 6%, più precisamente tra 5,7% e 7,7%. I numeri del lending crowdfunding italiano impallidiscono però di fronte a quelli del Regno Unito, dove solo nel 2015 sono stati raccolti capitali per 1,49 miliardi di sterline. Eppure è la modalità di crowdinvesting dalla quale i piccoli risparmiatori possono trarre maggiori vantaggi.
Perché da noi non è ancora decollato?
A mio parere può decollare se smetterà di essere penalizzato fiscalmente: chi investe in equity gode di detrazioni fiscali, invece gli interessi riscossi attraverso il lending devono essere riportati nella dichiarazione dei redditi e vengono tassati con l’aliquota marginale del prestatore. È auspicabile una rapida correzione. Così come è auspicabile il contributo degli investitori istituzionali, che per esempio in UK sono responsabili del 25% delle risorse erogate. L’obiettivo del lending crowdfunding italiano per il 2016 è raggiungere 80 milioni di raccolta.
Qual è il contributo dell’invoice trading?
Per l’invoice trading esiste in Italia un’unica piattaforma attiva, Workinvoice.it, più due in arrivo, Instapartners e Cashme. Il mercato è ancora in fase embrionale. L’invoice trading, lo ricordo, consiste nella cessione di una fattura commerciale attraverso un portale Internet che seleziona le opportunità e sostituisce il tradizionale ‘sconto’ della fattura attuato dalle banche. La cessione viene attuata o tramite un’asta competitiva o tramite il tranching in tante porzioni. Gli investitori quindi anticipano l’importo della fattura, al netto della remunerazione richiesta. Al momento le imprese che hanno approfittato di questa opportunità sono solo 40, con 220 fatture cedute per un importo totale di 11 milioni di euro, a fronte di 20 investitori (qui l’importo medio di investimento è abbastanza elevato). Siamo però ben lontani dai numeri del Regno Unito, ad esempio, che ha movimentato 325 milioni di sterline solo nel 2015. Anche in questo caso, però, ci sono interessanti prospettive per il futuro. Va da sé che la soluzione, almeno parziale, al problema del finanziamento del capitale circolante per le pmi italiane sarebbe portare finalmente i tempi medi di pagamento delle fatture a valori competitivi rispetto agli altri Paesi europei. Noi comunque stimiamo che, entro l’anno, l’invoice trading raggiunga 80 milioni di euro di raccolta.
(Articolo aggiornato al 26/08/2016)