STARTUP INTELLIGENCE

Open Innovation: dallo storming al performing. Ma non bisogna fermarsi

Siamo passati dalla fase di storming, in cui gli Innovation Manager erravano disorientati, a quella di performing, in cui le imprese applicano con maturità l’Open Innovation. Se ne è parlato a Smau, se ne parlerà in modo approfondito il 30 novembre al convegno dell’Osservatorio Startup Thinking

Pubblicato il 20 Ott 2023

Photo by Kaleidico on Unsplash

L’open innovation in Italia è ormai prassi nelle grandi imprese italiane, ma serve spingere sull’innovazione come Paese. È questa la sintesi del messaggio portato dall’Osservatorio Startup Thinking all’apertura di Smau 2023.

Dalle ricerche dell’Osservatorio Startup Thinking emerge come l’adozione di approcci di Open Innovation sia cresciuta nell’ultimo quinquennio con costanza, anno su anno. Poco meno del 90% delle grandi imprese la adotta per sviluppare innovazione, principalmente collaborando con università o con startup. Questo nonostante gli ultimi cinque anni siano stati caratterizzati da particolari eventi di trasformazione e di incertezza: nonostante, o forse grazie a questo?

Open innovation e imprese: l'incontro a Smau

L’open innovation e i benefici per le imprese

Il contesto, macroeconomico e geopolitico, in cui le imprese operano è caratterizzato da sempre maggiori incertezza e complessità, per questa condizione è stato perfino coniato il termine permacrisis ad indicare lo stato di crisi permanente con cui dobbiamo confrontarci (e i recenti eventi in medio-oriente ci confermano questa situazione). E sono ormai alle porte sfide epocali come la transizione ecologica, le migrazioni dei popoli, l’invecchiamento della popolazione, per citarne alcune. Dai dati raccolti, che saranno illustrati e approfonditi il 30 novembre p.v. al Politecnico di Milano, si evince, da un lato, che l’Open Innovation si è dimostrato asset fondamentale anche per le imprese italiane, affermandosi approccio imprescindibile per garantire lo sviluppo efficace di innovazione in contesti in trasformazione. Le imprese mantengono infatti alta l’attenzione su questo approccio a prescindere dalle condizioni al contorno e, anzi, lo sfruttano come leva per combattere un contesto avverso. Dall’altro lato, possiamo dire che le imprese che lavorano in un’ottica di Open Innovation percepiscono benefici concreti che inducono a reiterare il comportamento nel tempo. Se pensiamo infatti che gli investimenti in Open Innovation, dichiarati dalle imprese nelle nostre ricerche, sono lo 0,1% del fatturato (briciole!), si tratta di investimenti alla portata di tutti e con grandi ritorni.

Dopo lo storming, il performing: le imprese applicano l’open innovation con maturità

Siamo quindi passati dalla fase di storming, in cui gli Innovation Manager erravano disorientati (vedi questo articolo), alla fase di performing, in cui le imprese applicano con maturità l’Open Innovation, ognuna scegliendo le pratiche che ritiene più idonee (dalla Corporate Entreprenuership al Venture Building), ottenendo e misurando risultati concreti con nuovi modelli di metriche per l’innovazione e per il Top Management.

Serve tuttavia che il Paese accompagni questo sforzo per l’innovazione da parte delle imprese, considerando che la Ricerca e Sviluppo in Italia non supera lo 1,5% del Pil, versus un obiettivo UE del 3%.

L’importanza di lavorare sulle competenze

La sfida principale è quella delle competenze. Il nostro ranking Desi (Digital Economic e Social Index) precipita esattamente sull’elemento del capitale cognitivo ed entro il 2025, secondo il World Economic Forum, il 50% della forza lavoro globale dovrà affrontare un reskilling. È necessaria un’azione profonda di arricchimento di contenuti lungo il ciclo scolastico nel suo complesso, una spinta ad attrarre il genere femminile verso le stem e strumenti diffusi di reskilling per le generazioni fuori dal ciclo formativo.

La seconda sfida è fare sistema. Innanzitutto coinvolgendo le PMI, che rappresentano la gran parte del nostro tessuto economico, con tante eccellenze anche a livello internazionale, ma che sul fronte dell’innovazione scontano mediamente un forte ritardo. Spesso la ragione è la mancata conoscenza dei potenziali benefici. È necessario che gli interlocutori di filiera, come le associazioni di categoria, gli enti locali e le istituzioni, si facciano carico di azioni anche di comunicazione e informazione per spingere la cultura dell’innovazione, digitale in primis, e far percepire i possibili benefici ottenibili.

Le Università rappresentano un patrimonio di eccellenza per laboratori, brevetti e competenze PhD che devono essere messe in condivisione sul territorio. Questo già avviene per molte Università, come al Politecnico di Milano, ed è un meccanismo già ben trattato nel PNRR (si tratta solo di attuarlo).

Ulteriore asset, ma non meno importante, da valorizzare è il nostro ecosistema startup, che negli ultimi due anni ha visto crescere i finanziamenti in equity, il contributo dei capitali stranieri, l’interesse delle corporate, fregiandosi di interessanti casi come NewCleo e Satispay. Le startup sono una risorsa insostituibile per un Paese in termini di R&D; serve per questo che le azioni finora condotte con convinzione dalle istituzioni (dallo Startup Act ad oggi, con CDP in testa) siano mantenute nel tempo con vigore per dare fiducia, anche agli investitori stranieri, e stimolare la crescita.

I risultati completi delle ricerche dell’Osservatorio Startup Thinking saranno presentati al Politecnico di Milano il 30 novembre p.v. durante il Convegno “Digital e Open Innovation 2024: nuove sfide per imprese e startup”. Vi aspettiamo.

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Alessandra Luksch
Alessandra Luksch

Direttore dell'Osservatorio Startup Thinking degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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