Open innovation

Startup e aziende, l’importanza di chiamarsi CIO

Chief Innovation Officer: una figura chiave nei grandi gruppi che hanno poca voglia di rischiare. E cercano fuori l’innovazione. Alla Digital Innovation Academy l’esperienza di Enel e Snam. La collaborazione con le nuove imprese è decisiva. Ma non sempre ci sono le risorse necessarie

Pubblicato il 25 Mag 2015

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Pierluigi Paracchi

All’interno del variegato mondo dell’ecosistema startup la domanda è ricorrente: qual è lo stato dei rapporti tra startup e imprese tradizionali? Con una variante: che ruolo e quali opportunità ci sono per le grandi aziende? In ogni caso c’è un corollario: esiste, o dovrebbe esistere, all’interno delle grandi aziende una figura che si relaziona in maniera costante con le startup? Ovviamente non c’è una risposta non è scontata e per questo le domande hanno animato a lungo la quinta edizione del workshop della Digital Innovation Academy dal titolo “Innovare attraverso le startup: quale il ruolo del CIO”, tenutosi lo scorso 20 maggio presso le aule del Politecnico di Milano.

È stata l’occasione per condividere esperienze personali tra investitori, fondatori di startup, docenti universitari e manager che ricoprono un ruolo strettamente connesso al mondo dell’high tech all’interno della loro azienda. «Quando decisi di entrare nel mondo delle startup tecnologiche, nel 2002, ricordo che una delle difficoltà più grandi fu convincere gli investitori a mettere i loro soldi nell’innovazione», ha raccontato Pierluigi Paracchi, una vita nel venture capital, ora cofondatore e amministratore delegato di Genenta Science. «Un meccanismo che sembra ripetersi ancora oggi, nel rapporto tra grandi aziende e startup. Spesso le multinazionali di turno faticano a prendersi dei rischi, e capita che preferiscano aspettare che sia una startup a farlo al posto loro. Se poi l’idea è vincente sono anche disposti a comprarla. Le startup al momento sono rischio puro, questo ne giustifica l’enorme tasso di mortalità». Per Paracchi il vero problema in Italia è tutt’ora la scarsità di risorse e investimenti: «Nel nostro Paese c’è una grossa difficoltà a far trasformare le buone idee in imprese di successo, e questo è dovuto principalmente alla mancanza di risorse investite. Se ci confrontiamo con gli Stati Uniti, un modello a cui senza dubbio facciamo riferimento, il rapporto con il nostro Paese in termini di investimenti è 1 a 240. Questo spiega molte cose».

Eppure sembra che il vento stia cambiando e, in qualche caso, le grandi imprese vedono nelle startup risorse su cui investire e con cui instaurare fin da subito un rapporto di collaborazione. «Quando mi hanno chiamato a ricoprire questo ruolo», racconta Ernesto Ciorra responsabile del settore Innovazione e Sostenibilità di Enel, «ho pensato subito che le startup innovative per noi potessero essere un valore aggiunto, a patto che collaborassimo insieme fin da subito senza perdite di tempo. Se vogliamo stare al passo con gli enormi cambiamenti che sta portando con sé l’innovazione dobbiamo cercare partner in grado di arrivare dove noi non riusciamo». Il riferimento in questo caso è all’accordo che Enel Green Power ha siglato qualche giorno fa con Tesla – la società di Elon Musk che produce auto elettriche – per un progetto legato all’installazione di batterie con potenza di 1,5 MW tra fotovoltaico ed eolico. «Non a caso – continua Ciorra – da qualche settimana abbiamo deciso di collaborare con SEP (Startup Europe Partnership), proprio perché vogliamo conoscere le startup migliori europee in ambito energetico. Ma vogliamo anche incontrarle periodicamente e fare un percorso strutturato insieme a loro».

Non è sempre facile costruire una relazione stabile con il mondo delle startup, specialmente quando le risorse sono scarse. Ma le soluzioni si possono trovare, sempre. «il processo di innovazione in Snam è stato un processo praticamente a costo zero», ha raccontato Gloria Gazzano responsabile ICT di Snam. «Ho cercato di realizzare meccanismo che fosse più che mai strutturato dal punto di vista organizzativo, e che fosse potenzialmente replicabile nella quotidianità. Abbiamo strutturato il processo in due filoni out-in – attraverso il monitoraggio di tutto ciò che succede fuori dall’azienda per ottenere spunti innovativi – e in-out – cioè attraverso meccanismi di stimolazione della creatività dall’interno».
Le parole di Gloria Gazzano danno bene l’idea dell’importanza ma anche delle fatiche di un CIO (Chief Innovation Officer) all’interno di una grande azienda. Il da fare non manca e gli spazi di potenziamento sono enormi. «Non abbiamo la possibilità di relazionarci con tutte le startup che vorremmo, anche perché non siamo abbastanza per poterlo fare», continua Gazzano. «È obbligatorio per noi fare scremature generali, magari sbagliando perché no, ma quando sposiamo un progetto decidiamo di farlo a pieno. Ad oggi, delle circa novanta presentazioni di progetti innovativi da parte di startup che abbiamo ricevuto in quest’ultimo periodo, ne abbiamo sviluppato uno e un altro è in fase di definizione».

Per approfondire il tema dell’open innovation, conoscerla e soprattutto capire come guidarla e trarne vantaggio, si può far riferimento all’iniziativa del Gruppo Digital360: una piattaforma che a 360° tocca tutti i temi dell’innovazione aperta

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