CITTÀ DEL FUTURO

Coronavirus, la “spinta” dall’inquinamento: ecco cosa ci insegna sulle smart city

Le alte concentrazioni di polveri registrate a febbraio in pianura padana avrebbero causato un’accelerazione della diffusione del coronavirus. Le smart city sono ancora tutte da creare. Come dovrà essere una città post-Covid19? Ecco alcuni ambiti di intervento prioritari, dai trasporti agli impianti di areazione

Pubblicato il 19 Mar 2020

Il coronavirus ha ridotto le emissioni inquinanti nelle città del Nord Italia

Dalla pandemia di coronavirus riusciremo a trarre insegnamenti utili per ripensare le smart city, ovvero le città del futuro?

Covid-19: le polveri sottili hanno causato un “boost”?

Le alte concentrazioni di polveri registrate a febbraio nelle città della pianura padana avrebbero causato un’accelerazione della diffusione del coronavirus, sostiene la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) con le Università di Bologna e di Bari. I ricercatori hanno analizzato e incrociato i dati provenienti dalle centraline di rilevamento Arpa (Agenzie regionali per la protezione ambientale) con i numeri del contagio da Covid19 riportati dalla Protezione Civile, aggiornati al 3 marzo 2020.

È stata evidenziata una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e PM2,5 e il numero di casi infetti da Covid-19.

Attenzione: si parla di circolazione del virus, non di mortalità. Inoltre la ricerca è un cosiddetto “position paper”, ovvero uno studio molto preliminare, pubblicato per offrire una suggestione alla comunità scientifica che si incaricherà poi di verificarla. Tuttavia è noto che alcuni virus che si trasmettono per via aerea usano le polveri sottili come vettori, o “carrier”, per diffondersi nell’ambiente. Già durante l’epidemia di SARS del 2002-2003 ricercatori cinesi ed americani sostennero che alti livelli d’inquinamento dell’aria avevano avuto un certo grado di associazione con un peggioramento del quadro clinico dei pazienti affetti da SARS .

Covid-19: l’inquinamento è diminuito

D’altra parte le misure di contenimento del contagio, sia in Cina sia in Italia, hanno provocato una sensibile riduzione dell’inquinamento ambientale.

Immagini satellitari della Nasa hanno mostrato un’impressionante diminuzione dell’inquinamento nelle città cinesi, dovuta “almeno in parte” al rallentamento dell’economia causato dal diffondersi del coronavirus. Il diossido di azoto (NO2), spiegano gli scienziati, è infatti prodotto dai veicoli a motore e dalle industrie, e la sua riduzione è diventata evidente in concomitanza con le restrizioni imposte dopo l’inizio dell’epidemia e la quarantena di milioni di persone. Inizialmente il fenomeno era visibile solo nella zona di Wuhan, epicentro dell’epidemia, ma poi si è esteso a tutto il Paese.

La Cina prima e dopo il coronavirus
Stesso fenomeno in Europa. Le osservazioni satellitari realizzate nelle ultime settimane da Copernicus, iniziativa dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per monitorare l’atmosfera, mostrano che, da gennaio all’11 marzo, le emissioni di diossido di azoto, uno dei principali gas inquinanti che favorisce asma e altri problemi polmonari, sono molto diminuite in Europa. In particolar modo nel Nord Italia, una delle aree più inquinate del continente, dove da metà febbraio la concentrazione di NO2 è scesa del 10%.

Coronavirus: nitrogen dioxide emissions drop over Italy

Coronavirus: nitrogen dioxide emissions drop over Italy

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Coronavirus: le grandi città cinesi e la conurbazione selvaggia

Lo stato di salute del nostro ambiente è al centro di un altro interrogativo emerso in queste settimane di pandemia. È probabile che il virus provenga dai pipistrelli e sia arrivato all’uomo attraverso un altro animale non ancora identificato (il pangolino?). Come è stato possibile? Lo sviluppo economico tumultuoso e senza regole che ha avuto la Cina negli ultimi decenni ha causato conurbazioni selvagge (quel processo di formazione di una città per collegamento di centri urbani minori attorno ad un nucleo maggiore che funge da polo) e ha accorciato letteralmente le distanze tra fauna selvatica (portatrice di numerose malattie) ed esseri umani.

