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Sostenere le auto elettriche significa favorire i cinesi? Quel che il ministro Giorgetti dimentica…

Il ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti ha detto che “supportare l’elettrico significa fare un favore solo a produttori stranieri”: Ma è proprio così? Lo vediamo con l’aiuto di una startup della mobilità elettrica. E mettendo in fila un po’ di fatti e i pezzi di una filiera elettrica tutta italiana

Pubblicato il 23 Feb 2022

Auto e Europa

“Supportare solo l’elettrico significa fare un favore solo a produttori stranieri” dichiarava il Ministro Giorgetti in un articolo del Sole 24 ore del 17 febbraio. “Diciamo che abbiamo sensibilità diverse, io ho la sensibilità di chi produce in Italia e non in Asia. Penso che non dobbiamo fermarci all’elettrico anche per favorire l’acquisto di vetture più economiche a favore di classi meno abbienti. Dobbiamo discuterne anche con il ministero della Transizione ecologica, ma la nostra proposta arriva fino a 135 grammi di Co2 per km perché abbiamo la responsabilità di incentivare anche una quota di produzione nazionale”. Ma è proprio così o il Ministro dello Sviluppo Economico si è fatto prendere la mano dalla foga nazionalista?

“Ci sono diverse imprecisioni in queste dichiarazioni che lasciano alquanto sorpresi. È chiarissimo che sull’elettrico ci sia estrema confusione e, peggio, anche luoghi comuni” è la risposta affidata a Linkedin da Alberto Stecca, CEO di Silla Industries

Cos’è Silla Industries? Basata a Padova, è una startup che sviluppa soluzioni tecnologiche innovative per il settore e-mobility, specialmente nel settore ricarica per i veicoli elettrici. Un attore della filiera che conosce bene il mercato e le logiche del settore, insomma.

Le auto vendute in Italia non sono prodotte in Asia

“Nel renderci disponibili in un incontro con Giorgetti e anche a partecipare ad un tavolo di lavoro, cerchiamo di fare chiarezza confortati dai dati di mercato” dichiara Stecca. “In primis, le auto elettriche vendute in Italia non sono prodotte in Asia, semmai in Europa. E se Europa non vuole (ancora) dire Italia, la responsabilità è delle nostre aziende che essendo le più prestigiose al mondo (penso a Ferrari, Lamborghini, Maserati, …) non hanno ancora avviato la produzione di modelli elettrici, mentre competitor come Porsche e quasi tutti gli altri lo fanno da molto tempo e con ottimi risultati di vendita nel loro segmento. Ma anche Fiat ha grandi soddisfazioni dal suo unico modello elettrico: perché non aggiungerne altri?”

Tra i brand italiani al lavoro sull’elettrico si è fatto da poco sentire anche Alfa Romeo, che ha presentato il suo primo SUV elettrificato – la Tonale: un veicolo innovativo prodotto proprio qui in Italia, nell’impianto di Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli.

giorgetti auto elettrica
Alberto Stecca, CEO Silla Industries

Gli incentivi “generali” non hanno senso

“Promuovere incentivi per vetture che inquinino solo fino a 135 g/km di CO2 non ha senso” precisa Stecca, “è come dare fondi a pioggia al settore auto. L’80% delle auto acquistate e immatricolate oggi in Italia è già in quella fascia, senza considerare che la crescita più consistente la si osserva nelle vetture sotto i 60g/km, con una perdita già evidente di quote di mercato da parte delle precedenti.

La questione è molto semplice: se il dossier automotive mira ad incentivare il settore auto tout court, benissimo. Ma noi giovani e meno giovani imprenditori dell’automotive del futuro crediamo che si possa fare di meglio e di diverso, se vogliamo seguire le direttive EU e il piano Draghi per l’innovazione e l’ambiente. Senza contare che i dati UNRAE chiariscono che incentivare l’acquisto di un’automobile qualsiasi sia un finto affare per i consumatori e per i cittadini italiani, perché non potranno mai contare su un usato da rivendere, reso obsoleto in pochi anni dal progresso delle motorizzazioni elettriche ai danni di quelle con motori endotermici. In più sarebbe auspicabile un’attenzione alle fasce più delicate, con incentivi legati al reddito ISEE, a favore dei ceti più bassi, così come sostegni alla produzione di modelli più economici per non rischiare di creare una sorta di e-mobility divide che penalizzi chi ancora trova nel fattore prezzo lo scoglio più grosso per un passaggio alla mobilità elettrica.”

Il futuro (anche) dell’Italia è nell’elettrico

Le scelte di Elon Musk, di Silk Faw – che ha selezionato l’Italia e Reggio Emilia per il suo grande progetto mondiale di elettrico di fascia altissima – e di tutti i grandi brand dell’automotive dicono che l’elettrico è ormai irrevocabile ed inarrestabile, ed è il presente oltre che il futuro”

La joint venture Silk FAW – Nata dall’unione tra Silk EV, società internazionale di ingegneria e design automotive, e FAW, uno dei maggiori produttori automobilistici cinesi – sta lavorando alla costruzione di un nuovo sito produttivo e polo all’avanguardia per la progettazione e la produzione di auto elettriche nel cuore della Motor Valley italiana: un segno del riconoscimento del potenziale del Paese da parte di grandi attori internazionali.

E non l’unico segno: sono diversi oggi i poli e i grandi siti produttivi per auto elettrica che stanno nascendo da Torino a Caserta.

Dove stanno nascendo i poli dell’auto elettrica in Italia e le gigafactory

“Ecco perché gli incentivi devono andare a chi acquista elettrico puro e a chi migliori le infrastrutture di ricarica, sia pubbliche che soprattutto private, visto che l’Europa stessa è consapevole che la ricarica avviene per il 90% in ambito domestico o aziendale. Senza contare che questo consentirebbe di garantire la migliore accoglienza e attraversabilità della nostra lunga penisola a tutti i turisti stranieri che stanno per arrivare a godersi le loro vacanze in Italia con l’auto elettrica (propria o a noleggio).

Per questo auspichiamo una rinnovata attenzione al nostro settore, che sta crescendo senza sosta, stanziando una parte degli incentivi alle aziende che si impegnino a riconvertire la loro forza lavoro su progetti di veicoli elettrici, non per “sotto i 135 g/km”, vetture destinate a scomparire in pochi mesi: se così non sarà, il dossier automotive diventerà ancora più scottante, e a pagare saranno i nostri lavoratori, che non saranno stati formati sui nuovi veicoli richiesti da un mercato che è sempre più attento, informato e consapevole delle proprie scelte”.

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