SOSTENIBILITÀ

Green cloud computing: ecco che cosa raccomanda l’Unione Europea per data center più sostenibili

I data center in cloud sono fortemente energivori: sono infatti responsabili di circa il 5% delle emissioni inquinanti complessive. Da qui il rapido sviluppo di progetti per ridurre il consumo di energia connesso al cloud computing. Ecco che cosa suggerisce l’Europa. E che cosa dovrebbe fare l’Italia

Pubblicato il 27 Dic 2021

green cloud

Una delle tendenze più rilevanti nell’IT è il passaggio dai centri di elaborazione dati di singole aziende e istituzioni a data center centrali, da cui attingere potenza di calcolo e informazioni attraverso la modalità cloud. Questa nuova configurazione permette economie di scala e più flessibilità, e dunque riduce anche i costi. Non a caso, a livello europeo, se ne serve almeno un terzo delle aziende, proporzione che cresce al 50-70% nel caso delle aziende più grandi, con un forte incremento di anno in anno. Il settore finanziario è particolarmente interessato e presente nell’utilizzo di questi servizi. Il successo del cloud spiega perché, tra il 2010 e il 2018, la domanda di energia elettrica dei data center nell’Unione Europea sia passata da 54 a 77 TWh (TeraWatt-ora) l’anno, di cui metà connessa ai centri cloud. I dati riportati a livello mondiale variano tra i 200 e gli 800 TWh l’anno; si consideri, per confronto, che l’Italia consuma meno di 350 TWh l’anno, l’Unione Europea attorno a 2.800.

Data center in cloud energivori: cosa fare?

Sicuramente le dimensioni e la potenza di calcolo dei data center in cloud li rende fortemente energivori. Tuttavia, da un punto di vista del bilancio energetico, occorre verificare se contribuiscono a ridurre la produzione di inquinamento, ottimizzando il consumo di energia sia per la riduzione dei punti di erogazione, sia per il miglioramento delle prestazioni. Il calcolo, tuttavia, è molto complesso anche perché l’esistenza di questi centri cambia le scelte delle aziende sull’utilizzo dei dati: la loro maggiore flessibilità ed efficienza spinge infatti le aziende a raccogliere e studiare una maggiore mole di dati sino a modificare il proprio modello di business proprio basandosi maggiormente sui dati divenuti disponibili. Sebbene le stime siano dunque incerte, è un fatto che i data center assorbano una quota rilevante e in forte crescita del consumo di energia elettrica. Questo significa, tra le altre cose, che già ora questi servizi sono responsabili di circa il 5% delle emissioni inquinanti complessive, sebbene si tratti ovviamente di un dato lordo che non tiene conto delle riduzioni delle emissioni da parte dei centri di calcolo tradizionali.

A prescindere dalla precisione di questi calcoli, la cosa certa è l’aumento esponenziale del consumo di energia collegata ai servizi in cloud, che rende necessario intervenire per cercare di favorire l’adozione di tecnologie che ne migliorino l’efficienza energetica in tutti gli aspetti, andando a modificare l’hardware, il software, le stesse reti di trasmissione dati. Queste esigenze spiegano il rapido sviluppo di progetti che hanno lo scopo di ridurre il consumo di energia connesso al cloud computing. L’obiettivo di limitare il consumo energetico, un processo legato inevitabilmente anche a un uso migliore delle risorse disponibili, oltre a essere positivo per l’ambiente, consente anche di ridurre i costi ed è dunque di doppio interesse per le imprese.

Green cloud computing: cosa raccomanda l’Europa

Lo sviluppo dei progetti di green cloud computing impone colossali investimenti che potranno essere favoriti anche attraverso strumenti di sostegno fiscale e investimenti pubblici. In proposito, la Raccomandazione della Commissione Europea 1749 del 28 settembre 2021, che mette l’efficienza energetica al primo posto, espone numerosi esempi pratici volti a rendere operativo l’obiettivo di riduzione del consumo di energia. Proprio trattando le tecnologie ICT, la Raccomandazione osserva la rapida crescita del consumo di energia legato ai data center e sottolinea che la progettazione e l’ubicazione dell’infrastruttura dovrebbero essere soggette a valutazioni sul consumo di energia, osservando anche che occorre sviluppare un approccio che guardi all’intero processo, dall’architettura della rete al software. Queste osservazioni riprendono il rapporto della Commissione Europea del novembre 2020, tuttora l’ultimo documento complessivo delle istituzioni comunitarie sul tema, in cui si discutono varie metodologie per ridurre il consumo di energia (ad es. il traffic offloading ma anche la tecnologia 5G). Per quanto il rapporto contenga numerosi interessanti esempi di forti guadagni di efficienza dopo l’adozione di una nuova tecnologia, è comunque difficile capire quanto questi guadagni a livello di singola realtà aziendale o di singolo progetto siano trasponibili su scala generale. Sicuramente la strada è comunque tracciata: non c’è alternativa all’innovazione tecnologica energy saving.

Tecnologie cloud: all’Italia serve la spinta del PNRR

In questo processo innovativo l’Italia è ancora indietro rispetto agli altri paesi europei. Nella presentazione del PNRR, il governo italiano ha osservato che l’Italia è al 25° posto in Europa come livello di digitalizzazione, e che, tra i fattori che incidono su questo cattivo posizionamento, vi è anche la bassa adozione di tecnologie avanzate tra cui proprio le tecnologie cloud. Per questo, l’esecutivo sta spingendo per la migrazione al cloud delle pubbliche amministrazioni, seguendo un approccio cloud first, investendo massicciamente per la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione. Nell’anno in cui l’Italia ha ricevuto riconoscimenti per un’efficace gestione della pandemia e della ripresa rispetto ad altri paesi europei, è davvero il momento di porre rimedio a questo ritardo che penalizza la crescita e l’ambiente.

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Lorenzo Esposito
Lorenzo Esposito

Lorenzo Esposito lavora da oltre vent’anni nell’ambito della vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia; è professore a contratto di Economia Monetaria presso la “Cattolica” di Milano. Si occupa di stabilità finanziaria, globalizzazione, finanza sostenibile e fintech. (Le opinioni espresse dall’autore sono personali e non impegnano l’Istituto d’appartenenza)

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