“Covid-19 – ha spiegato la virologa Ilaria Capua – è figlio del traffico aereo ma non solo: le megalopoli che invadono territori e devastano ecosistemi creando situazioni di grande disequilibrio nel rapporto uomo-animale”.

Disequilibrio che salta agli occhi in una città come Wuhan: una metropoli di 11 milioni di abitanti dove hanno sede 90.000 aziende, molte nel settore dell’optometria, 42 università e 56 centri di ricerca e di alta tecnologia. Ma anche il luogo dei famigerati wet market, mercati della carne e del pesce dove si macellano e si vendono animali esotici spesso senza le necessarie precauzioni igieniche.

Covid-19 e deforestazione

“Devastando le foreste nascono le pandemie. Così gli animali con i virus invadono le città” ha scritto il geologo Mario Tozzi in un articolo pubblicato su La Stampa. Questo il suo ragionamento: il virus, come abbiamo visto, ha fatto il salto di specie passando dall’animale all’uomo attraverso un ospite animale intermedio. Secondo Tozzi la causa principale è la deforestazione che riduce l’habitat naturale delle specie “ospiti” (per esempio il pipistrello). A questa segue lo sterminio dei predatori, che causa una crescita incontrollata delle specie “serbatoio” (per esempio il pangolino), le quali a loro volta sono oggetti di traffici illegali e finiscono per introdursi all’interno dell’habitat umano.

Coronavirus e riscaldamento globale. C’è collegamento?

Qualcuno si è spinto ad additare il riscaldamento globale tra le concause scatenanti del coronavirus. Non è una tesi condivisa da tutti: il surriscaldamento, scrive l’esperto Stefano Caserini, non dipende delle emissioni di gas serra in un singolo anno, ma dalle concentrazioni di gas serra presenti nell’atmosfera. In altre parole, le minori emissioni legate al coronavirus avranno “un effetto del tutto trascurabile sulle temperature di quest’anno o dei prossimi anni”. Tuttavia, sottolinea, se sarà confermata la riduzione globale delle emissioni di CO2 causata dell’emergenza coronavirus, una volta superata la crisi bisognerà comunque fare il possibile per evitare il “rimbalzo” delle emissioni.

Insomma, il coronavirus sta cambiando l’ambiente che ci circonda, seppure molto gradualmente. E intanto ci racconta di come sono diventate le nostre città: inquinate, squilibrate, surriscaldate.

Le smart city dove sono finite?

Smart city
Partiamo dal concetto di smart city. In questi anni se ne è discusso a lungo, a volte a sproposito. Alcuni l’hanno descritta come una città avveniristica alimentata dalle nuove tecnologie. Non è questo, o almeno non è solo questo. Una città veramente smart sa gestire le risorse in modo intelligente, mira a diventare economicamente sostenibile ed energeticamente autosufficiente, ed è attenta alla qualità della vita e ai bisogni dei propri cittadini.

La smart city è dunque, implicitamente, un luogo dove le emissioni inquinanti sono tenute sotto controllo e dove la crescita economica è in armonia con lo sviluppo del tessuto urbano.

Invece nelle nostre città, anche in quelle più smart (soprattutto in quelle?), ci ammaliamo, e non solo di coronavirus.

Secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ogni anno nel mondo muoiono circa 8 milioni di persone per cause attribuibili all’inquinamento atmosferico, sia in locali chiusi (4,3 milioni), sia all’aperto (3,7 milioni). Si tratta dello 0,1% della popolazione mondiale che sconta, soprattutto nei Paesi a basso o medio reddito, l’utilizzo di combustibili come legna, carbone e residui organici in apparecchi privi di sistema di abbattimento delle emissioni. L’Agenzia europea per l’ambiente stima che in Italia le morti premature da esposizione a lungo termine a polveri sottili (Pm10 e Pm2.5), biossido di azoto (No2) e ozono (O3) superino quota 80.000.

