Trump e le multinazionali: un passo verso il “capitalismo parrocchiale”
L’Economist sostiene che il nuovo corso protezionista della Casa Bianca porterà al ridimensionamento delle compagnie globali. Del resto la globalizzazione della Cina ha un approccio altrettanto nazionalistico, avverte il Wall Street Journal. Una svolta per l’economia mondiale
di Umberto Bertelè
Pubblicato il 30 Gen 2017

È la mia traduzione libera di un articolo della storia di copertina dell’Economist, riportando una serie di statistiche (che meriterebbero una

“On Globalization, China and Trump Are Closer Than They Appear”, sosteneva a sua volta due giorni fa The Wall Street Journal, commentando la fede nella globalizzazione proclamata a Davos dal leader cinese Xi Jinping. “Una fede, la cinese, molto diversa da quella occidentale tradizionale che lega la globalizzazione al liberismo. La Cina subordina le forze di mercato e le relazioni commerciali ai sovrastanti interessi nazionali. E Trump sta dimostrando un approccio altrettanto nazionalistico alla visione del mondo”. E prosegue ricordando che il libero commercio è “politicamente più facile da vendere” quando si opera in condizioni di forza, che gli inglesi ne adottarono la filosofia solo nel XIX secolo e che gli statunitensi hanno mantenuto barriere protettive alte sino a dopo la II guerra mondiale, che la Cina sta cercando ora di recuperare la sua antica egemonia economica. Esprime dubbi sulla possibilità delle politiche protezionistiche di Trump di raggiungere i loro obiettivi, a fronte delle contromisure ritorsive che potrebbero danneggiare alcuni dei comparti forti dell’economia statunitense. Ma soprattutto chiude con la dichiarazione pessimistica che “il vero perdente è il resto del mondo” e che il messaggio proveniente da Davos non è che “la Cina è il nuovo guardiano di un’economia globale aperta”, ma piuttosto che “non ci sono più guardiani” a difesa dell’apertura dell’economia mondiale.