INNOVATION DETECTIVE

Quando le aziende hanno i cassetti pieni di soluzioni innovative alla ricerca di problemi da risolvere

Il caso: un’azienda che produce prodotti per la cosmetica a base di oli essenziali lancia una linea di prodotti green dopo aver verificato che i consumatori non ne hanno in casa. Ma non funziona. Per tre motivi: indaghiamoli insieme

Pubblicato il 25 Nov 2022

Aziende che comprano startup

Zygmunt Bauman ha detto una cosa un po’ stoica, e profondamente vera: “Il segreto per una vita felice non è una vita senza problemi, la vita felice viene dal superamento dei problemi e delle difficoltà”. Lo stesso si potrebbe dire dei mercati. Un mercato sano non è un mercato senza problemi, perché dai problemi di oggi nascono le opportunità per i mercati di domani. Senza problemi sempre nuovi da inchiodare e togliere di mezzo non ci sarebbe progresso, non ci sarebbero soluzioni, non ci sarebbero aziende, non ci sarebbero mercati e gli innovation detective sarebbero tutti degli emeriti disoccupati.

In verità gli innovation detective potrebbero trovarsi disoccupati anche in un’altra circostanza. Pochi lo sanno, ma esiste un progetto a dir poco enciclopedico che punta al censimento ordinato e categorico di tutte le possibili cause di sofferenza per l’uomo, le sue società, il suo ecosistema. Le ultime notizie che si hanno di questo progetto risalgono al 1920, e allora l’opera contava già 20 volumi. Ne parla Thomas Mann nella Montagna Incantata, e i tomi devono essere assolutamente da qualche parte, adesso. Da quel momento, però, le piste si insabbiano. Si potrebbe pensare che si tratti di un mito, ma io credo di no: me lo immagino come il Libro dei Vishanti di Doctor Strange nel Multiverse of Madness, che pare abbia un numero infinito di pagine e contenga le più potenti magie bianche conosciute. Perché questo sarebbe l’enciclopedia delle sofferenze umane, quando qualcuno la troverà. Un’inestimabile rassegna di ricette miracolose per creare innovazioni di successo. Che risolvono problemi veri, documentati, a colpo sicuro, apri una pagina e zac, come nel libro delle risposte, hai trovato un mercato.

Invece adesso le aziende hanno i registri pieni di soluzioni che vagolano alla ricerca di un problema da risolvere, nell’attesa infondata – da parte dell’aspirante innovatore – che un problema in fin dei conti altro non sia che l’assenza della soluzione.

Dal punto di vista forense, è come avere le galere piene di persone innocenti e i criminali a piede libero. Veramente frustrante, anche perché ci sono questioni importanti da inchiodare, lì fuori.

Prendiamo il problema climatico, per esempio. Montalbano direbbe che è un bel busillibus. Le aziende di consumer goods continuano a sfornare prodotti cosiddetti green, e il consumatore ci gira attorno e li evita con l’inafferrabilità di un’anguilla. Il mercato è ‘elusivo’, dicono i report di mercato che circolano nel circuito degli addetti ai lavori. E-ludere. Prendersi-gioco. Il gioco dell’anguilla. I consumatori eviterebbero insomma intenzionalmente l’offerta di prodotti green dopo aver abbindolato le aziende con illusorie dichiarazioni di intenti. Questo è lo storytelling corporate dell’auto-assoluzione, ma la realtà è diversa.

Prendiamo un caso che mi è capitato di recente: un’azienda che produce prodotti per la cosmetica a base di oli essenziali – con due segmenti di creme per il viso, una premium e una pop. In seguito ad una stagnazione delle vendite, gli addetti all’innovazione hanno escogitato la mossa del momento: una linea di prodotti green, con una selezione particolare di ingredienti, tutti vegetali, a km zero e bio.

“Abbiamo fatto delle interviste approfondite prima di procedere”, dice il responsabile di marketing, “e tutte confermano la necessità di prodotti green per la cosmetica. Abbiamo trattato con cura tutti gli aspetti della delivery, dal packaging, al brand, al profumo… Però poi sul mercato è stato un flop, e non capiamo perché!”. Ergo, era necessaria un’autopsia. Mi sono fatta dare le registrazioni delle interviste, tutte peraltro organizzate in modo ottimale, a casa del potenziale consumatore, in modalità one to one. Ma è stato quando ho cominciato ad estrarre il contenuto della conversazione, che ho ottenuto le risposte che cercavo (e che cercavano loro stessi). Ecco come si presentava uno stralcio tipico di dialogo:

Domanda: “Quanto è importante per lei la sostenibilità nei prodotti cosmetici?”

Risposta: “Molto!”

Domanda: “Quanti prodotti cosmetici sostenibili ha in casa?”

Risposta: “Nessuno!”

Conclusione: Poiché queste persone vorrebbero i cosmetici sostenibili ma non ce ne hanno nessuno, significa che ne soffrono la mancanza, e c’è una grande opportunità nel produrli!

Non fa una ruga! E invece no. Non serve nemmeno un medico legale per identificare le cause del fallimento della conversazione.

Prima causa: Il problema non si presenta come assenza della soluzione, e quindi non avere qualcosa (pur riconoscendone verbalmente l’importanza), non ci autorizza a fornirla.

Seconda causa: Mai raccogliere opinioni, quando potresti raccogliere fatti. Specie in modo così tendenzioso (quando è importante…). Qui, se il caso va in giudizio, chi lo sente poi l’avvocato…

Terza causa: Il perimetro della scena del crimine è completamente sbagliato! La stessa definizione di mercato è sbagliata! Perché ci si aspetta che le persone comprino una crema per il viso con lo scopo di salvare il mondo? Perché non si è cercato di far luce sul vero problema che la crema risolve (le rughe? l’aridità della pelle?), e non si è pensato di risolverlo ancora meglio, con un prodotto che, by the way, è anche sostenibile?

Non conto le volte in cui ho effettuato autopsie simili: auto elettriche, borse, vestiti, cibo… Mentre le aziende intrattengono i loro clienti col gioco dell’anguilla, il tempo scorre e il mondo continua ad ingrigire. Dr Strange, trova il libro magico di Thomas Mann, salvaci tu!

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Irene Cassarino
Irene Cassarino

Irene Cassarino, ingegnera di formazione, PhD in Gestione dell’Innovazione, è CEO e fondatrice di The Doers, ora parte del gruppo Digital Magics. Ha dedicato tutta la sua vita professionale alla ricerca di nuovi mercati, lavorando con più di 200 startup e decine di grandi aziende italiane e internazionali.

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