Come deve essere una smart city post-coronavirus?

È qui che entrano in gioco tutti gli attori che in questi anni stanno portando avanti il concetto di smart city e smart mobility, cioè la mobilità flessibile, integrata, sicura, on demand e conveniente.

Quali sono le aree sulle quali lavorare per realizzare davvero una città “intelligente” e quindi più sostenibile? La parola andrà data agli esperti e agli addetti ai lavori. Intanto si possono cercare di focalizzare alcuni ambiti di intervento nei quali la tecnologia e l’innovazione possono portare il loro contributo.

Mezzi di trasporto

Occorre favorire e promuovere i mezzi meno inquinanti, dunque le automobili ibride, ma soprattutto le auto elettriche; incentivare il trasporto pubblico (possibilmente elettrico o comunque poco inquinante); promuovere modalità alternative di trasporto quali il car sharing, il bike sharing, la micromobilità, il car pooling.

Riscaldamento residenziale

Da un recente studio è emerso che, contrariamente a quanto di solito si ritiene, il contributo del riscaldamento residenziale all’inquinamento atmosferico nelle nostre città si avvicina o addirittura supera quello del settore dei trasporti. In un contesto di generale arretratezza del patrimonio edilizio – oltre il 56% degli edifici è in classe energetica G –  le emissioni di particolato dai camini delle nostre case raggiungono il 30%. Questo trend è in netta crescita. Le tecnologie per riscaldare inquinando meno ci sono, ma la loro adozione è rallentata sia da questioni “fisiologiche” – la vita media di una caldaia si aggira attorno ai 15 anni – sia dalla mancanza dei giusti incentivi per il rinnovamento degli impianti. Un case study interessante in questo campo è quello della startup Enerbrain, che fornisce a grandi edifici una soluzione per ottimizzare il consumo energetico.

Impianti di aerazione

“Sappiamo che questo è un virus che si trasmette per via aerea, coi cosiddetti droplet” ha detto la virologa Ilaria Capua in un’intervista a La7. “Sappiamo anche che virus simili a questi hanno causato problemi nei sistemi di aerazione negli alberghi. È possibile che, magari, negli ospedali che gestiscono questi focolai molto grandi abbiano degli impianti di aerazione a un livello tale da non garantire la sicurezza di persone, ad esempio, immunodepresse lì ricoverate?”. Per il momento la domanda non ha risposta certa. Ne scaturisce tuttavia, ancora una volta, una riflessione sulla necessità di mantenere sicure, efficienti e tecnologicamente avanzate le strutture che sono parte integrante e rilevante dell’ecosistema economico e sociale di una città.

“Il cambiamento sta arrivando”

La Cina è un discorso a parte: come sta evidenziando il coronavirus, il colosso economico – prima o seconda potenziale mondiale a seconda degli indicatori prescelti – non può continuare a inseguire una crescita economica tumultuosa, frenetica e che ignora le regole a scapito della tutela ambientale e delle persone.

“L’ecosistema sta collassando, siamo all’inizio di un’estinzione di massa, e tutto ciò di cui voi parlate sono soldi, favole e crescita economica” ha detto Greta Thunberg all’ Onu alcuni mesi fa, ancora nell’era pre-coronavirus. La giovanissima attivista ambientalista svedese, al Palazzo di vetro, ha ribadito: “Ci state deludendo, ma i giovani stanno iniziando a capire il vostro tradimento, gli occhi di tutte le generazioni future sono su di voi, e se sceglierete di fallire non vi perdoneremo mai. Il mondo si sta svegliando e il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”.

Se non siamo in grado di ascoltare Greta, almeno ascoltiamo quello che ha da dirci il coronavirus.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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