IL REPORT

Retail e sostenibilità: Italia ancora indietro, tiene il passo solo l’abbigliamento

Un report di Bain & Company Italia dà i voti al retail in base alle scelte di sostenibilità e responsabilità sociale: devono fare di più GDO e ristorazione, mentre il settore dell’abbigliamento è sulla buona strada. Ma tutti dovrebbero ispirarsi alle realtà internazionali più avanti di noi

Pubblicato il 14 Dic 2023

Retail e sostenibilità

Il settore del retail in Italia sta ancora facendo i primi passi per quanto riguarda la sostenibilità e la responsabilità sociale (ESG). Emerge una certa difficoltà nel tenere traccia di alcuni aspetti importanti e c’è una carenza di piani concreti per il futuro, specialmente quelli che puntano a ridurre le emissioni di carbonio seguendo criteri scientifici. In confronto ai marchi internazionali e alle pratiche più avanzate nel mondo del retail, i venditori al dettaglio italiani sembrano indietro e non ancora pronti per le nuove regole europee che arriveranno l’anno prossimo. Ma il divario va colmato.

Sono le principali evidenze emerse dalla prima edizione del Retail ESG Pulse Check di Bain & Company Italia, che analizza il livello di maturità ESG del settore retail in Italia, attraverso l’approfondimento di tutti i report di sostenibilità dei principali operatori del settore.

Retail: diversi operatori non hanno ancora pubblicato un bilancio di sostenibilità

“Dalla mappatura – spiega Andrea Petronio, Senior Partner e Responsabile della pratice Retail di Bain & Company in Italia – emerge che parecchi operatori in più settori non hanno ancora pubblicato un primo bilancio di sostenibilità, anche in settori di dimensione rilevante  come l’elettronica, l’arredo, fino a settori dove registriamo l’assenza totale, come  i drugstore e il pet food. In questa prima edizione ci siamo quindi soffermati nel dettaglio sui tre settori, GD alimentare, abbigliamento e ristorazione, dove almeno il 75% delle aziende in analisi pubblica il bilancio. I player analizzati in questi 3 settori – prosegue – si possiamo considerare ad uno stadio di “avvio” rispetto alle aree tematiche ESG più rilevanti, con la grande distribuzione alimentare in media più indietro, con in generale evidenti lacune soprattutto in termini di obiettivi di medio-lungo termine. Rimane dunque necessario un deciso cambio di passo a livello di sistema sul percorso di transizione ESG nel nostro Paese”.

GDO e sostenibilità: manca la pianificazione a lungo termine

La GDO (grande distribuzione organizzata) sta comunque intervenendo bene su alcuni aspetti ambientali (energia rinnovabile e emissioni Scope 1 e 2), mentre risulta ancora carente sulla pianificazione a lungo termine delle vere sfide ambientali (principalmente su emissioni Scope 3, dove solo un player su 4 ha obiettivi di riduzione).  L’uguaglianza di genere rimane un tema caldo per il settore: se il 57% dell’organico è donna, solo il 23% è dirigente e il 4% siede in CDA, con un divario retributivo medio del 30%.

“La grande distribuzione alimentare italiana – spiega Matteo Capellini, Expert Associate Partner di Bain & Company – è ancora in fase embrionale sui temi di sostenibilità, soprattutto se confrontata con le best practice internazionali e le aziende di beni di largo consumo. Esiste ancora una concezione di sostenibilità molto legata alla responsabilità sociale e alla filantropia, mentre il vero tema da affrontare è la trasformazione dei modelli di business per ridurre le esternalità negative dirette ed indirette. Non abbiamo dubbi che nei prossimi anni vedremo una fortissima accelerazione, anche grazie alla spinta dalla CSRD, che contribuirà a definire i market leader di domani e sarà focalizzata soprattutto sul tema decarbonizzazione”.

Ristorazione e sostenibilità: spiccano solo i player internazionali

Il settore della Ristorazione in Italia ha un giro d’affari di 75 miliardi di euro ed è estremamente frammentato. Le catene organizzate, infatti, pesano solo per il 5% del valore totale di mercato ma sono tra i player più avanzati nella scala di maturità ESG.

Tuttavia, prosegue Capellini, “anche se il numero di iniziative in essere e l’ampiezza dei temi toccati è maggiore, rimane comunque un grande gap in termini di misurazione di impatto complessivo. Se poi guardiamo al confronto con i player internazionali, la ristorazione fatica su due temi: biodiversità e iniziative volte ad eliminare il divario retributivo tra uomini e donne”.

Abbigliamento retail: c’è attenzione alla sostenibilità, ma si può fare meglio

Il settore dell’abbigliamento, pur essendo per natura complesso e con un significativo impatto ambientale e sociale, mostra una buona attenzione rispetto alle tematiche ESG, con un’ottima copertura dei KPI all’interno dei bilanci di sostenibilità, anche guidato dalla maggior pressione sociale e mediatica che il settore affronta.

“Tuttavia”, conclude Petronio “in termini di decarbonizzazione, biodiversità e circolarità, l’industria è ancora molto indietro. I player internazionali mostrano un impegno maggiore e degli obiettivi più sfidanti, che i competitor italiani stentano ancora ad eguagliare. Il miglioramento dei retailer italiani da questo punto di vista è legato all’ispirazione che trarranno dalle «best practice» dei loro concorrenti internazionali, con la sfida di rendere la sostenibilità e la diminuzione delle esternalità negative un elemento intrinseco al concetto di qualità del prodotto”.

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Redazione EconomyUp
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